Turchia, le miniere e le piazze

Mario Lombardo
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Il più grave incidente della storia della Turchia in un luogo di lavoro, avvenuto a inizio settimana in una miniera nella città di Soma, ha fatto riesplodere le proteste popolari in tutto il paese contro il governo islamista del premier Recep Tayyip Erdogan. Se i motivi immediati delle nuove manifestazioni sono legati alla natura del tutto evitabile del disastro, l’ennesima manifestazione di rabbia su scala nazionale contro le autorità conferma la crescente avversione nei confronti dell’esecutivo guidato dal Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP).

Come è ormai noto, a determinare l’esplosione nella miniera della compagnia Soma Kumur è stata un fuga di metano che ha messo fuori uso i sistemi di ventilazione e gli altri impianti per la sicurezza che avrebbero potuto salvare i minatori.

Nella giornata di giovedì il bilancio si è avvicinato alle 300 vittime, con un altro centinaio di minatori ancora intrappolato sottoterra e quasi nessuna speranza di individuare superstiti. L’incidente di martedì ha già superato il numero di decessi provocati da quello ritenuto fino ad ora come il più grave in Turchia, avvenuto nel 1992 in una miniera nella località di Zonguldak, sul Mar Nero, che fece 263 morti.

A suscitare lo sdegno in tutto il paese sono state le rivelazioni immediatamente emerse sui media in relazione alle responsabilità della compagnia proprietaria della miniera e dello stesso governo, entrambi impegnati a mettere il profitto davanti alle vite dei lavoratori. Se la prima ha deliberatamente mancato di prendere le misure necessarie a garantire la sicurezza dei minatori, il secondo è stato complice nel nascondere e ignorare le reali condizioni di lavoro a Soma.

A partire dalla privatizzazione delle miniere della Turchia nel 2005, come aveva ostentato in una vecchia intervista il proprietario di Soma Kumur, Alp Gurkan, la sua compagnia è stata in grado di ridurre il costo dell’estrazione di carbone da 140 a 23,8 dollari per tonnellata. Nemmeno una parte del denaro così risparmiato, tuttavia, è stata investita in efficaci sistemi di sicurezza, in particolare quelli pure esistenti per prevenire il pericolosissimo accumulo di metano nelle miniere.

L’intero settore estrattivo turco, peraltro, risulta quello con il maggior numero di incidenti mortali nel mondo in proporzione alle dimensioni. Se in termini assoluti è la Cina a fare segnare il record di decessi nelle miniere, il dato relativo al numero di minatori morti per quantità di carbone estratto in Turchia è di quasi sei volte superiore a quello cinese. A conferma della pericolosità della situazione, mercoledì c’è stato un altro decesso in una miniera turca, ancora a Zonguldak in seguito ad un crollo improvviso.

Che il governo di Ankara consideri l’adozione di misure di sicurezza moderne come un ostacolo ai profitti delle compagnie private è confermato ad esempio dal fatto che la Turchia non ha mai firmato la convenzione dell’Organizzazione Internazionale per il Lavoro (ILO) sulla sicurezza nelle miniere. Quest’ultima, stabilita nel 1995, delega le responsabilità relative alla sicurezza e alla salute dei lavoratori di questo ambito sia ai governi che ai proprietari delle miniere e richiede provvedimenti specifici per abbattere i rischi.

Secondo quanto riportato dalla stampa turca, inoltre, il partito di governo aveva respinto solo due settimane fa una mozione presentata lo scorso ottobre in Parlamento dall’opposizione del Partito Popolare Repubblicano (CHP) proprio per indagare sui numerosi incidenti avvenuti nelle miniere di carbone di Soma.

Nel discutere la proposta, un deputato dell’opposizione aveva affermato che nel solo 2013 il distretto di Soma aveva registrato 5 mila incidenti sul lavoro, di cui il 90% nelle miniere. Un parlamentare dell’AKP, invece, aveva sostenuto che le miniere di Soma erano le più sicure della Turchia e i proprietari avevano preso tutte le misure di sicurezza necessarie.

Lo stesso compagno di partito di Erdogan aveva poi affermato che gli incidenti fatali che coinvolgono i minatori continuano ad accadere a causa della “natura della loro professione”, senza che vi siano specifiche responsabilità. Una tesi simile l’ha offerta ai famigliari delle vittime del più recente disastro anche il primo ministro, accolto da una folla tutt’altro che ospitale durante la sua apparizione di mercoledì a Soma.

Poco prima di essere costretto a riparare in un supermercato sotto la protezione della sua scorta, Erdogan aveva provocato la folla dicendo che gli eventi mortali nelle miniere sono “normali”, portando ad esempio vari incidenti con centinaia di morti avvenuti in Gran Bretagna e negli Stati Uniti nel XIX e a inizio del XX secolo, quando non esistevano la tecnologia e i sistemi odierni per evitare le stragi di lavoratori.

Al termine del discorso, la folla di Soma ha accerchiato il primo ministro chiedendone le dimissioni e chiamandolo “assassino”, mentre altri gruppi di abitanti della città hanno assaltato la sede locale del suo partito. Giovedì, poi, la stessa accoglienza riservata a Erdogan è toccata anche al presidente turco, nonché membro dell’AKP, Abdullah Gül.

Le proteste di piazza, in ogni caso, si sono diffuse a molte altre città della Turchia, soprattutto dopo l’apparizione sui social media di immagini nelle quali si vede il consigliere di Erdogan, Yusuf Yerkel, prendere a calci un manifestante immobilizzato a terra da agenti delle forze speciali.

Secondo quanto riferito dai testimoni, il giovane era stato fermato dopo avere sferrato dei colpi ad un’auto del convoglio del premier a Soma. A quel punto, Yerkel ha abbandonato il mezzo a lui destinato per correre verso il manifestante e prenderlo a calci ripetutamente.

La risposta della polizia alle proteste è stata particolarmente dura a Istanbul e ad Ankara. Nella metropoli sul Bosforo, centinaia di manifestanti si sono radunati nella piazza Taksim, centro nevralgico delle proteste dello scorso anno nate per contrastare un progetto edilizio speculativo promosso dal governo e ben presto allargatesi a tutto il paese.

Giovedì, inoltre, i sindacati turchi hanno indetto uno sciopero di 24 ore e gli scontri più gravi con la polizia si sono avuti nella città occidentale di Izmir, dove è stato segnalato l’uso di gas lacrimogeni e cannoni ad acqua contro più di 20 mila manifestanti.

Le esplosioni di protesta che si registrano in Turchia ad ogni occasione e la risposta brutale delle forze di sicurezza rivelano dunque tensioni sociali crescenti nel paese euro-asiatico. Nonostante il partito al potere abbia ottenuto una netta vittoria nelle recenti elezioni amministrative, la società turca continua a mostrare una profonda inquietudine ed un’ostilità diffusa nei confronti di un Erdogan sempre più impopolare.

Lo è per una lunga serie di motivi che vanno, ad esempio, dai numerosi scandali giudiziari scoppiati negli ultimi mesi al coinvolgimento nel conflitto in Siria, dalla regolare elargizione di favori ad una ristretta élite gravitante attorno alla cerchia di potere dell’AKP alla costante erosione dei diritti democratici nel paese.