Meno diritti umani, più posti di lavoro: la svolta della Svizzera sulle armi
Franco Zantonelli
www.repubblica.it
Per salvare qualche migliaio di posti di lavoro la Svizzera ammorbidisce la propria legge sull’esportazione di materiale bellico, suscitando l’ira degli anti-militaristi e l’indignazione di Amnesty International. La decisione, voluta dal Governo, è stata ratificata dal Parlamento federale, sia pure di misura, visto che i voti a favore sono stati 94 e quelli contrari 93.
“Le disposizioni attualmente in vigore – ha detto l’esponente del partito di destra Unione Democratica di Centro, Raymond Cottu – hanno portato a una sensibile diminuzione dei contratti, per le industrie del settore, con il rischio che 10 mila dipendenti debbano essere lasciati a casa. Dal nostro voto non dipende sicuramente la pace del mondo, ma indubbiamente la serenità di numerose persone, in Svizzera”.
Le cifre indicano, intanto, che la cifra d’affari dell’esportazione di armi svizzere sfiora il miliardo di franchi all’anno, oltre 800 milioni di euro, grazie a veri e propri gioielli quali il blindato per il trasporto di truppe, Piranha, o gli aerei d’addestramento, Pilatus. La sinistra non ci sta alle giustificazioni di ordine economico e, per bocca del deputato socialista, Pierre-Alain Fridez, ha fatto notare come “la notizia dell’utilizzo di munizioni di fabbricazione svizzera contro i manifestanti, in piazza Maïdan, a Kiev, è lì a dimostrare la delicatezza della questione”. Munizioni della RUAG, quelle impiegate in Ucraina: tre milioni di pezzi all’anno, vendute sia alle forze di polizia che agli eserciti
di mezzo mondo.
E, a questo riguardo, va detto che uno degli aspetti più controversi della revisione legislativa risiede nella possibilità, data ai fabbricanti di armi, di esportare, anche, verso paesi sospettati di violazione dei diritti umani quali, ad esempio, Egitto, Pakistan, Afghanistan e Arabia Saudita. “È vergognoso – ha tuonato Amnesty International – che la Svizzera dia priorità agli interessi economici, mettendo in pericolo la sua reputazione e il suo ruolo di pioniere, in materia di diritti umani”. Una preoccupazione condivisa, pure, da uno degli astri nascenti della destra, la deputata Natalie Rickli, che ha votato contro gli ordini di scuderia del suo partito, esprimendo le medesime perplessità degli anti-militaristi.
Ma la lobby dei fabbricanti di armi, alla fine, è riuscita a far passare la tesi secondo cui la legge restrittiva, in vigore fino a ieri, comportava “una diminuzione delle ordinazioni, per l’industria degli armamenti, con conseguente riduzione delle sue capacità”. A vantaggio, veniva fatto notare, di concorrenti europei con regole più disinvolte, quali Francia, Germania e Italia.
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Nigeria. I loschi affari dei commercianti svizzeri
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La Nigeria perde ogni anno miliardi di introiti per via delle esportazioni di petrolio grezzo venduto al di sotto del prezzo di mercato o delle frodi sistematiche alle sovvenzioni all’importazione di prodotti petroliferi raffinati: è quanto ha detto la Dichiarazione di Berna (Db) in un comunicato. La Db svela, in un rapporto, come i giganti svizzeri delle materie prime Trafigura e Vitol approfittano largamente della corruzione e dei problemi di governance in quel Paese, grazie a joint-ventures opache con la compagnia petrolifera nazionale. Non sono gli unici: anche Mercuria e parecchi commercianti nigeriani dotati di una filiale in Svizzera sembrano riempirsi le tasche.
Maledizione delle materie prime.
Primo produttore di grezzo in Africa, la Nigeria fa fatica a fare uscire la propria popolazione dalla povertà estrema. Il tasso di scolarizzazione e la speranza di vita dei suoi circa 173 milioni di abitanti si situano largamente al di sotto della media dell’Africa subsahariana. L’onnipotente Nigerian National Petroleum Corporation (Nnpc) svolge un ruolo decisivo in questa maledizione delle materie prime.
Le ricerche condotte dalla Db mostrano che, grazie a partner tanto esclusivi quanto opachi con la compagnia petrolifera nazionale, Trafigura e Vitol hanno insieme il dominio su circa il 26% delle esportazioni petrolifere nigeriane. Se si aggiungono ai trader svizzeri le società nigeriane dotate di una filiale elvetica, tale proporzione sale al 56%, vale a dire circa 14 miliardi di dollari.
Secondo i rapporti d’inchiesta ufficiali, il petrolio è spesso venduto a prezzi inferiori ai prezzi di mercato. Inoltre, queste transazioni sono spesso realizzate tramite strutture domiciliate nei paradisi fiscali, il che rafforza i sospetti di corruzione.
La Nigeria costretta a importare benzina.
A motivo della mancanza di capacità delle proprie raffinerie, la Nigeria è paradossalmente costretta a importare benzina, cherosene e gasolio. Un sistema complesso di sovvenzione all’importazione ha dato luogo a una delle più vaste frodi che abbia conosciuto il continente africano, con non meno di 6, 8 miliardi di dollari di sussidi indebitamente percepiti tra il 2009 e il 2011. Le inchieste in corso condotte dalla brigata nigeriana incaricata della criminalità finanziaria mostrano che gli stessi commercianti svizzeri che dominano le esportazioni nigeriane di grezzo non esitano a trattare con ditte locali dubbie, a volte senza capacità operative o, come nel caso di Mercuria, appartenenti a persone politicamente esposte. Nell’ambito di questa vicenda, cinque commercianti genovesi sono oggetto di una domanda di collaborazione giudiziaria rivolta a Berna da parte delle autorità di Abuja. Il rapporto della Db indica d’altra parte che almeno sette degli «importatori» nigeriani coivolti in questa frode sono dotati di una filiale in Svizzera.
Il caso della Nigeria illustra perfettamente l’influenza che possono avere le pratiche di affari delle ditte commerciali svizzere nei Paesi in via di sviluppo. Il parlamento e il Consiglio federale devono di conseguenza prendere misure al fine di garantire che le società basate in Svizzera non siano una componente del problema. Il programma seguente per maggiore trasparenza e diligenza deve essere adottato e attuato:
– pubblicazione di tutti i pagamenti fatti dai commercianti ai governi: questa misura di trasparenza deve dissuadere i funzionari dello Stato (ad esempio della Nnpc) dal dirottare i proventi delle materie prime;
– le ditte commerciali svizzere devono essere legalmente sottoposte a doveri di diligenza nella scelta dei propri partner commerciali e devono essere sottoposte all’obbligo di chiarire l’origine delle materie prime che acquistano;
– bisogna imperativamente stabilire un registro pubblico degli aventi diritti economici delle società, al fine di rivelare i beneficiari che si nascondono dietro le società schermo nigeriane stabilite a Ginevra e di chiarire i sospetti di corruzione.
Il 31 ottobre scorso, il governo britannico ha annunciato che avrebbe pubblicato entro breve tempo un tale registro degli aventi diritti economici (Ultimate beneficial ownership). Si tratta del primo Paese a mettere in atto una tale misura. Esso ha inoltre annunciato la messa in atto, a livello nazionale, fin dal 2014, delle regole di trasparenza dei pagamenti adottate dall’Ue per il settore delle materie prime.