Non per abolire ma per portare a compimento
Paola Morini
Gruppo Thea
La Legge, le leggi; il Bene, i beni; La Vita, le vite; il Diritto, i diritti; la Chiesa, le chiese… Siamo donne abitate da molteplici contraddizioni o forse semplicemente abitate dalla molteplicità, noi che ci troviamo a “pensare in presenza”, come dicono le donne del gruppo di Pinerolo.
Del resto ciascuna/o che consapevolmente sia corpo e non solo “idea” o “Ideale” o “Valore” è per necessità molteplice,differenziata/o e interconnessa/o come lo sono le nostre membra; come in fin dei conti lo è il “corpo sociale” o si dice sia il “corpo mistico”. Eppure il contesto in cui viviamo, e le istituzioni che ne definiscono i contorni, tendono in modo pericoloso alla visione univoca, alla semplificazione delle relazioni, che si sviluppa secondo lo schema dualista tipico del pensiero (maschilista) occidentale. E’ così che ci troviamo a soffrire gli schemi padrone/lavoratore, italiano/straniero, amico/nemico, legale/illegale, privato/pubblico e via discorrendo fino a pace/guerra e violenza/…….
Non se ne esce! Ad ogni momento, su qualunque tema, appare in agguato il demone della contrapposizione (quello che tanto a suo agio si trova nei “valori non negoziabili” nei “diritti irrinunciabili” nelle “divergenze insanabili”) che occupa gli spazi delle relazioni e le frantuma lasciando solo macerie. Un modo di procedere che evidentemente parte da quel famoso atteggiamento “maschile=neutro universale” che consente l’assolutizzazione della parzialità. Ciò comporta poi spesso la cancellazione dell’altra/o anche magari ricorrendo alla violenza.
Nei percorsi di e tra donne ci siamo trovate a fare i conti con questo retaggio che ha caratterizzato anche la nostra formazione. Le somme non sono ancora state tirate (e chissà se sarà mai possibile) ma l’aver posto l’accento sulla cura, sul corpo, sull’accoglienza, sulla preparazione di un “vuoto” che anche culturalmente ci predisponga, così come è predisposto un utero, alla generazione di rapporti nuovi con il divino e con l’umano, ci ha aiutate ad aprire occhi diversi forse anche capaci di intravvedere lo spazio per l’evangelo, per il lieto annunzio, nella realtà in cui viviamo.
È un esercizio di ampliamento d’orizzonte in cui il”di fronte” perde valore mentre ne acquisiscono le altre dimensioni (“a fianco” per esempio). In questo modo capita che si possa evitare di “affrontare”, “lottare”, “fronteggiare” ecc…. e nel contempo ci si accorge che cambiando la prospettiva si aprono nuove strade. Non è che sia una novità; già Gesù suggeriva “Gli occhi sono come lampada per il corpo: se i tuoi occhi sono buoni, tu sarai totalmente nella luce, ma se i tuoi occhi sono cattivi, tu sarai totalmente nelle tenebre. Se dunque la tua luce è tenebra, come sarà nera quella tenebra!”Matteo 6,22-23 e poi proponeva di amare i nemici, di rifuggire dalle ricchezze, di non far prevalere la norma sull’umanità ecc…
Ma questi messaggi sono sempre stati considerati troppo radicali: a lui e a pochi altri sono valsi la condanna a morte, la sua Chiesa ha pensato per sopravvivere di prenderne le distanze e dimenticarli. Pare difficile oggi tentare il recupero di un messaggio che non ponga al centro di tutto il bene personale, spesso inteso come possesso di beni o come mantenimento degli squilibri esistenti. Eppure una logica “altra” è stata praticata e ne abbiamo testimonianza. Mi riferisco all’azione di tante donne citate dalla Bibbia:
● Sifra e Pua, le due levatrici a cui il re d’Egitto ordina di far morire i maschi ebrei che vengono al mondo, trasgrediscono l’ordine scegliendo di mettere a rischio se stesse per restare in una logica di vita e non di morte.
● Dopo che il Faraone ha decretato “Gettate nel Nilo tutti i maschi degli ebrei” proprio sua figlia trasgredisce l’ordine salvando e allevando il bambino che vede galleggiare sul fiume e della cui origine è ben consapevole come testimonia la sua frase: “Senz’altro è figlio di ebrei”
● Maria, che ben sa di rischiare la lapidazione se incinta di un altro essendo promessa sposa, lascia da parte la legge e accetta il rischio.
Questi sono solo tre dei numerosi esempi possibili, ma fondamentali nella storia di liberazione e di apertura di nuovi orizzonti per il popolo ebraico e non solo. Sono tre manifestazioni del modo in cui spesso scelgono di operare le donne: non contrapponendosi in modo frontale ma ignorando, trasgredendo ciò che è ingiusto anche se legalmente definito come giusto, scegliendo comunque la logica della vita, lasciando da parte quella visione in cui il mio bene o il bene del mio popolo comporta un atto d’egoistica tutela. Queste donne sanno porsi in relazione: tra loro, con chi non appartiene al proprio popolo e con Dio. Sanno che dove non c’è tutela della vita vissuta non c’è Dio.
E poiché la vita è relazione tra persone e con la natura, è cura e dipendenza reciproca, è totale interconnessione, nessuno può pensare che un danno subito da altre persone o da altri luoghi non abbia ricadute sulla sua vita e sull’ambiente in cui abita. C’è però bisogno che questa logica “femminile” possa agire per un cambiamento culturale diffuso; è necessaria una pratica quotidiana capace di strutturare modalità relazionali nuove, se vogliamo che il mondo in cui stiamo vivendo possa portare in sé qualche scintilla del “regno” annunciato da Gesù. Quel Gesù che giustamente sottolineava continuamente come la sua logica non fosse la logica “di questo mondo”, non fosse cioè la logica patriarcale (o kiriarcale come la definisce E. Schüssler Fiorenza) dominante.
Guardiamo all’Italia di oggi, ai problemi economici, ambientali e culturali in cui ci dibattiamo e alle modalità con cui vengono affrontati; vogliamo continuare così? Vogliamo credere che vecchi strumenti, vecchie tattiche e strategie possano generare un cambiamento? Quanto è ristretto l’orizzonte della politica? Quanto è miope il sistema economico? Quanta violenza è insita nelle strutture di questo modello? C’è bisogno di esercitare pratiche diverse.
Un piccolo segnale in questa direzione lo stanno dando i Comuni del Trentino che nei prossimi mesi invieranno a tutti i diciottenni la “cartolina di leva per il servizio civile”; non sarà un anno di lavoro obbligatorio, ma una possibilità offerta a tutte/i le/i giovani di prestare la loro opera volontaria a favore della comunità in cui abitano. Potranno scegliere in quale ambito dare il proprio apporto e si abitueranno così, spendendo nella relazione con la collettività alcune ore della propria settimana, a sentirsi parte attiva e responsabile all’interno della società. Certo rispetto ai problemi mondiali non è molto, ma un lungo viaggio comincia con il primo passo.
Ahi ahi Giovanna mi ha colta in castagna! Che razza di titolo mi è venuto in mente per questa riflessione? Effettivamente mi accorgo che non è del tutto calzante, ma corrispondeva ad un’urgenza interiore: quando il bene e il male sono stati codificati nelle leggi, formulate dalle istituzioni ecclesiastiche e statali, e noi ne vediamo la partigianeria e l’ingiustizia come possiamo o dobbiamo agire? La mia prima risposta sarebbe. Vanno distrutte, disattese, combattute! (sempre viene a galla la mia formazione sessantottina) Per questo mi colpisce molto la frase di Gesù: “Non crediate che io sia venuto per abolire la Legge o i Profeti: non sono venuto per abolire ma per portare a compimento.” (Matteo 5; 17) A questo volevo collegare il mio discorso: alla necessità di compiere continuamente una rivalutazione e un adattamento di ogni principio, di ogni ideale, al dato di realtà costituito dal contesto, dalla persona con cui si entra in relazione, senza pretendere di operare “il capovolgimento dei valori” che stabilisca una volta per sempre il nuovo bene e il nuovo male. E d’altro canto mi preme anche sottolineare l’importanza di agire e trovarsi (come evidentemente si trovò Gesù) nella condizione in cui a ciascuno possa apparire chiaro che il nuovo c’è ed è una novità che mina la stabilità del dato consolidato. Questo è “il compimento” a cui faccio riferimento e spero sia chiaro che è un concetto estremamente dinamico proprio perché “incarnato” in un tempo, in una storia, in una relazione. Insomma si tratta di una “via” e non di una “dottrina”, il “compimento” non è il passo definitivo che assolutizza, ma il rendersi vivo e operante di Dio nel mondo.
Sul vuoto non mi esprimo perché diventerebbe tutto troppo lungo; dico solo che esso a mio avviso è necessario come spazio di accoglienza e “innocenza” di pensiero ma non può divenire un valore in sé.
Cara Paola, non so chi abbia messo il titolo ma la parola “compimento” non mi pare adatta a tutto il tuo ragionare che ha in sé il continuo cambiamento, e quindi la provvisorietà, di un andare avanti nel confronto con la molteplicità dei pensieri, delle esperienze singolari e collettive anche del divino. I percorsi di ricerca delle donne, così come li stiamo sperimentando, non sono lineari, li abbiamo spesso definiti a spirale: un andare avanti tornando anche su punti già toccati ma ad un altro livello. D’altra parte è proprio il cercare stanto in relazione con le altre – con tutte le difficoltà, i conflitti che ciò comporta – che lo determina: non so se questo sia un “pensare in presenza”, è certo che da tanti anni lo stiamo facendo.
In seconda battuta, ma è la fondamentale, l’affacciarsi sul “vuoto” del divino non può portare con sè l’obiettivo del “compimento” : lo puoi fare solo se accetti il rischio dell’incompiutezza anche dei nostri scomodi percorsi di donne.
Grazie, Paola, per la tua riflessione. Solo dalle donne può nascere davvero il nuovo, come solo dalla Madre e dalle madri nasce la vita. Quando anche noi uomini lo capiremo davvero, allora potremo collaborare concretamente a rimettere al mondo il mondo, per dar vita a una nuova civiltà delle relazioni. Se cominciassimo dalle nostre piccole comunità di base… anche questo sarebbe un “primo passo” per un lungo viaggio.
Beppe Pavan – Pinerolo