Cloud Pillar su Gaza? NO. Dio non c’entra
Pax Christi Italia
Operazione Cloud Pillar: colonna di nuvole. Nella Torah e nel libro dell’Esodo della Bibbia, al capitolo 13, si racconta che Dio ha protetto così il suo popolo dal nemico egiziano, consentendogli di passare indenne il mar Rosso.
Ma Dio non sta con l’esercito potente di uno stato occupante, proteggendolo e difendendolo con le armi. Quel Dio che ama tutti i suoi figli non sta assecondando una strage di civili, a Gaza.
Non ha ammantato di nuvole di sicurezza lo scempio di 340 civili feriti e di decine di morti in soli pochi giorni. In nome del diritto all’autodifesa non copre, con una coltre di ipocriti eufemismi, l’assassinio ‘mirato’ di nemici ‘eliminati’ da droni intelligenti.
E non ha lasciato passare da nuvole intrise di morte i volantini di avviso ai civili che le bombe sarebbero arrivate, bastava spostarsi. Tutto questo lo sta compiendo in queste ore l’esercito israeliano. La popolazione di Gaza non ha rifugi di emergenza, non ha strade per fuggire dalla gabbia in cui è costretta a vivere da anni, non ha nemmeno più la luce per illuminarle.
Dio non avvolge dentro nessuna nuvola i razzi palestinesi che hanno ucciso tre persone in Israele, e che provocano angoscia tra la popolazione dello stato occupante. Ma l’inferno di fuoco è quello che in queste ore sta bruciando ancora una volta le persone, le case, la vita della Striscia.
Chiediamo alla comunità internazionale, all’Europa e al nostro governo che intervengano per un immediato cessate il fuoco, la fine dell’occupazione militare e il rispetto del diritto internazionale.
Ci impegniamo, come cittadini italiani assieme ai credenti di ogni fede che hanno a cuore i diritti umani di ogni individuo, del popolo palestinese come di quello israeliano, a non lasciare che il fumo tossico delle menzogne di guerra diffuse da gran parte della stampa possa avvelenarci tanto da stravolgere completamente la realtà dei fatti.
Il Dio della pace, il Dio di ogni creatura, può solo coprire di un unico pianto i corpi massacrati di chi quella terra benedetta dal suo amore per tutti, chiama casa. Noi, tutti noi, siamo chiamati a sgomberare il cielo e la terra di Palestina e Israele da nubi che soffocano la giustizia e da cingolati che straziano la vita di bambini, uomini e donne.
Firenze, 18 novembre 2012
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Il 194 è stampato sulla pelle dei palestinesi
http://nena-news.globalist.it, 29 novembre 2012
Carl Jung parlò di «sincronicità» in relazione alla coincidenza di due o più eventi legati da un rapporto di analogo contenuto significativo. Se questo termine sia applicabile anche al numero 194 e alla storia palestinese non è facile dimostrarlo. Certo è che il 194, numero della risoluzione dell’Onu che sancisce il diritto dei profughi della Nakba palestinese (1948) a tornare nella loro terra d’origine, è anche la posizione che lo Stato di Palestinese occuperà a partire da questa sera alle Nazioni Unite, se l’Assemblea Generale accoglierà la richiesta di adesione della Palestina come Stato osservatore non membro. Un numero che è marchiato a fuoco sulla pelle dei palestinesi, che li unisce nel dolore per la «catastrofe» di 64 anni fa e sembra tenerli (più o meno) tutti dietro l’iniziativa lanciata dal presidente dell’Olp e dell’Anp Abu Mazen, che questa sera la illustrerà davanti all’Assemblea. Anche il movimento islamico Hamas, a dispetto di qualche voce importante di dissenso, ha dato appoggio al rivale Abu Mazen, impegnato in un braccio di ferro con Israele e Stati Uniti.
L’anno scorso Washington riuscì ad impedire, minacciando il veto al Consiglio di Sicurezza, il raggiungimento l’obiettivo principale dell’Olp: l’adesione piena all’Onu dello Stato di Palestina, da proclamare in Cisgiordania, Gaza e la zona araba (est) di Gerusalemme, quindi in appena il 22% del territorio storico palestinese.
L’Amministrazione Obama lo considerò un affronto: i palestinesi dopo aver perduto gran parte della loro terra nel 1948, sofferto l’esilio, patito 45 anni di occupazione, partecipato negli ultimi 19 anni a trattative inutili e intermittenti, osavano «unilateralmente» chiedere all’Onu di avere un loro Stato. Come se Israele non avesse proceduto in tutti questi anni a colpi di atti unilaterali, a cominciare dall’espansione della colonizzazione nelle terre occupate. «Lo Stato palestinese può nascere solo dai negoziati bilaterali con Israele», spiegò la Casa Bianca. Insomma l’indipendenza non è un diritto naturale, i palestinesi se la devono sudare per decenni, devono accettare tutte le condizioni poste da Israele, accontentarsi di porzioni di Cisgiordania, bantustan che un giorno avranno una bandiera e un inno riconosciuto da tutti. Infine dovranno rinunciare alla sovranità piena, al controllo del loro spazio aereo e forse anche dei transiti di frontiera. Solo così saranno garantite le «esigenze di sicurezza» di Israele.
Da parte sua un anno fa il governo Netanyahu minacciò pesanti ritorsioni, e le minaccia anche quest’anno.
«Non sono ritorsioni, ma punizioni collettive» ha esordito ieri mattina Hanan Ashrawi, del Comitato esecutivo dell’Olp, per spiegare ai tanti giornalisti giunti ad ascoltarla, che «Il presidente Abbas (Abu Mazen) parlerà di fronte all’Assemblea delle Nazioni Unite per affermare il diritto dei palestinesi a vivere in libertà e in un loro stato indipendente». Più di tutto Ashrawi, storica portavoce palestinese, ha riferito che ci sono «ottime possibilità» che la richiesta di adesione venga approvata perchè molti paesi, anche occidentali, sono favorevoli all’iniziativa palestinese: 150, mentre solo una dozzina sono i contrari, quindi schierati a favore della continuazione dell’oppressione.
Dovrebbero essere dodici i voti favorevoli tra gli Stati membri della Ue, tra i quali Spagna, Portogallo, Malta, Cipro, Danimarca, Svizzera, Irlanda, Norvegia. La Germania, il più potente degli alleati europei di Israele, ha perentoriamente detto di no. La Gran Bretagna parla di “apertura condizionata”. Londra ha chiesto ad Abu Mazen di firmare una lettera privata nella quale l’Olp si impegna a non trascinare Israele di fronte alla Corte Penale Internazionale e a riprendere subito e senza precondizioni i negoziati, ossia senza chiedere lo stop alla colonizzazione israeliana. Esita l’Italia. Per mesi il governo Monti è stato schierato contro l’iniziativa palestinese e il ministro degli esteri Terzi, è un sostenitore acritico di Israele, aveva subito sposato le preoccupazioni di Tel Aviv per l’atto «unilaterale» dei palestinesi. A spingere Roma verso una posizione più moderata, l’astensione, è stato anche il voto delle commissioni estere di Camera e Senato favorevole all’accoglimento della richiesta palestinese. Ha pesato inoltre l’isolamento nell’Unione europea degli Stati che si sono detti contrari al riconoscimento dello Stato di Palestina. Persino l’Olanda, alleata di ferro di Israele, ha scelto l’astensione.
Hanan Ashrawi ha prima ringraziato Francia e Spagna e poi criticato i paesi, come il Canada, che si sono attivati per bloccare l’iniziativa palestinese. «Non capisco il Canada – ha affermato – si sta dando da fare per sostenere le posizioni di un altro paese (Israele, ndr) volte a negare i diritti di un popolo che sono riconosciuti da gran parte del mondo». Ashrawi ha quindi affermato che questa sera all’Onu «i palestinesi guarderanno in faccia quei paesi che voteranno contro la richiesta di adesione all’Onu «pur sapendo che abbiamo diritto, dopo tanti anni di occupazione, alla piena libertà».