Il Babbo Natale di classe

Anna Lombroso
ilsimplicissimus2.wordpress.com

Ci sono episodi e incontri folgoranti che favoriscono la conoscenza e quindi la coscienza. Da bambina ho avuto consapevolezza delle disuguaglianze e dell’iniquità crudele che le muove in un Natale nella villa di amici dei miei genitori, quando il padrone di casa travestito da magnanimo e burbanzoso Babbo Natale, distribuì doni scelti apparentemente a caso in una grande gerla, ai bambini di dipendenti e maestranze della sua azienda. Così quelli più grossi che strabordavano dal cesto, andarono ai bambini dei più fedeli e contigui alla dinastia, schierati in prima fila, riconosciuti e chiamati per nome, che poterono scartare febbrilmente scatoloni di meccano, trenini e grandi bambole parlanti, mentre in fondo, sommersi, restavano involtini di libri educativi e edificanti, involti con guanti e sciarpe ruvide, più adatti a meno noti, meno contigui, sommersi anche loro. E per chi non era stato invitato, niente strenne.

Mi sono ricordata di quei doni, elargizione a una sudditanza compiacente, in occasione delle dichiarazioni del segaligno premier senza berretto col pompon ma con altrettanto cinismo selettivo, che rivendica come in uno spot che ci perseguita puntualmente ogni anno, di non essere Santa Claus, ma un prudente pater familias. Deve aver avuto un’infanzia infelice se fa suo un uso di mondo di selezioni crudeli e implacabili tra figli e figliastri, tra meritevoli di omaggi ben impacchettati e quelli cui invece non tocca niente, salvo qualche punizione. Perché quella dissipata, occasionale e apparentemente scriteriata distribuzione di quattrini chiamata Legge di Stabilità, così come misure irrazionali, aberranti e estemporanee per via della eufemistica di governo sono state chiamate riforme, segue invece criteri rigidissimi: premiare influenti gruppi di pressione, aggressivi postulanti da cui riscuotere gratitudine pronta cassa, riconfermare un sistema di privilegi e licenze, compreso un condono promettente di altri a seguire, a chioschi e stabilimenti abusivi nelle spiagge, comprese le norme per punire comuni e regioni ostili a limitare l’installazione delle micidiali macchine succhia soldi, tutte misure intese a riaffermare la necessità irriducibile di sancire le differenze, di trasformare i diritti in benevole elargizioni e le garanzie in arbitrari privilegi.

È un padre di famiglia feroce, un Robin Hood al contrario, quello che toglie ai poveri per dare ai ricchi e al suo “ceto”, intento a difendere sostanziose indennità, con le eccezioni di M5S e della Lega che si è astenuta, molto rimproverati dalla manierata Presidente che preferisce il bon ton alla trasparenza, retrocedendo la questione morale a questione di etichetta, quando ai costi della politica si fa fronte restituendo a un muscolare immobiliarista i pingui canoni dovuti per l’affitto di vasti uffici parlamentari, incautamente aboliti da un emendamento del solito grillino.

Eppure perfino Confindustria sospetta che la crisi, ma anche le ricette per fronteggiarla abbiano provocato “danni commisurabili solo a quelli di una guerra”, eppure i disoccupati sono raddoppiati e i poveri sono aumentati di tre milioni, eppure fermenti di collera, sussulti di rabbia incontenibile serpeggiano nel paese, eppure si allarga la voragine che divide chi non ha, non ha più, non ha mai avuto, da un ceto remoto, sprezzante, impotente e inadeguato, che agisce in preda a una hybris folle e potenzialmente suicida.

Promuovono grandi eventi, perseguono il folle disegno edificatorio di grandi opere invasive e pesanti, spingono nella direzione della privatizzazione dei beni comuni, assecondando un progetto di crescita che dovrebbe realizzarsi senza rimuovere le differenze, senza preoccuparsi della ridistribuzione degli utili, indifferenti alla qualità degli investimenti e dei profitti, incuranti della stagnazione dei redditi, dell’indebitamento di larghi segmenti di cittadinanze e della contrazione irreversibile dei consumi, perché è sulle disuguaglianze che si colloca la superiorità inviolabile dei loro padroni e la loro.

Si vede che non siamo stati buoni, se la nostra sovranità si regala a poteri sovranazionali, se i nostri diritti si omaggiano a un padronato senza frontiere che ci vuole mobili, spaesati e ridotti in servitù, se il nostro patrimonio artistico, monumentale e paesaggistico è in svendita come in un mercatino di Natale, se la nostra Carta non serve nemmeno ad avvolgere un sistema elettorale che sostituisca quello delegittimato, se ci siamo fatti togliere quella democrazia che avevamo avuto in prestito e che dovevamo conservare.

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Miracolo del governo Letta: pioggia di milioni sulla Scuola privata

Cecilia M. Calamani
www.cronachelaiche.it

Il Vaticano con tutte le sue diramazioni politiche esulta per la Legge di Stabilità, che foraggia le scuole paritarie al di là delle aspettative. In barba alla crisi, gli istituti privati parificati potranno contare su 500 milioni di euro per quest’anno e 500 per il prossimo.

Intervistato dalla rivista ciellina Tempi, il sottosegretario all’Istruzione Gabriele Toccafondi, anch’egli ciellino, esulta: «Se questi fondi non fossero stati reintegrati, le scuole paritarie sarebbero sicuramente andate incontro a un taglio degli stanziamenti pari al 45 per cento, che sarebbe automaticamente corrisposto a un raddoppio delle rette». Ma non basta: Imu e Tares ne minano ancora la sopravvivenza. «Secondo me – continua Toccafondi – il vero tema è riuscire a far comprendere che, così come sarebbe assurdo far pagare l’Imu alle scuole statali, lo è altrettanto farla pagare a quelle paritarie, che non sono affatto scuole “di élite” o in alcun modo esclusive, ma sono scuole normalissime, gestite da enti no profit e senza scopo di lucro, la cui unica ragione d’esistere è l’educazione degli studenti. Scuole che, pertanto, al pari di quelle statali, svolgono un servizio pubblico e aiutano tanto le famiglie quanto lo Stato a risparmiare».
Gli «enti no profit e senza scopo di lucro», naturalmente, sono la Chiesa. E l’«educazione degli studenti» di cui parla il sottosegretario è quella cattolica, in un Paese laico che dovrebbe garantire istruzione gratuita e aconfessionale a tutti i cittadini.

Ma alla fine Toccafondi tutti i torti non li ha, nonostante l’articolo 33 della Costituzione dica espressamente che «enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato». Già, perché dal 2000 le scuole paritarie fanno parte a tutti gli effetti del sistema pubblico di istruzione. E non certo grazie a uno dei ministri clericali dei governi Berlusconi, ma per mano di un ministro di sinistra, Luigi Berlinguer (oggi Pd), che con apposita legge stabilì: «Il sistema nazionale di istruzione, fermo restando quanto previsto dall’articolo 33, secondo comma, della Costituzione, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali». Il che non annulla certo il veto costituzionale al finanziamento degli istituti privati, ma lo annacqua e ne rende incerti i confini.

Dal centrosinistra è partita dunque la presunta parità tra istituti statali e istituti privati, ed è ancora un governo guidato dal Pd, se pur di larghe intese, che perpetua l’anticostituzionale sostentamento mentre al contempo blocca gli stipendi degli insegnanti statali per tutto il 2015 (c’è la crisi!). Il cavallo di battaglia del Pd quando era all’opposizione, il potenziamento dell’istruzione pubblica contro il suo sistematico smantellamento ad opera del duo Moratti-Gelmini, è solo un ricordo. Ora le energie sono tutte rivolte a trovare un collante con gli Alfano, i Formigoni e i Giovanardi, che danno ossigeno al governo mentre lo tolgono al Paese.