Contributo al Sinodo delle Chiese in Italia dalle Comunità Cristiane di Base italiane

Alla Segreteria del Cammino Sinodale 

Carissimi fratelli vescovi,

come Comunità Cristiane di Base italiane desideriamo partecipare alla fase profetica del Sinodo con un nostro contributo. Questi quattro anni di cammino sinodale della Chiesa italiana ci hanno visto coinvolti sia con nostri contributi specifici che con contributi condivisi con le altre realtà della Rete sinodale, nata all’inizio del 2021, e infine, del tutto inaspettatamente, con la partecipazione di due nostri rappresentanti alla prima assemblea sinodale di novembre scorso.

Crediamo che la sfida che si pone di fronte alla Chiesa oggi, da cui non si può sfuggire, è l’accettazione delle diversità: esse costano fatica, ma devono essere viste come una ricchezza e non come un ostacolo al dialogo. Anche papa Francesco, riprendendo un’espressione cara a don Tonino Bello, ha parlato di “convivialità delle differenze” alla plenaria del Dicastero per il dialogo interreligioso del 6 giugno 2022. Questo vale per i rapporti tra le varie confessioni religiose ma vale anche all’interno della Chiesa.

Purtroppo la Chiesa nei secoli si è affaticata nella costruzione di un pensiero unico, creando con i Concili dogmi dichiarati incontrovertibili su una realtà, il divino, di per sé inconoscibile. 

Ne sono conseguiti eresie, scismi, vicendevoli scomuniche. Ci si è scontrati sulla disputa se la natura di Gesù fosse “uguale” o “simile” a quella del Padre; se la natura di Gesù fosse solamente divina o solamente umana o partecipe di entrambe e in che modo. Secoli di divisioni e contrasti. 

Pensiamo che dovremmo imparare dagli Ebrei al tempo di Gesù nel quale potevano coesistere tranquillamente i sadducei che non credevano nella resurrezione e i farisei che invece ci credevano; tra loro, poi, si poneva Gesù a ricordare che il Signore è un Dio dei vivi, non dei morti. 

E dovremmo imparare dalle prime comunità cristiane, tra le quali molte erano le differenze. Non riflettiamo a sufficienza su quanto differisse l’idea della Chiesa di Pietro da quella di Paolo. Il primo riteneva che la circoncisione fosse necessaria per abbracciare la fede in Dio; il secondo affermava: “Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura” (Gal. 6,15).

Per le vicende che hanno coinvolto le Comunità cristiane di base noi ci sentiamo maggiormente vicini al modello paolino, un modo di intendere la fede nella condivisione del pane con i fratelli e le sorelle, nella molteplicità e nella diffusione dei carismi, nella parità tra uomo e donna, nella declericalizzazione della Chiesa.

Abbiamo letto e riflettuto sullo Strumento di lavoro per la fase profetica. Riteniamo che le proposte contenute nelle 17 schede sui vari argomenti siano condivisibili. Ci ripromettiamo di riprenderle nell’assemblea di Assisi (22-23 febbraio 2025) della Rete sinodale, per contribuire con proposte di miglioramento condivise con le altre realtà della Rete.  

Qui vogliamo concentrarci su alcuni punti specifici che consideriamo particolarmente rilevanti e che lo Strumento di lavoro non affronta. Alcuni riprendono temi elaborati nei documenti che la Rete sinodale ha inviato al Sinodo universale e a quello italiano nel corso di questi 4 anni di cammino sinodale. Siamo consapevoli che alcune di queste proposte riguardano la Chiesa universale e non la sola Chiesa italiana, d’altra parte le questioni di fondo – e queste lo sono – non possono che riguardare la Chiesa tutta. Le sottoponiamo qui con la fiducia che la Chiesa italiana vorrà farsene interprete, facendosi da tramite perché al livello di Chiesa universale vengano affrontate con l’attenzione e l’urgenza che meritano.

Scheda 1: Slancio profetico e cultura della pace e del dialogo. Pur apprezzando le proposte contenute nella scheda 1 dello Strumento di lavoro per la promozione di una cultura della pace, riteniamo però essenziale che, nella nostra realtà italiana, l’incessante impegno ed i pressanti richiami alla pace che provengono da Papa Francesco e dal cammino sinodale si traducano in un atto coraggioso di coerenza con la rinuncia da parte della Chiesa italiana, attraverso un atto unilaterale, all’istituto attualmente in vigore dei cappellani militari, riconoscendolo come “privilegio”, a suo tempo concesso in una logica di potere dal Concordato con lo Stato italiano. In un’intervista del giugno 1992 sui costi economici relativi all’integrazione organica dei sacerdoti nelle strutture militari, don Tonino Bello si dichiarava sensibile soprattutto ai costi relativi alla credibilità evangelica ed ecclesiale. Per lui, e per noi, è necessario mantenere un servizio pastorale distinto dal ruolo militare: Cappellani sì, militari no. Un simile atto costituirebbe una testimonianza evangelica, darebbe forza e credibilità alle parole del Papa e alla volontà di pace della nostra Chiesa in Italia e ci autorizzerebbe a parlare a ragione di “slancio profetico”.

Scheda 2: Sviluppo umano integrale e cura della casa comune. Qualche considerazione a partire da affermazioni molto apprezzate e condivise, come: “Porre particolare attenzione alle nuove forme di povertà, dando voce agli oppressi, denunciando le ingiustizie e promuovendo in particolare una economia civile sostenibile” (dai Lineamenti 25.2) e ancora: “La disponibilità all’ascolto di tutti, specialmente dei poveri, si pone in netto contrasto con un mondo in cui la concentrazione del potere taglia fuori i poveri, gli emarginati, le minoranze e la terra, nostra casa comune” (dal documento finale del Sinodo 2021-2014). La domanda che si pone è: ma mentre noi pensiamo, e giustamente, alla terra come casa e bene comune, le cui risorse dovrebbero essere equamente distribuite per contrastare il divario che c’è tra ricchi e poveri, non rischiamo che ci sfugga che quel divario e la concentrazione del potere nelle mani di pochi, oggi più che mai, sta aumentando perché i ricchi si stanno impossessando dello spazio extraterrestre? Non dovremmo difendere anche lo spazio come bene comune, come bene del creato e in quanto tale destinato all’umanità intera

Questa domanda se l’è posta 25 anni fa Giovanni Franzoni, nel libro: “Anche il cielo è di Dio – Il credito dei poveri”, pubblicato nel 2000, l’anno di un altro giubileo. Mentre tutti parlavano di debito dei Paesi poveri, lui parlava di credito, e non di credito morale di quei Paesi che in passato hanno subito i danni della colonizzazione (predazione delle risorse, schiavizzazione, esproprio dell’identità culturale…), ma di “debito reale” di chi sfrutta, senza alcun titolo tranne l’acquisizione di fatto, il bene comune per scopi commerciali. Sulla base dell’antico principio che “la cosa di nessuno è di pertinenza del primo occupante”, lo spazio è stato occupato ed è diventato di proprietà di chi ha i soldi per lanciarci satelliti. La proposta che Giovanni Franzoni fa è molto articolata, si basa sulla creazione di un Fondo per la perequazione del debito e per lo sviluppo con i proventi dei canoni di concessione dei beni, tra cui lo spazio, di pertinenza comune. Perché non alzare anche noi lo sguardo verso il cielo e porre l’attenzione in questo Sinodo alla predazione di risorse che nello spazio sta avendo luogo?

Il tema più drammatico da affrontare oggi nella Chiesa, quello degli abusi di potere, coscienza e sessuali subiti in ambiti ecclesiali, non è trattato come tema centrale nello Strumento di lavoro, non c’è una scheda specifica su questo, se ne parla in alcuni punti in schede centrate su altri temi. È necessario su questo trovare il coraggio di un ripensamento profondo, per capire le radici profonde e strutturali del problema e non limitarsi alla logica delle mele marce, assicurando allo stesso tempo la più completa trasparenza attraverso una commissione indipendente dalle gerarchie che esamini il comportamento della Chiesa, nelle varie diocesi, senza porre limiti di finestre temporali. Riteniamo si debba seguire l’esempio del vescovo di Bolzano-Bressanone, Ivo Muser, che ha commissionato un’inchiesta sugli abusi sessuali commessi da membri del clero nella sua diocesi ed è stato accusato esplicitamente, dagli autori del rapporto, di non essersi comportato nel modo giusto dinanzi a un caso. Il vescovo ha riconosciuto di avere, in questo e in altri casi, commesso degli errori, promettendo al tempo stesso di aver imparato la lezione e di non volerli ripetere.

Scheda 8: Formazione alla vita e alla fede nelle diverse età. In questa scheda si parla di catechesi in uscita, da portare fino alle periferie esistenziali, “senza in questo smarrire il riferimento al Catechismo della Chiesa Cattolica” (dal documento finale del Sinodo 2021-2014). Tra le periferie esistenziali ci sono le persone LGBT per le quali le parole del catechismo: “Gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati” sono motivo di grande sofferenza. “La dottrina è un peso enorme sulle nostre spalle, un macigno che ci schiaccia. E l’accoglienza non è gratuita: siamo sì accettati, ma solo se rinunciamo ad esprimere la nostra sessualità” – sono le parole di una persona omosessuale credente

Una corretta lettura storico-critica dei testi biblici, ci permette di capire e di trovare una spiegazione per quei versetti in cui vengono condannati gli atti omosessuali, calando quei testi nel contesto storico in cui sono stati scritti. Condanna di “atti omosessuali”, appunto, non dell’omosessualità, perché nulla si sapeva dell’omosessualità come la conosciamo oggi, grazie anche ai progressi della scienza. Non considerare queste nuove conoscenze, seguitando a parlare nel catechismo di atti omosessuali intrinsecamente disordinati, non trova giustificazioni, fa violenza sulle persone, le incolpa per ciò che sono, le umilia e tradisce il messaggio di amore e misericordia di Gesù. Non ci sono gli “atti”, ci sono le persone con la loro dignità, i loro amori e la loro sessualità, dono di Dio. Lungi dal prenderle a riferimento, quelle parole vanno cancellate dal catechismo.

Scheda 15: Responsabilità ecclesiale e pastorale delle donne. “La questione dell’accesso delle donne al ministero diaconale resta aperta. Occorre proseguire il discernimento a riguardo” (dal documento finale del Sinodo 2021-2014). Non è dunque bastato il Sinodo universale a chiudere la questione del diaconato alle donne, rimane aperta e nella scheda 15, tra le scelte possibili, c’è quella di “contribuire allo studio sul diaconato alle donne avviato dalla Santa Sede avvalendosi dei contributi, delle esperienze ecclesiali e delle competenze teologiche presenti nel contesto italiano”. Pronte e pronti a dare questo contributo, ma una domanda si pone: Paolo scriveva nella lettera ai Romani (16,1): “Vi raccomando Febe, nostra sorella, diaconessa della Chiesa di Cencre”, non è paradossale che nel primo secolo Febe fosse diaconessa e per il diaconato alle donne non siamo ancora pronti dopo 20 secoli? Sul ruolo centrale delle donne nelle comunità paoline ci può aiutare rileggere gli scritti di don Romano Penna, professore di Nuovo Testamento alla Pontificia Università Lateranense e grande studioso di Paolo recentemente scomparso. Per andare oltre la questione diaconato, riusciamo davvero ad immaginarci che, quando nelle prime comunità cristiane il pane si spezzava di casa in casa, non fossero anche, e forse soprattutto le donne a farlo?

La Prima lettera ai Corinzi (11,17-29), il più antico testo che racconta la cena del Signore, è importante per quello che c’è scritto ed anche per quello che non c’è scritto. In questa lettera Paolo rimprovera aspramente quella comunità perché nelle loro cene non condividevano equamente il cibo, così i poveri rimanevano affamati mentre i ricchi erano perfino ubriachi. Poi ripetevano il gesto di Gesù di spezzare il pane, calpestandolo e tirandolo come un cappello a coprire le ingiustizie che c’erano tra loro. Da qui l’indignazione di Paolo. Per il resto non appare nella lettera nessuna preoccupazione né interesse da parte di Paolo su chi spezzasse il pane, su un particolare ruolo che doveva avere per farlo o sul genere di chi lo faceva, neanche una parola su questo, né la lettera è indirizzata ad un capo della comunità, ma alla comunità tutta. Perché allora qualcosa che non era di nessun interesse nelle prime comunità cristiane è diventata una questione così centrale nella nostra Chiesa? Il cammino da fare è davvero lungo e il ritardo imbarazzante. Che questo Sinodo serva almeno a prenderne piena consapevolezza. Perché tutto questo non è un problema delle donne, ne va dell’autorevolezza della Chiesa, che ci sta a tutte e a tutti a cuore.

Scheda 5: Centralità e riconoscimento di ogni persona e accompagnamento pastorale. Se è buono il proposito di un allargamento della pastorale a persone “in situazioni familiari ‘ferite’ o ‘incomplete’ (conviventi, divorziati in seconda unione, etc.) e familiari di persone con orientamento omoaffettivo”, come anche “il passaggio da una pastorale per a una pastorale con le persone che si sentono non riconosciute e ai margini della vita comunitaria a causa dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere”, bisogna prendere atto che non si può più al livello dottrinale rimanere ancorati ad un solo tipo di famiglia. Non c’è più la famiglia, ci sono le famiglie. Ci sono scissioni del vincolo coniugale a cui segue un nuovo matrimonio, convivenze, oggi molto diffuse, donne single che per scelta mettono al mondo un figlio, famiglie di coppie omosessuali, alcune con figli avuti tramite tecniche di procreazione assistita o affidamenti (molto rari) a coppie di papà di bambini disabili. Amara considerazione: per i bambini/e venuti male, considerati scarti vanno bene anche due papà! Non hanno anche loro diritto a sentirsi famiglia, riconosciuta dalla loro Chiesa?

Scheda 4: Qualità celebrativa, partecipazione e formazione liturgica. Una liturgia partecipata può solo scaturire da una preparazione condivisa tra presbiteri, laici e laiche, che metta al centro la riflessione sulle Scritture, contestualizzandole nella loro epoca. La comprensione di esse, non così semplice come sembra, può attuarsi solo attraverso il metodo storico-critico e l’applicazione dei moderni strumenti dell’interpretazione. Una volta comprese, vanno calate nella nostra esperienza di vita per capire cosa hanno da dire a noi oggi, come ci possono aiutare nell’affrontare i problemi contemporanei. Ne potranno così scaturire spunti per l’omelia e per gli interventi di preghiera dei fedeli. Lo possiamo dire con convinzione per aver sperimentato tutto questo nella nostra esperienza di più di 50 anni.

Le Comunità Cristiane di Base italiane