Umile o no, sempre capo della Chiesa è

Cecilia M. Calamani
www.cronachelaiche.it

Se il teologo Ratzinger si è subito presentato come un fervente sostenitore della dottrina chiuso a ogni cambiamento dei tempi, in ciò aiutato da quel suo modo di fare “tedesco”, duro e spigoloso, il nuovo Francesco, per ora, si è mostrato alle folle in tutt’altra veste. Parole semplici e cordiali, un uomo all’apparenza mite, un servo di dio, “fratello” dei tanti che ieri lo acclamavano con urla quasi da stadio da piazza san Pietro. Una ventata di novità? Un papa che, già dalla scelta del nome, è dalla parte degli ultimi e degli oppressi? A una prima occhiata non sembra proprio. Il “timido” Francesco avrà anche una comunicativa e un carisma migliori del suo predecessore, ma sui punti cardine della dottrina, quelli inerenti ai “valori non negoziabili”, è probabilmente un gendarme di ferro come il suo predecessore.

A iniziare dalle unioni gay. Nel 2009, il tribunale di Buenos Aires sancisce la liceità di una coppia di uomini a contrarre matrimonio. Civile, naturalmente. Ma ciò non basta per impedire all’allora arcivescovo Bergoglio, oggi papa Francesco, di interferire nella legislazione del Paese definendo illegale la sentenza e accusando il governatore locale Mauricio Macri di «mancare gravemente al suo dovere» per non aver presentato ricorso contro la decisione dei giudici. Dopo aver ricevuto in udienza privata lo stesso Macri, un comunicato dell’arcivescovado così esordisce: «Il cardinal Bergoglio ha ribadito che, non ricorrendo contro la decisione del giudice nel contenzioso amministrativo sul matrimonio di persone dello stesso sesso, [Mauricio Macri, ndr] aveva mancato gravemente al suo dovere di governante e di custode della legge […] La Costituzione e i Codici nazionali non possono essere modificati da un giudice di prima istanza. In questo caso spetta al rappresentante dell’Esecutivo prendere tutte le misure perché ci sia la certezza della legalità dell’atto, che in questo caso è assente, e da questo sorge il dovere di ricorrere».

E addirittura indica i matrimoni gay come contrari ai diritti umani: «Questa decisione potrebbe essere considerata contraria a vari trattati internazionali con gerarchia costituzionale dal 1994, come la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (art. 16), il Patto Internazionale dei Diritti Civili e Politici (art. 23) e la Convenzione Americana dei Diritti Umani (art. 17), dai quali si deduce che solo il matrimonio costituito da persone di sesso diverso è costituzionale». Un intervento a gamba tesa, quello di Bergoglio e della sua diocesi, nel diritto di uno Stato sovrano, l’Argentina. Ma d’altronde il futuro papa aveva già ribadito in più occasioni che le nozze gay sono «un segno del diavolo e un attacco devastante ai piani di Dio».

Non diverso il trattamento riservato alle donne dal nuovo papa. La misoginia della Chiesa non è certo una novità – basti solo pensare alla totale esclusione dal sacerdozio delle donne per «volere divino», come spesso ha sottolineato anche Ratzinger -, ma l’ex cardinale Bergoglio si è espresso, se possibile, in modo ancor più ostile. È il 2007, e Cristina Kirchner si presenta alle presidenziali argentine. Il commento del’arcivescovo di Buenos Aires oggi papa non si fa attendere: «Le donne sono naturalmente inadatte per compiti politici. L’ordine naturale ed i fatti ci insegnano che l’uomo è un uomo politico per eccellenza, le Scritture ci mostrano che le donne da sempre supportano il pensare e il creare dell’uomo, ma niente più di questo». E aggiunge: «Abbiamo avuto una donna come presidente della nazione e tutti sappiamo cosa è successo».

Il pontificato di Bergoglio, dunque, si preannuncia in continuità col precedente. Il rifiuto della modernità e la discriminazione del “diverso” – donne comprese – sembrano il filo conduttore di una Chiesa sempre più staccata dal mondo, incapace di rigenerarsi e recepire i tempi, tesa solo a conservare il suo potere. Non basta un nome, per quanto ben scelto, per parlare di “nuovo”. Il “vecchio” che c’è sotto rispunta fuori in tutta la sua perniciosa obsolescenza.

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Non è Francesco

Giuseppe Ancona
www.cronachelaiche.it

«Qui sibi imposuit nomen Franciscum». Il nuovo papa sceglie il nome del poverello d’Assisi. Visto che il Vaticano è pieno di lupi e corvi, chi meglio di un Francesco potrebbe ammansirli?
Sono visibilmente soddisfatti tutti quelli che speravano in una svolta netta e di rinnovamento, quelli che dalla fumata bianca attendevano un segno, un nome o un simbolo che fosse una risposta forte agli scandali economici e sessuali degli appartenenti alla Chiesa, alla sua inadeguatezza in campo sociale e politico. Il conclave ha scelto il nuovo papa utilizzando la propria sapienza millenaria: ha riguardato la propria storia dei secoli passati.

Correva l’anno 1209 allorché papa Innocenzo III ebbe l’illuminazione di approvare un nuovo ordine di seguaci del vangelo guidato da tale Francesco di Pietro Bernardone, ex possidente nullafacente e personaggio alquanto strano, proveniente da Assisi. Il papato era in un momento di grave pericolo, l’autorità morale degli uomini del potere ecclesiastico era minacciato. Tra i tanti gruppi pauperistici allora in circolazione che criticavano con crescente successo la famelica sete di ricchezze e la condotta dissoluta della Chiesa, il gruppo al seguito del mistico umbro venne accettato solo perché fece promessa di obbedienza al papa e alle gerarchie, preservandosi così da future stragi.

Diversa fu la sorte per i loro cugini, i seguaci di Valdo, Arnaldo e Dolcino, tutti marchiati come eretici impenitenti, che vennero perseguitati nei secoli successivi. L’operazione che si rendeva necessaria nel XIII secolo era annullare le spinte rinnovatrici delle correnti pauperistiche, incanalare nella Chiesa stessa le idee di rifondare la chiesa di Cristo e di tornare al messaggio del vangelo, facendo dimenticare gli scandali economici e i comportamenti corrotti dei suoi esponenti. O, più esattamente, far credere che ci fosse quella rinascita auspicata da tutti per mantenere in vita il sistema.

E i seguaci di Francesco, una volta morto il santo, si inserirono perfettamente nell’istituzione che avrebbero dovuto stravolgere, al punto che il voto di povertà è rimasto anche per l’ordine una aspirazione che non esclude l’esercizio di attività lucrative (come dalle parti di san Giovanni Rotondo) e i frati con i sandali gestirono egregiamente in prima fila, con i loro colleghi domenicani, i processi dell’Inquisizione nei secoli bui dell’eresia e dei roghi, dando prova di cieca fedeltà.

Dopo l’abdicazione di Benedetto XVI occorreva ugualmente rispondere alle richieste di svolta, di rinnovamento prima che spinte centrifughe allontanassero ancora di più le tiepide masse dei credenti dalla Chiesa di Roma. La sintesi si è trovata in un novello Francesco, o qualcuno che almeno in apparenza possa somigliargli e ricordarlo, anche se solo nel nome.

Poco importa se Jorge Mario Bergoglio non è Francesco, non indossa un saio di lana grezza ed è un cardinale gesuita, aduso alla convivenza con il potere del dittatore argentino Videla. Il suo compito sarà dar l’impressione che cambi tutto perché tutto resti uguale. Nei secoli.