Una piccola storia, una grande lezione di M.Magnano
Marco Magnano
www.riforma.it
La sentenza con cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per i trattamenti degradanti riservati a tre cittadini tunisini nel 2011 va colta come una lezione e trasformata in un’opportunità per cambiare davvero
L’Organizzazione mondiale per le migrazioni racconta nei suoi rapporti che il Mediterraneo è il tratto di mare più pericoloso al mondo, con numeri in costante crescita. Spesso, però, sono le storie più piccole quelle che permettono di cogliere la dimensione umana di un fenomeno, e una di queste ha visto l’Italia ricevere martedì una condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo per trattamenti definiti “degradanti”.
La vicenda risale al settembre 2011, quando i paesi del Maghreb e l’Egitto erano scossi politicamente dalle “primavere arabe” e in Italia si era coniato il termine “emergenza Nordafrica” per designare il grande flusso di persone che cercavano di sfuggire alla violenza e all’instabilità delle loro terre di provenienza, ed è una storia come tante. Tre cittadini tunisini erano stati soccorsi da una delle navi militari italiane che presidiavano le coste, portati a Lampedusa e trattenuti nel centro di identificazione ed espulsione per cinque giorni, per poi essere trasferiti su una nave di fronte al porto di Palermo, adibita a centro di detenzione temporanea, e infine rimpatriati in Tunisia.
Una storia come tante, che come molte altre sarebbe rimasta oscurata dai grandi numeri delle migrazioni se non fosse stata intercettata dagli avvocati associati all’Asgi, l’associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione. Due di loro infatti, Luca Mario Masera e Stefano Zirulia, avevano visitato il centro di Lampedusa due mesi prima, a luglio, e si erano resi conto già allora che la situazione era potenzialmente insostenibile dal punto di vista giuridico, con la trasformazione di un centro di accoglienza in un centro di detenzione. «Non volevamo lasciarci trasportare dalla rassegnazione che non si potesse fare nulla per cambiare le cose – spiega Masera –, e quindi siamo andati in Tunisia, siamo riusciti a entrare in contatto con dei ragazzi che erano stati appena espulsi e abbiamo fatto questo ricorso».
Secondo i giudici, lo Stato italiano ha sottoposto i tre uomini a un trattamento degradante a causa delle condizioni in cui si trovava il centro di Lampedusa, con sanitari sprovvisti di porte, sovraffollamento, mancanza di acqua, un numero insufficiente di materassi e soprattutto il divieto di contatti con l’esterno, che ha portato anche alla condanna dell’Italia per la violazione del diritto alla libertà e alla sicurezza. I tre tunisini, infatti, erano stati detenuti senza che alcuna legge lo prevedesse e senza essere stati informati della possibilità di presentare ricorso. La Corte, infine, ha stabilito che l’Italia ha violato il divieto alle espulsioni collettive nel momento in cui ha rispedito i tre a Tunisi dopo averli imprigionati su una nave attraccata nel porto di Palermo.
Secondo la Corte di Strasburgo, la detenzione e l’espulsione da Lampedusa dei tre migranti, fuggiti dalla Tunisia dopo le rivolte della “primavera araba”, era illegale e in violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
«È una decisione che ritengo molto importante – racconta ancora Masera – proprio perché, benché adesso la stampa cerchi un po’ di ridurne l’importanza parlando soltanto di una condanna per tre cittadini tunisini, ha una portata molto più generale, e vale per tutti coloro che si trovavano in quelle condizioni. La corte afferma tre punti fondamentali che sono importanti anche per quello che è il dibattito attuale su cosa fare in futuro per gestire questo fenomeno».
In effetti, non si può pensare che i principi affermati dalla Corte possano fare giurisprudenza in sé e per sé, ma vanno letti proprio in linea generale, come strumenti per comprendere cosa sia lecito e cosa no nell’ottica della gestione dell’arrivo di stranieri senza permesso di soggiorno e della loro eventuale espulsione.
Per esempio, nella sentenza si afferma in modo molto chiaro che il concetto di irregolarità non può essere disumanizzato, non può quindi essere legato soltanto alla nazionalità:. I tunisini, secondo Masera, sono un esempio classico, perché non sono tecnicamente dei richiedenti asilo e quindi vanno incontro alle espulsioni in modo indiscriminato. «La corte ci dice che questo non è possibile se prima non si è data la possibilità a ciascuno di far valere le proprie ragioni».
Come si è già detto, questa storia risale al 2011, ai tempi del governo Berlusconi e di Roberto Maroni ministro dell’interno, in una stagione in cui la politica forse più di ogni altra volta ha voluto mostrare intransigenza nei confronti del superamento dei confini nazionali. Oggi, probabilmente, vicende come questa non si potrebbero più verificare con le stesse modalità. «Forse – racconta ancora Masera – anche i ricorsi hanno avuto un ruolo, perché li abbiamo sempre comunicati al governo. Già nel 2012, comunque, il governo Monti si era reso conto che questa prassi di chiudere nei centri d’accoglienza gli stranieri irregolari era inammissibile e aveva modificato le regole sulla libertà di circolazione delle persone». Tuttavia, se si guarda alla filosofia generale di approccio al problema sembra che i cambiamenti non siano stati molti, e il nostro paese rimane ancora oggi sotto gli standard di accoglienza di altri paesi europei. Sono ancora delle sentenze a raccontarcelo: «ci sono diverse decisioni di giudici di altri paesi che non rinviano in Italia degli stranieri che dovrebbero venire nel nostro paese secondo le regole di Dublino, scrivendo nelle sentenze che il sistema italiano non raggiunge lo standard di decenza minimo».
Eppure, la situazione di oggi va vista anche come un’opportunità per ripensare al sistema nel suo complesso. Almeno dieci paesi, tra cui anche l’Italia, sono appena stati richiamati dalla Commissione europea per il mancato rispetto delle regole sull’asilo e sull’identificazione dei migranti, e la risposta non può che essere unitaria. Il 14 settembre i capi di stato dell’Unione si incontreranno per elaborare strategie comuni e forme di risposta fondate non soltanto sulla volontà dei singoli Paesi. L’Europa, e non solo l’Italia, sul piano dell’umanità si giocano un pezzo importante di futuro.
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Migranti, perché l’Italia è condannata dall’Europa
Vladimiro Zagrebelsky
La Stampa, 2 settembre 2015
Nel pieno di un esodo imponente di persone che fuggono da aree del mondo disastrate dalle guerre e che raggiungono con ogni mezzo l’Europa per ottenerne protezione, la Corte europea dei diritti umani ha ieri pubblicato la sentenza su un ricorso contro l’Italia di alcuni cittadini tunisini, illegalmente arrivati e sbarcati a Lampedusa nel settembre del 2011. I tempi delle procedure giudiziarie seguono ritmi legati alle regole procedurali (e al sovraccarico degli organi giudicanti), ma facilmente vengono interpretati come intenzionali, per entrare nel dibattito politico del momento. Non è questo il caso della sentenza che ha affermato che l’Italia ha violato la Convenzione europea dei diritti umani. Il momento in cui la sentenza giunge è casuale, ma non irrilevante, perché aiuta a chiarire aspetti importanti del problema posto dal fenomeno migratorio in atto.
L’Italia è stata ritenuta responsabile di varie violazioni della Convenzione: quelle persone vennero private della libertà senza che ciò fosse previsto dalla legge italiana; non fu loro possibile esercitare dei ricorsi efficaci contro l’azione delle autorità; vennero espulse in modo «collettivo», sulla sola base del fatto che si trattava di tunisini e senza esame delle motivazioni di ciascuna; nel centro di prima accoglienza di Lampedusa infine le condizioni in cui vennero costrette erano degradanti. Su quest’ultimo punto la Corte si è basata principalmente sulle constatazioni di due commissioni, inviate rispettivamente dal Senato e dal Consiglio d’Europa.
La sentenza, pur fondata su precedenti decisioni della Corte europea riguardanti non solo l’Italia, è particolarmente severa nella parte in cui afferma di voler tenere conto delle gravi difficoltà che l’Italia si trovò (e si trova) ad affrontare, ma in realtà ben poco considera l’eccezionalità della situazione che le autorità italiane dovettero affrontare. Enorme era il numero dei migranti arrivati sull’isola ed eccezionale il sovraffollamento delle strutture; a ciò si era aggiunta una rivolta scatenata dai migranti con distruzioni e violenze. I ricorrenti, insieme a molti altri, dovettero d’urgenza essere trasferiti prima nello stadio dell’isola e poi sistemati su navi nel porto di Palermo. La Corte tuttavia, con il rigore che deriva dalle previsioni della Convenzione, ha affermato che il divieto di trattamenti inumani o degradanti è inderogabile e assoluto, in qualunque circostanza. Per le altre violazioni, d’altra parte, la Corte ha osservato che l’Italia non ha fatto ricorso alle possibilità di deroga che sono previste per i casi di emergenza.
Una sentenza rigorosa dunque, ma non sorprendente alla luce dei precedenti, anche se accompagnata dal dissenso di alcuni giudici. Se anche è possibile avanzare perplessità su alcuni suoi aspetti, è però ora utile vederne il significato nel contesto attuale in cui gli Stati europei si trovano. Questa sentenza indica che una cosa è il fenomeno sociale, politico e umanitario che gli Stati devono affrontare, altra cosa è la dimensione individuale delle vicende che riguardano persone.
La gravità, difficoltà e urgenza dei problemi legati alla gestione del fenomeno è evidente a tutti. Ma quando si considerano le singole persone il rispetto dei loro diritti fondamentali diviene centrale e ineludibile. Il trattamento cui i singoli sono sottoposti non può mai colpire le persone nella loro dignità di esseri umani, e le procedure da seguire per distinguere coloro che hanno diritto di esser considerati rifugiati o di ottenere una protezione umanitaria da coloro che invece possono essere espulsi, devono considerare la specificità della situazione di ciascuno. E qui si vede il senso della condanna dell’Italia per avere eseguito un’espulsione collettiva. Le autorità hanno agito sulla base di un accordo tra Italia e Tunisia, un accordo che era stato mantenuto segreto nelle sue previsioni. Ma la Convenzione europea, e tutti i documenti internazionali nella materia, obbligano gli Stati a valutare individualmente le ragioni che spingono le persone ad abbandonare il loro Paese per cercare rifugio altrove.
Bene agisce la Germania, secondo le ultime decisioni annunciate dalla cancelliera Merkel, che offre rifugio «collettivo» a tutti coloro che fuggono dalla Siria in guerra. Ma non avrebbe fondamento una pratica opposta che rifiutasse la protezione, in blocco, a tutti coloro che giungono da Paesi in astratto considerati «sicuri». L’esame della situazione di ciascun migrante non può limitarsi alla sola identificazione per l’accertamento della nazionalità, preliminare all’espulsione, come si fece nel caso deciso dalla Corte europea. Occorrono organizzazione e mezzi e si deve arrivare ad una decisione il più rapidamente possibile, per non lasciare molte persone in condizioni incerte, per se stesse e per le comunità che le ricevono.