Maradiaga: “Così Francesco cambierà la Chiesa”

Roberto Monteforte
www.unita.it, 6 ottobre 2013

La riforma della Curia sarà condivisa, l’orizzonte è l’applicazione del Concilio Vaticano II: a questo si ispirano le scelte di Papa Francesco e la sua rivoluzione gentile. Lo afferma il cardinale honduregno Oscar Maradiaga, presidente della Caritas internazionale, che il pontefice ha voluto a capo del Consiglio dei cardinali, il nuovo organismo (il G8) composto da porporati di tutti e cinque i continenti, chiamato a consigliarlo proprio sulla riforma della Curia e sulle scelte di governo della Chiesa. Papa Bergoglio ha voluto che lo accompagnassero nel suo pellegrinaggio ad Assisi dopo tre giorni di lavoro.

Il Papa l’ha voluta a capo del Consiglio dei cardinali impegnato nella riforma della Curia romana. Giovedì avete concluso la vostra prima sessione di lavoro. Quali sono le priorità?
«La priorità indicata dal Santo Padre è la riforma del Sinodo dei vescovi, l’organismo della Chiesa che aiuta il pontefice nelle sue decisioni. Papa Francesco vuole che tutti coloro che sono chiamati a farne parte continuino a dare il loro apporto anche dai loro Paesi, lavorando in modo interattivo, usando anche Internet. Mi sembra interessante. Perché la sinodalità, il rapporto di collaborazione dei vescovi con il pontefice, indicata dal Concilio Vaticano II, non è stata molto sviluppata. Invece il Papa vuole che si continui in quella direzione. Già la prossima settimana vi sarà una riunione della segreteria del Sinodo presieduta dal suo nuovo responsabile, monsignor Baldisseri, per impostare il prossimo Sinodo…».

Qual è la scaletta dei problemi che intendete affrontare?
«Oltre al Sinodo abbiamo da affrontare la riforma della Segreteria di Stato e la ristrutturazione della Curia romana e dei suoi dicasteri».

Sarà introdotta la figura di un moderator curiae?
«È un’idea nata durante le riunioni dei cardinali che hanno preceduto il Conclave e pensata per aiutare e facilitare il lavoro del segretario di Stato. Non sappiamo ancora quali saranno le sue competenze. Non ne abbiamo ancora discusso. Ci sono delle proposte. I cardinali che fanno parte della commissione hanno fatto dei sondaggi nei loro continenti e hanno raccolto un materiale molto prezioso e interessante. È molto importante avere tanta partecipazione da parte di tutta la Chiesa a questo nostro lavoro. Anche il cardinale Bertello, prefetto del Governatorato della Santa Sede, ha fatto un lavoro bellissimo raccogliendo i suggerimenti avanzati dalla stessa Curia romana. Ora stiamo sistematizzando tutto questo materiale».

Per ripensare completamente o correggere l’attuale modello della Curia?
«Quelli che proporremo non saranno ritocchi, ma una riforma della Curia. Ci vorrà del tempo. Non aspettatevi che arrivi l’anno venturo. Perché vogliamo che il progetto sia discusso con coloro che vivono quelle situazioni, che hanno esperienza, perché diano il loro apporto».

Ma nel frattempo ci saranno già dei cambiamenti come l’accorpamento di dicasteri di curia?
«È una necessità evidente. Nelle riunioni dei cardinali che hanno preceduto il conclave si è osservato che la Curia è cresciuta troppo e che è difficile possa lavorare agilmente. Non posso dire ora quali potranno essere i possibili accorpamenti perché abbiamo appena iniziato ad esaminare le situazioni dei diversi dicasteri. Vedremo».

Ma non c’è uno studio del cardinale Nicora che prevede di accorpare i dicasteri «economici» in un unico dicastero?
«Non abbiamo ancora affrontato questo punto. Stiamo aspettando che concludano il loro lavoro le due commissioni istituite dal pontefice proprio sui dicasteri e sugli istituti che sovraintendono alle attività economiche. Ma certo non si capisce perché il Vaticano, come gli altri Stati, non possa avere un suo “ministero” delle finanze e raggruppare tutti gli attuali dicasteri che si occupano di questioni economiche seguendo l’ipotesi di lavoro avanzata dal cardinale Nicora».

Lo Ior resterà così o cambierà?
«Molti nella Chiesa si aspettano la sua trasformazione in una banca etica. Va superata l’attuale ambiguità di una fondazione che non è una banca. Se ne stanno occupando altre due commissioni. Aspettiamo che finiscano il loro lavoro per occuparcene. Comunque, la trasparenza è la migliore risposta anche per decidere sul suo futuro».

Con Papa Francesco la Chiesa pare aver cambiato passo ed essere più vicina ai drammi dell’uomo…
«Le vie della provvidenza sono quelle che veramente guidano la Chiesa. Nessuno aveva sospettato che con Giovanni Paolo II venuto dalla Polonia sarebbe caduta la Cortina di ferro. Dopo, Papa Benedetto ha messo salde fondamenta teologiche a cose fondamentali come l’amore, la speranza e la fede. Adesso con Papa Francesco è venuto il momento di avvicinare più il popolo di Dio attraverso l’affetto e anche attraverso cose semplici, ma essenziali per la vita cristiana che toccano i problemi di ogni giorno e soprattutto toccano i cuori. Siamo a questa tappa della Provvidenza che porta ad essere più vicini agli insegnamenti del Concilio Vaticano II. Anche la riforma della Curia risponde a questa esigenza: non un organismo fuori dal mondo o sopra il mondo, ma nel mondo e che cerca di servirlo. È il concetto che Francesco ha dell’autorità: quella del servizio».

Richiamava la vicinanza di Papa Francesco ai drammi dell’uomo. Quanto la giornata di preghiera e digiuno per la pace in Siria ha inciso nelle scelte dei potenti?
«È stato quasi un miracolo. Quelle sanzioni che gli Stati Uniti volevano applicare alla Siria avrebbero portato alla guerra e i missili avrebbero portato ancora più distruzioni e sofferenza. Invece, questo appello di Papa Francesco e la sua lettera al presidente russo Putin hanno avuto un effetto straordinario. Lo considero un passaggio importantissimo nella storia del mondo. È stata una scossa salutare alle coscienze di tutti».

L’altra denuncia fortissima del Papa è stata sull’immigrazione. Un problema drammatico anche nel suo Paese.
«Per evitare queste tragedie occorre una vigilanza migliore contro i trafficanti che approfittano di questo dramma. Poi vanno stimolati i governi ad avere cura della gioventù. Non c’è interesse per il destino di tantissimi giovani. Non hanno un orizzonte. È un dolore. Questo è uno degli effetti di una globalizzazione che ha finito per rafforzato i monopoli e colpito i piccoli imprenditori. Non solo sul profitto deve basarsi l’economia. Occorre più solidarietà».

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Elemosine e liturgia. Francesco le vuole così

Sandro Magister
http://chiesa.espresso.repubblica.it

La riforma complessiva della curia vaticana è ancora tutta da scrivere, da parte degli otto cardinali ad essa deputati. Ma intanto papa Francesco procede per conto suo. Con i fatti. Un ufficio, quello dell’elemosiniere pontificio, l’ha già riformato in pieno. Collocandovi un uomo di sua fiducia e mettendolo subito all’opera in modo nuovo. E anche in un’area cruciale come la liturgia ha iniziato a fare dei cambiamenti tali da creare un’attesa febbrile su quelli che saranno i passi successivi.

MANO DEL PAPA TRA I POVERI

Dal 3 agosto il nuovo elemosiniere pontificio è l’arcivescovo Konrad Krajewski, 50 anni, polacco, che è stato a lungo uno dei cerimonieri delle liturgie papali, ma che papa Francesco ha premiato soprattutto per l’attività volontaria che contemporaneamente svolgeva, quella di mettersi al confessionale ogni pomeriggio, di visitare dei malati e di avvicinare ogni sera i poveri che popolano i dintorni della basilica di San Pietro, portando loro cibo e conforto Nominandolo suo elemosiniere, papa Jorge Mario Bergoglio gli ha detto anche come ridisegnare i compiti di questo ufficio: “Non starai dietro una scrivania a firmare pergamene. Ti voglio sempre tra la gente. A Buenos Aires uscivo spesso la sera per andare a trovare i poveri. Ora non posso più: mi è difficile uscire dal Vaticano. Lo farai tu per me”. Così ha riferito Krajewski a “L’Osservatore Romano” del 4 ottobre, in un’intervista in cui spiega le sue nuove mansioni. Tradizionalmente, l’elemosiniere pontificio spediva pergamene con la benedizione papale a chi ne faceva richiesta. E con il ricavato, assieme ad altre offerte, faceva arrivare a persone in stato di bisogno delle “modeste elargizioni”, che ultimamente ammontavano a poco meno di un milione di euro all’anno. Con papa Francesco, l’elemosiniere porterà gli aiuti di persona. Dice Krajewski: “Faccio un esempio. Se qualcuno chiede aiuto per pagare una bolletta [della luce o del gas], è bene che io vada, se possibile, a casa sua a portare materialmente l’aiuto, per fargli capire che il papa, attraverso l’elemosiniere, gli è vicino”. Nei giorni scorsi, dopo che centinaia di profughi in fuga dalla Siria, dall’Eritrea e da altri paesi africani erano annegati nel Mediterraneo di fronte a Lampedusa, Krajewski si è recato in quell’isola, già visitata da Francesco l’8 luglio, a benedire i corpi ricuperati dal mare, a visitare i superstiti, a far percepire loro la vicinanza del papa e a “dare a ciascuno un consistente aiuto per le necessità più immediate”. Ogni sommozzatore che scendeva in acqua per ricuperare un corpo – ha informato “L’Osservatore Romano” – “portava con sé una coroncina del rosario benedetta da papa Francesco”. Per la futura curia riformata, l’elemosiniere pontificio dunque c’è già. E rimesso a nuovo. Quanto al predecessore di Krajewski, l’arcivescovo Guido Pozzo, già stretto collaboratore di Joseph Ratzinger alla congregazione per la dottrina della fede, è stato rimandato in un ruolo a lui più congeniale, quello di segretario della “Ecclesia Dei”, la commissione pontificia che vigila sull’applicazione del motu proprio “Summorum pontificum”, ha in cura i gruppi cattolici più tradizionalisti e si sforza di riconciliare con la Chiesa di Roma i seguaci dell’arcivescovo scismatico Marcel Lefebvre. Ma con un papa come Francesco, non solo una rappacificazione con i lefebvriani appare esclusa, ma anche per i cattolici tradizionalisti il futuro si profila incerto. Già le prime mosse di Bergoglio in campo liturgico hanno precipitato questi ultimi nello sconforto.

TRE RAGIONI DI UN ALLARME

In campo liturgico le decisioni pubbliche prese finora da papa Bergoglio sono state due. La prima è quella che ha fatto più rumore: il divieto imposto alla congregazione dei frati francescani dell’Immacolata di celebrare la messa in rito antico. Tale divieto è stato visto come una limitazione di quella libertà per tutti di celebrare la messa in rito antico che Benedetto aveva assicurato con il motu proprio del 2007 “Summorum pontificum”. L’intenzione di papa Ratzinger – espressa in una lettera ai vescovi di tutto il mondo – era di restituire alla liturgia cattolica lo “splendore di verità” offuscato da tante innovazioni postconciliari, grazie a un vicendevole arricchimento tra le due forme antica e moderna del rito romano. L’opinione in proposito di papa Francesco è invece più riduttiva. Nell’intervista a “La Civiltà Cattolica” ha detto che la facoltà di celebrare in rito antico è una semplice concessione alle nostalgie di “alcune persone che hanno questa sensibilità”. Con i tradizionalisti Bergoglio non è tenero. Nella stessa intervista ha giudicato “preoccupante il rischio di ideologizzazione del ‘vetus ordo’, la sua strumentalizzazione”. E in altre due occasioni li ha bollati come fautori di una “restaurazione di condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere
La seconda decisione presa da papa Francesco in campo liturgico è stata di sostituire in blocco i cinque consultori dell’ufficio delle celebrazioni papali. Mentre i precedenti erano in sintonia con lo stile celebrativo di Benedetto XVI, tra i nuovi ricompaiono invece alcuni dei più accesi fautori delle innovazioni introdotte negli anni di Giovanni Paolo II sotto la regia dell’allora maestro delle cerimonie pontificie Piero Marini. Corrono voci in Vaticano – nel terrore degli amanti della tradizione – che Piero Marini possa essere nominato da Bergoglio addirittura prefetto della congregazione per il culto divino. Ma anche se queste voci risultassero infondate, resta il fatto che le attuali liturgie papali si differenziano vistosamente da quelle di Benedetto XVI. Il picco di questa diversità è stata la messa celebrata da Francesco sulla spiaggia di Copacabana, al termine della giornata mondiale della gioventù di Rio de Janeiro, con il “musical” fatto irrompere nel cuore stesso della liturgia, con solisti, cori e ritmi da stadio. Ma pur senza arrivare a questi eccessi, vi sono elementi ricorrenti, nello stile celebrativo dell’attuale papa, che hanno negativamente colpito alcuni fedeli. Nella messa, dopo la consacrazione del pane e del vino, papa Francesco non fa mai la genuflessione prescritta dalla liturgia, ma solo si inchina. E a Rio de Janeiro, durante la veglia notturna trasmessa in mondovisione, nell’adorazione del santissimo sacramento non si è messo in ginocchio, ma è stato in piedi o seduto. È anche vero, però, che al termine della giornata di preghiera e digiuno per la pace da lui indetta il 7 settembre, nell’adorazione eucaristica in piazza San Pietro è stato a lungo in ginocchio. E va anche ricordato che nel volo di ritorno da Rio de Janeiro papa Francesco ha espresso ammirazione per le liturgie orientali, dense di sacralità e di mistero e fedelissime alla tradizione. Con queste parole: “Le Chiese ortodosse hanno conservato quella pristina liturgia, tanto bella. Noi abbiamo perso un po’ il senso dell’adorazione. Loro lo conservano, loro lodano Dio, loro adorano Dio. Abbiamo bisogno di questo rinnovamento, di questa luce dell’Oriente”.
Tra i cinque nuovi consultori dell’ufficio delle celebrazioni papali Francesco ha infatti incluso anche un monaco di rito orientale, Manuel Nin, rettore del Pontificio Collegio Greco di Roma. Al fianco di consultori di tutt’altre vedute come il servita Silvano Maggiani e il monfortano Corrado Maggioni, entrambi della squadra di Piero Marini. C’è insomma in Bergoglio un’oscillazione nelle nomine, nei gesti e nelle parole che rende difficile interpretare le sue decisioni e ancor più prevedere le sue mosse future.

Ma oltre alle due decisioni citate, papa Francesco ne ha presa in via riservata anche una terza: ha bloccato l’esame intrapreso dalla congregazione per la dottrina della fede sulle messe delle comunità neocatecumenali. L’ordine di accertare se in queste messe si compiano degli abusi liturgici, e quali, era stato dato personalmente da Benedetto XVI nel febbraio del 2012. L’avvio dell’esame era risultato decisamente sfavorevole al “Cammino” fondato e diretto da Francisco “Kiko” Argüello e Carmen Hernández, da sempre molto disinvolti nel modellare le liturgie secondo i loro criteri. Ma ora essi si sentono al sicuro. Hanno avuta la conferma dello scampato pericolo dallo stesso papa Francesco, in una udienza loro accordata il 5 settembre. Quello che è certo è che l’attuale papa, in quell’intervista a “La Civiltà Cattolica” che è il manifesto del suo avvio di pontificato, nel descrivere la riforma liturgica postconciliare mostra di concepirla in termini puramente funzionali: “Il lavoro della riforma liturgica è stato un servizio al popolo come rilettura del Vangelo a partire da una situazione storica concreta”. Se Bergoglio fosse un allievo del professor Ratzinger – grandissimo studioso e innamorato di quella liturgia che il Concilio Vaticano II ha definito “culmine e fonte” della vita della Chiesa – vedrebbe queste sue righe segnate con la matita blu.