La scuola laica

Paolo Bonetti
www.italialaica.it | 08.06.2012

L’anno scolastico si conclude con l’ultima proposta di riforma della scuola, quella del ministro Profumo: una riforma che si annuncia meritocratica tanto per gli insegnanti quanto per gli alunni, anche se i modi in cui questa prevalenza del merito dovrebbe essere riconosciuta lasciano piuttosto a desiderare, dal momento che assumono la forma di una gara sportiva in cui conta soltanto il vincitore, mentre gli altri vengono abbandonati nel grigiore dell’anonimato. Una scuola laica deve sicuramente promuovere l’eccellenza e riconoscere il merito, ma essa ha anche finalità di educazione morale e civile che non possono essere confinate nella sfera ristretta dei migliori.

Una scuola laica si preoccupa della generalità dei cittadini e cerca di recuperare e far avanzare, senza naturalmente facili indulgenze, anche coloro che, per motivi economici e culturali, si trovano sui gradini più bassi della scala sociale. La formazione di cittadini consapevoli dei propri diritti e doveri è il suo compito principale, anche se questo aspetto viene oggi messo in ombra dalla necessità di accordare i percorsi formativi con le esigenze del sistema produttivo. Si chiede giustamente alla scuola italiana una maggiore efficienza e concretezza, ma questa richiesta non può andare a scapito di quella educazione alla convivenza e al rispetto dell’altro su cui deve necessariamente fondarsi una società democratica che accoglie in sé un numero crescente e differenziato di tradizioni culturali, religiose e civili.

Volendo individuare i presupposti etico-filosofici della scuola laica, credo sia utile rifarsi, ancora oggi, alla filosofia di un grande maestro di laicità dell’Italia del Novecento, Guido Calogero (1904-1986), che fu non solo professore universitario prima a Pisa e poi a Roma, ma antifascista militante, teorico, con Aldo Capitini, del liberalsocialismo, ispiratore del partito d’Azione, collaboratore del “Mondo” di Pannunzio e cofondatore del partito radicale, teorico di una “filosofia del dialogo” che ha anticipato, forse con maggiore chiarezza, temi e soluzioni della filosofia dell’agire comunicativo del tedesco Juergen Habermas.

C’è uno scritto calogeriano del dicembre 1955, in concomitanza con le iniziative del “Mondo” per la riforma della scuola e la difesa della scuola pubblica, in cui i tratti di una genuina laicità educativa vengono delineati con particolare incisività. La scuola laica è in pericolo – dice Calogero – perché molti italiani “non hanno ancora capito che interesse abbiano a difenderla”. Ma soltanto essa è in grado di formare “cittadini capaci e ragionevoli, i quali non mandino a male le loro faccende private e pubbliche creando così la loro stessa infelicità”. La battaglia per il laicismo educativo è, prima di tutto, “difesa della scuola di Stato – cioè della scuola che, dovendo essere assicurata dallo Stato a tutti i cittadini, quale che sia il loro orientamento religioso, ideologico o politico, deve restare indipendente da ogni presupposto di tal natura”.

L’educazione alla democrazia non si fa attraverso l’indottrinamento unilaterale di una qualche religione o ideologia, ma allenando continuamente i giovani “all’attenta e rispettosa discussione di qualunque idea e fede, propria ed altrui”. Il laicismo però – osserva ancora Calogero – non appartiene di per sé allo Stato, che può essere talora, e storicamente lo è stato in diverse occasioni, più intollerante delle Chiese, ma a tutti coloro, credenti e non credenti, che rifiutano di diffondere le proprie idee e di combattere le altrui con “strumenti di pressione religiosa o politica o sociale o morale o economica o finanziaria”. In conclusione, “una scuola laica è una scuola in cui non c’è mai nessuno che abbia ragione senza la possibilità e la probabilità che qualcun altro gli dia torto”.

Bisogna che nella scuola si ascoltino le voci più diverse e si insegni ai ragazzi a comprendere che ci sono persone che vedono il mondo secondo prospettive differenti dalla loro, con valori e sensibilità che non sono quelli che ad essi appaiono come naturali e indiscutibili. Ma è vano e contraddittorio – aggiunge Calogero – educare alla laicità, quando noi stessi non siamo laici nella concreta, quotidiana pratica educativa e incliniamo piuttosto all’autoritarismo e all’intolleranza. Non è laico un professore che “non tollera che i suoi scolari discutano quanto egli ha detto, e invece di conversare pacatamente con loro e di aiutarli a discutere anche fra loro”, continua ad insegnare in modo autoritario. Non contano soltanto i contenuti del nostro insegnamento, che possono essere considerati astrattamente “laici”, quanto piuttosto le forme della loro comunicazione.

Lo stesso vale per la vita politica, dove non è democratico chi fa l’elogio retorico della democrazia, ma chi la vive nei comportamenti quotidiani e nei rapporti con coloro con cui deve collaborare. Non basta essere laici per semplice scelta ideologica, se non lo si è anche “coi propri figli e coi propri scolari”. Dobbiamo dimostrare “nella nostra vita di tutti i giorni, che convivere dialogando è meglio che convivere addottrinando”. Solo allora “abbiamo il diritto di preferire una scuola laica a una scuola confessionale, una scuola che discuta a una scuola che inculchi verità”.