Prendiamo sul serio il nostro futuro

Paolo Bonetti
www.italialaica.it

Il titolo di questo editoriale è, in realtà, il logo di una campagna a sostegno della scuola pubblica promossa da alcuni editori di vario orientamento culturale e politico con una lettera aperta al Presidente della Repubblica, al Parlamento e al governo. Ma per quel che riguarda quest’ultima istituzione sappiamo bene quale sarà la risposta. Negli ultimi mesi il presidente del Consiglio ha attaccato più volte la scuola pubblica accusandola di varie nefandezze, fra cui quella di sottrarre i giovani all’influenza della famiglie.

A quanto pare egli ha una concezione decisamente proprietaria della paternità e della maternità e ritiene che il compito primario dell’istruzione sia quello di allontanare i giovani da ogni contatto con mondi intellettuali e morali che non siano ben allineati con quelli di provenienza. Non c’è male, per uno che si proclama liberale, questa identificazione della libertà con il ghetto di una cultura passivamente ereditata e mai messa a confronto con altre idee e altre esperienze. Nella lettera in questione si sostiene, invece, che “nel mondo globalizzato è fondamentale conoscere chi è lontano da noi, per saperne cogliere i valori e le potenzialità, e perché altri possano conoscere, a loro volta, i nostri valori e le nostre potenzialità”.

Le scuole private, purché senza oneri per lo Stato (come sancisce la Costituzione), hanno il sacrosanto diritto di esistere e possono svolgere anche un’utile funzione di stimolo, ma è nella scuola pubblica che s’impara davvero il difficile mestiere di cittadino di una democrazia liberale. Contrariamente a quello che pensano gli ideologi del privatismo scolastico, il vero pluralismo non consiste nella demolizione della scuola pubblica per dare spazio ai cento fiori delle scuole private in gara fra loro.

La concorrenza fra scuole nelle quali gli studenti vengano coltivati come fiori di serra, da non esporre mai alle salutari tempeste della libertà, è una falsa gara fra soggetti che, in realtà, corrono su strade parallele destinate a non incontrarsi mai e senza che ci sia la possibilità di cambiare la strada abitualmente percorsa. Una società aperta è una società nella quale non si ha paura di incontrare coloro che hanno valori e stili di vita diversi dai nostri e che possono eventualmente incrinare le nostre certezze intellettuali e morali.

In questa società i ragazzi non vengono considerati polli da allevamento, da tenere ben chiusi nelle gabbie della fattoria di famiglia e da nutrire con cibo accuratamente preparato per evitare che possano avere gusti differenti da quelli dei loro genitori-allevatori. Questa funzione di educazione alla libertà, senza pregiudizi e senza paure, può essere svolta soltanto dalla scuola pubblica. In Italia, questa scuola, anche per il disinteresse sostanziale degli attuali e dei precedenti governanti, ha certamente molti difetti, ma basta paragonarla ai diplomifici di tante scuole private per riconoscerle, ancora oggi, una oggettiva superiorità educativa.

Ma c’è anche un’altra funzione che solo la scuola pubblica può svolgere in un paese come il nostro, che confonde spesso il liberalismo con l’individualismo qualunquista e corporativo. Le istituzioni democratiche non possono funzionare se a sorreggerle non ci sono alcuni principi morali comuni a tutti i cittadini, se non c’è una qualche decenza civica che faccia da argine alle spinte dissociative che emergono spesso da una società civile che, per complesse ragioni storiche, non ha sviluppato spontaneamente gli anticorpi morali che sorreggono democrazie più antiche e mature della nostra.

La crisi etico-politica della società italiana sta superando ormai il livello di guardia, come è stato ripetutamente ricordato anche dal Presidente della Repubblica. Ogni giorno le istituzioni che garantiscono l’osservanza di quelle regole senza le quali non è possibile far funzionare la democrazia liberale, vengono delegittimate da chi pensa che la democrazia consista nell’esercizio senza limiti del potere della maggioranza.

Che molti italiani condividano una simile idea e non trovino per nulla abnormi e scandalose le pretese del neopopulismo pseudoliberale, segnala una grave distorsione del concetto di cittadinanza, una mancanza di quella educazione civica che ci deve accomunare tutti, prima che entrino in azione quelle differenze politiche che sono fisiologiche e salutari purché non rompano la cornice istituzionale entro la quale si debbono manifestare. Queste sono verità politiche di elementare buon senso per i cittadini di una normale democrazia liberale, ma, a quanto pare, non bene assimilate da gran parte della nostra società civile e della nostra classe dirigente.

Il pluralismo religioso, morale, etnico e culturale, che sempre più ci caratterizza, è una grande conquista per un paese che era ancora, qualche decennio fa, dominato da due oligopoli ideologici. Non è il caso di rimpiangere quei tempi e la loro stabilità, anche perché quel tipo di società non potrà risorgere; ma certamente non è neppure possibile accettare, con tranquilla coscienza, il privatismo selvaggio che disgrega ogni solidarietà civile. Non è questa la libertà, e soltanto la scuola pubblica può aiutarci a capire in che cosa essa veramente consista e quali doveri comporti.