Fede, ragione e referendum di A.Guagliumi
Antonio Guagliumi
(Cdb San Paolo – Roma)
Sul n° 18 di ADISTA – documenti Raniero La Valle ribadisce, con una lunga argomentazione, le ragioni per cui si sono costituiti comitati di “Cattolici per il NO” in vista del referendum costituzionale di ottobre.
Mi sembra che tale argomentazione si possa così riassumere: un cattolico, se non vuole “sterilizzare” la sua fede, non solo può, ma deve impegnarsi per bloccare una legge che ha forti implicazioni etiche negative. La riforma costituzionale infatti, non si limita a suo avviso a modificare i contenuti e le forme di esercizio dei poteri legislativo ed esecutivo ma, consentendo il formarsi di una maggioranza parlamentare sproporzionata rispetto ai voti espressi dai cittadini e dominata dall’esecutivo, violerebbe i principi di eguaglianza e rappresentatività garantiti dalla prima parte della costituzione.
La validità di tale ragionamento è peraltro minata alla base da una considerazione che fa parte del ragionamento stesso. Riconosce infatti onestamente La Valle che “Noi siamo perfettamente consapevoli che c’è una pluralità di scelte. Noi non diciamo che i cattolici, se veramente credenti, devono votare NO”.
Ora, se questo è vero, vuol dire che con la stessa legittimità dei “cattolici per il NO” potrebbero costituirsi dei comitati di “cattolici per il SI” e chi vi aderisse non cesserebbe di essere “veramente credente”. Ognuno vede che, proseguendo con questa ipotesi, i “cattolici per il SI” si potrebbero appropriare, ribaltandole, di tutte le argomentazioni utilizzate da Raniero La Valle per motivare le sue scelte. Sostiene per esempio La Valle che le riforme sarebbero nefaste perché andrebbero a nuocere “ai poveri, agli esclusi, ai fuggiaschi, ai disoccupati, alle vittime, alla Costituzione come il sogno di una scelta giusta, come il sogno di una scelta di uguali, come il sogno di un diritto di cittadinanza che comporta l’esercizio effettivo di diritti sociali”.
Ma altri cattolici altrettanto legittimamente, e sempre per non sterilizzare la propria fede, potrebbero motivare la loro scelta per il SI convinti, per esempio, che le nuove norme, lungi dal nuocere a qualcuno, costituirebbero un necessario adeguamento della Costituzione al rapido mutare dei tempi, evitando il rimpallo delle leggi tra le due camere, la necessità di compromessi per governare e quindi il ricatto di infime minoranze. In una parola faciliterebbero l’adozione a favore delle suddette categorie di norme lungamente e inutilmente attese.
Come si vede, le due opzioni si eliminano a vicenda e la fede, questa volta si, ne risulta “sterilizzata”.
Cosa significa tutto questo? Significa evidentemente che l’unico criterio discriminante tra le due scelte non può che essere politico, cioè il confronto, nel merito, dei pro e dei contro che ciascuno vede nelle riforme.
E’ questo l’ importantissimo lavoro che dobbiamo fare, nei quattro mesi circa che ci separano dai referendum, con l’aiuto prezioso di costituzionalisti che non mancano in entrambi i campi. E tanto più sarà proficuo il dibattito quanto più saremo capaci di affrontarlo senza pregiudizi e utilizzando il nostro essere cristiani col farci “sale” che insaporisce la pasta.
Caro Antonio,
ho letto con piacere sul sito delle CdB il tuo scritto “Fede, ragione e referendum”, per il tono pacato e discorsivo, ben diverso dall’animosità che caratterizzava il contro-appello, sottoscritto da te e diversi altri, in risposta all’appello dei ‘Cattolici per il No’.
Devo dirti subito che ciò che più mi ha convinto – ed è la ragione per cui ti scrivo- sono state le considerazioni finali sulle quali tornerò alla fine. Ma devo anche precisare che non mi persuade affatto il ragionamento da cui prendi le mosse e la tua prima conclusione.
Tu affermi infatti – dopo aver richiamato le due differenti posizioni dei sostenitori del No e del Sì- che “l’unico criterio discriminante tra le due scelte non può che essere politico”.
Ora è vero che la valutazione del referendum è d’ordine politico; tuttavia essa è diversa, come tu stesso riconosci esplicitamente: infatti mentre quella per i cattolici del No intaccherebbe in modo grave la giustizia; quella dei cattolici del Sì riguarderebbe i tempi e i modi della governabilità. Allora se la valutazione è differente, ne segue che non possono essere ‘ribaltate le argomentazioni utilizzate per motivare le scelte” né unico è il loro criterio discriminante.
Se per te la riforma del referendum è solo una questione per così dire d’ordine politico-pragmatico, è legittimo che tu l’approvi facendo una scelta doverosa in coscienza. Non vedo però perché tu debba negare una scelta diversa da parte di chi giudicandola gravissima si appella anche alla propria fede per richiamare tutti a valori -azzarderei a dire- non negoziabili.
Ovviamente tu giustamente mi potresti ribattere che in politica – ma anche in molte interpretazioni di fede – tutto è negoziabile. E qui vengo alla tua conclusione, sulla quale concordo pienamente, anche perché da mesi avevo sollecitato invano un dibattito in comunità, che avrebbe evitato malintesi e divisioni. Tra l’altro devo aggiungere che mi ha addolorato il fatto che a mie fraterne puntualizzazioni non si sia risposto, mentre al contrario si scriveva ai giornali.
Ma pazienza; anzi mi verrebbe da dire: “Oh felix culpa”! perché ora, partendo dalla nostra divisione, si può meglio scorgere la grave divisione che c’è nel Paese, e quindi può sorgere per tutti i credenti l’appello – come tu giustamente scrivi- a essere sale e lievito nella società.
Sono quindi d’accordo “sull’importantissimo lavoro che dobbiamo fare nei quattro mesi che ci separano dal referendum”. Proviamo a iniziare dal prossimo dibattito in comunità.
Con amicizia… e speranza Fabrizio