Combatteremo il femminicidio quando uomini e donne parleranno insieme

Monica Pepe
www.minimaetmoralia.it

E’ molto più che apprezzabile l’analisi di Christian Raimo apparsa su Europa lo scorso 24 agosto sulla questione del femminicidio. Sia per il punto di vista maschile da cui parte sia per lo sforzo di mettersi in discussione in prima persona, il partire da sé per l’appunto appreso dai testi elaborati dal femminismo degli anni ‘70.

E’ molto importante, da uomo di cultura, riportare su se stesso atteggiamenti considerati violenti se fatti da altri uomini che le stesse cronache ci consegnano come “normali” o addirittura affascinanti se letti in un caposaldo della letteratura o visti al cinema. E’ più discutibile parlare di uomini maltrattanti “che per brevi periodi, in certe circostanze particolarmente dolorose, possono trasformarsi in persone terribili: possono impazzire”. Inserire il concetto di “impazzimento momentaneo” o più giornalisticamente inteso come “raptus” credo sia pericoloso, perchè di fatto costruisce un’attenuante per tutti noi che dall’altra parte ci possiamo considerare “normali” proprio perché qualcun altro, impazzendo dall’altra parte di una barricata invisibile al posto nostro, anestetizza il potenziale violento o labile che alberga in ognuno di noi.

Anche da un punto di vista medico e psicologico è un’affermazione arbitraria, perché non esistono uomini né donne che “impazziscono” perché non vanno d’accordo con il loro partner, mentre è certo che all’interno delle coppie accadono quelli che tutti conosciamo e probabilmente abbiamo in parte vissuto come scatti d’ira, perdita del controllo, urla, offese verbali, pressioni o violenze psicologiche, fisiche e sessuali, che quando non vengono gestite degenerano in escalation narcisistiche e violente.

Normalità o complessità.

La “normalità” non è solo un orizzonte mentale che ci impone il perbenismo sociale ma è anche un desiderio profondo che, insieme ad altri anche opposti, la nostra psiche proietta come esseri umani, di più se occidentali e culturalmente strumentati.

Parliamo sempre di uomini da una parte e di donne dall’altra -come se fossimo sempre “l’uno contro l’altro armati”- e così eludiamo una questione esistenziale centrale, il desiderio che irrompe inesorabile verso ciò che è diverso da noi da quando ne abbiamo memoria, una insopprimibile forza vitale che ci consente di armonizzare due bisogni fondamentali: il senso di protezione e appartenenza a qualcosa che è già dato e che dovrebbe poi diventare la nostra identità, e la tensione verso ciò che è diverso da noi, l’attrazione e la repulsione che guida la maggior parte dei nostri pensieri e agìti.

La violenza non nasce forse dalla incapacità di sostenere e gestire la non linearità dell’andamento delle relazioni d’amore e sessuali e quindi il conflitto?

Lea Meandri in “Come nasce il sogno d’amore” (Rizzoli 1998, Bollati 2001) scrive che “Il sogno d’amore, inteso come fusione assoluta, miracolosa, che di due esseri complementari fa un solo essere armonioso, è l’eredità più arcaica che la memoria del corpo consegna alla storia. Ma è, nel medesimo tempo, la copertura più efficace dell’aggressione che ha comportato, da parte dell’uomo, tenere presso di sé l’oggetto sessuale che per primo gli ha dato cibo e piacere. Il possedere e l’essere posseduti hanno un suono diverso se a coniugarli è il linguaggio amoroso e la fredda logica del potere”.

Un’analisi molto efficace e sempre attuale, che a maggior ragione impone oggi un salto in avanti per non vederci tutti, e tutte, vittime predestinate di un evento biologico che permette da sempre all’umanità di proseguire il suo cammino nella Storia.

L’amore e la coppia

Se a questo salto diamo il nome di Relazione e nella sua fase più matura di Coppia, non ci inventiamo nulla visto che nella cultura e nella percezione pubblica degli anni ‘70 e ‘80 era un tema di discussione centrale. Oggi no.

Certo il contesto culturale e storico era molto più rigido e maschilista ma anche molto più avanguardista e divincolato di quello attuale e questo autorizzava le persone a praticare da sole o insieme ad altre dei livelli di scambio e di emancipazione personale oggi inimmaginabili. La sperimentazione della coppia e della relazione sessuale tra due persone è ancora oggi l’unico asse portante e preliminare di ogni realtà familiare, chiama le donne e gli uomini ad assumere prima verso di sé come individui e poi verso l’altro la responsabilità delle proprie scelte. Segna una linea netta tra quello che c’è prima dei figli e quello che viene dopo. In un articolo pubblicato il 27 agosto da Repubblica, apprendiamo che dati alla mano le ventenni inglesi “contrariamente alle madri, preferiscono matrimonio e figli alla carriera”. Oltre al fatto che in Italia avere dei figli o un lavoro è diventato un lusso o una prova di resistenza, cosa vuol dire questo? Perché l’immaginario è sempre schiacciato sulla coppia madre-figlio? I figli sono sempre pensati da uomini e donne -qualsiasi siano state le circostanze, ovviamente non violente- e non si tratta mai di una questione biologica in principio, c’è sempre un pensiero più o meno consapevole o inconscio dietro. Anzi sarebbe utile risignificare culturalmente quell’“orologio biologico” con cui piace rappresentare le donne nella fascia centrale della loro esistenza, destinandole nell’immaginario ad un atto compulsivo più che a un desiderio di futuro o a una accelerazione della propria identità, su cui certo la pratica del partire da sé aiuterebbe moltissimo a comprendere.

Ma quale è la realtà sociale di oggi se la misuriamo alla “strada”, a quello che vediamo con i nostri occhi? Ci sono molti più padri che tengono in braccio i loro figli certo, ma quante sono le madri -in situazioni culturali molto più differenziate tra di loro rispetto al passato- che gestiscono “padrone uniche” i loro figli restituendo a donne e uomini la fotografia di due destini segnati? Chi è il grande assente, simbolico e non, se non l’uomo, il padre?

In Italia oggi la maionese della violenza così come rappresentata corre il rischio mescolare nel frullatore crisi economica e arretramento culturale di uomini inchiodati al loro nuovo identikit mediatizzato di maschi violenti o esseri fragili che va a soppiantare quello di latin lover o vittime di donne belle e astute che hanno popolato la musica e il cinema italiano per molti decenni. Ma è questa la verità profonda dei vissuti? E le donne? Sono solo vittime o hanno un ruolo nella spirale della violenza quando tracima all’interno di relazioni strutturate? Qui non si tratta di distribuire accuse o sentenze, come prevede il recente Decreto sul femminicido, e non solo di richiamare anche le donne adulte alla responsabilità che hanno innanzitutto nei confronti di se stesse, ma di comprendere quanto sia complessa la questione della violenza tra un uomo e una donna, quanto i livelli di collusione e di complementarietà all’interno delle relazioni strutturate vadano a pescare nei vissuti antichi delle persone; quanto la forza psicologica delle donne risulti sempre più intollerabile per molti uomini. Saremmo degli ipocriti se non dicessimo quante volte attorno a noi vediamo uomini “succubi” delle donne con cui si relazionano, se non parlassimo dell’abuso della maggiore forza psicologica delle donne a cui gli uomini non sanno contrapporre che violenza. Lo dimostra l’esito tragico sempre più frequente in cui dopo l’eliminazione diretta della compagna o della ex molti uomini si tolgono la vita. Dell’essere maschi violenti il lavoro di Olivier Malcor di Parteciparte “Alla periferia del maschile” con i Sex Offenders reclusi dentro al Regina Coeli, realizzato insieme alla Cooperativa Be Free, traccia un profilo di grande rispetto e intelligenza. Se non accogliamo e lavoriamo culturalmente su questa complessità o su come i figli siano spesso usati come superficie di proiezione della disfunzione della coppia -e ripeto coppia, mai di un genitore solo- nessun lavoro a lungo termine potrà portare frutto.

A proposito del Decreto Legge, ancora una volta le Istituzioni impugnano la violenza sulle donne e la guerra tra i sessi per legittimare un obiettivo repressivo, ieri era per colpire immigrati e Rom, oggi con la crisi che morde per punire le lotte sociali che difendono lavoro, ambiente e salute delle persone. E’ una vergogna di cui ha detto tutto Loredana Lipperini nel suo blog. Di un programma nazionale di educazione affettiva e sessuale nelle scuole nel Decreto non c’è traccia, e allora ci stanno prendendo in giro.

Partire da sé o diventare adulti?

Cosa vuol dire questa formula così suggestiva per chi è più acculturato e forse così retorica per la maggior parte delle persone di entrambi i sessi. Tutte le persone hanno una incrollabile verità interiore, quella di conoscersi come nessun altro al mondo potrebbe, ed è in parte inconfutabile. Ma la pratica del nostro inconscio, del nostro “Io” più nascosto alla maggior parte degli uomini e delle donne adulte è da scansare con sufficienza o semplicemente non accessibile.

Il mal di vivere è sempre esistito, ma c’è da dire che il dettato sociale così rigido di una volta imponeva agli uomini e alle donne di stare con maggiore responsabilità dentro al contenitore familiare e alla famiglia di “tenere”, anche con le sue contraddizioni e violenze. Senza rimpianti, ma l’assenza generalizzata di contenimento oggi sia da parte delle famiglie che della “strada”, reale e mediatica, moltiplica il danno. In un momento politico in cui bisogna ricordare che sono stati gambizzati i fondi per le Comunità terapeutiche e azzerati i servizi psicologici a cui molti adolescenti vorrebbero accedere. E come ti emancipi oggi dalla tua famiglia senza trovare un lavoro e avere l’autonomia economica necessaria per andare via da casa?
E allora quando la parte più oscura del proprio io è segnata da una realtà familiare di madri e padri assenti, confusi o violenti, l’unica ideologia possibile rimane sin da giovani l’altro o l’altra, unico specchio e sbocco possibile dei propri conflitti interiori.

Di nuovo uomini da una parte e donne dall’altra, come se prima di tutto non fossimo “persone”, come se una frattura biologica fosse un destino e non il perno della nostra identità su cui incardinare e plasmare la nostra ricchezza più grande, la nostra Umanità che è anche il vaso comunicante per eccellenza che permette di travalicare qualsiasi differenza -sessuale, sociale e di classe… finché mercato e tecnologia non ci separi. Perché tutto oggi lavora nella direzione dell’alienazione da sé della propria storia. Insomma non si può incontrare l’altro e gestire il naturale conflitto che ne deriva, senza aver prima incontrato se stessi o se stesse.

E allora proviamo a dare corpo sociale a questo partire da Sé, ricostruendo una cultura collettiva di senso del crescere e di affrontare insieme le difficoltà del vivere. I ragazzi e le ragazze hanno bisogno di adulti che diano l’esempio con atti concreti e coerenti, ma questo può accadere solo se gli adulti sono responsabili e si contengono dal collassare continuamente dentro la vita dei minori con i loro problemi, proteggendoli dalla naturale invidia che deriva dal loro orizzonte ridotto di vita di adulti e poi di anziani.

Testi femministi o Educazione sessuale nelle Scuole?

E’ giusto pensare di lavorare sul lungo periodo ma dobbiamo partire dalle condizioni reali. Prima di inserire i testi del femminismo nelle Scuole bisognerebbe andare senza pregiudizi ad intervistare i ragazzi e le ragazze su cosa pensano del femminismo. I più anche la maggior parte delle ragazze pensano che è una cosa superata e che a loro non parla più, sebbene la questione della violenza la vivano in prima persona e la relazione tra i sessi è entrata nel senso comune più di prima. Ma come è sempre stato i vissuti sono la discriminante, così è per la classe sociale di appartenenza. L’unica differenza con il passato è che oggi di periferia e di povertà collegata alla violenza se ne parla pochissimo. Ma se provi a parlare direttamente con i ragazzi di identità, amore, violenza, desideri, sessualità con semplicità e senza calare verità dall’alto ti seguono senza indugi.

Certo che questa è stata una pratica elaborata dal femminismo, ma non credo che si possa immaginare di introdurre testi di altissimo spessore intellettuale e politico come quelli del femminismo storico e attuale, senza fare prima con gli adolescenti un incontro più rispettoso della loro età, delle ansie e degli impulsi che vivono. Prima di ripensare i programmi di studio ipotizzando di integrare alcuni dei testi del femminismo dovremmo dare battaglia affinché le Istituzioni approvino un Disegno di Legge sulla Educazione affettiva e sessuale nelle Scuole, il cui progetto di Legge è fermo non a caso dal 1975.

Per motivi diversi ma profondamente collegati tra di loro, sia il potere genitoriale che quello politico hanno sempre temuto la conoscenza del corpo e della sessualità dei propri “dipendenti”, sotto le mentite spoglie della “sicurezza” che pure è una questione concreta.

Ancora oggi la libertà dei propri figli o dei cittadini fa tremare più dei rischi che corrono e delle violenze che subiscono. Ma è lì che la Cultura può intervenire e illuminare le zone d’ombra, la psicoanalisi ricostruire ogni vissuto, l’essere umano riacquistare umanità e passione del vivere.