«Caro Francesco…». Le “donne dei preti” scrivono al Papa
Andrea Tornielli
Vatican Insider/La Stampa, 17/5/2014
La lettera di 26 firmatarie italiane «coinvolte sentimentalmente con un sacerdote o religioso»: si appellano a Bergoglio e gli chiedono di rivedere la legge sul celibato
«Caro Papa Francesco, siamo un gruppo di donne da tutte le parti d’Italia (e non solo) che ti scrive per rompere il muro di silenzio e indifferenza con cui ci scontriamo ogni giorno. Ognuna di noi sta vivendo, ha vissuto o vorrebbe vivere una relazione d’amore con un sacerdote, di cui è innamorata». Inizia così la lettera firmata (con il solo nome di battesimo più l’iniziale del cognome o la città di provenienza, ma nella raccomandata inviata in Vaticano c’era un cognome e c’erano recapiti telefonici) da 26 donne che affermano di vivere relazioni sentimentali con dei preti. Le firmatarie di definiscono «un piccolo campione» ma affermano di parlare a nome di tante che «vivono nel silenzio».
«Come tu ben sai – si legge nella missiva – sono state usate tantissime parole da chi si pone a favore del celibato opzionale, ma forse ben poco si conosce della devastante sofferenza a cui è soggetta una donna che vive con un prete la forte esperienza dell’innamoramento. Vogliamo, con umiltà, porre ai tuoi piedi la nostra sofferenza affinché qualcosa possa cambiare non solo per noi, ma per il bene di tutta la Chiesa».
«Noi amiamo questi uomini, loro amano noi – scrivono le 26 donne – e il più delle volte non si riesce pur con tutta la volontà possibile, a recidere un legame così solido e bello, che porta con se purtroppo tutto il dolore del “non pienamente vissuto”. Una continua altalena di “tira e molla” che dilaniano l’anima. Quando, straziati da tanto dolore, si decide per un allontanamento definitivo, le conseguenze non sono meno devastanti e spesso resta una cicatrice a vita per entrambi. Le alternative sono l’abbandono del sacerdozio o la persistenza a vita di una relazione segreta».
«Nel primo caso la forte situazione con cui la coppia deve scontrarsi viene vissuta con grandissima sofferenza da parte di entrambi: anche noi donne desideriamo che la vocazione sacerdotale dei nostri compagni possa essere vissuta pienamente, che possano restare al servizio della comunità, a svolgere la missione che per tanti anni hanno svolto con passione e dedizione, rinvigoriti adesso ancor di più dalla forza vitale dell’amore che hanno scoperto insieme a noi, che vogliamo sostenerli e affiancarli nel loro mandato».
«Nel secondo caso, ovvero nel mantenimento di una relazione segreta – si legge ancora nella lettera – si prospetta una vita nel continuo nascondimento, con la frustrazione di un amore non completo che non può sperare in un figlio, che non può esistere alla luce del sole. Può sembrare una situazione ipocrita, restare celibi avendo una donna accanto nel silenzio, ma purtroppo non di rado ci si vede costretti a questa dolorosa scelta per l’impossibilità di recidere un amore così forte che si è radicato comunque nel Signore».
Secondo le firmatarie, il servizio totale «a Gesù e alla comunità» sarebbe svolto «con maggiore slancio da un sacerdote che non ha dovuto rinunciare alla sua vocazione all’amore coniugale, unitamente a quella sacerdotale, e che sarebbe anche supportato dalla moglie e dai figli». Le 26 donne si appellano al Papa chiedendo di essere da lui convocate «per portare davanti a te umilmente le nostre storie e le nostre esperienze, sperando di poter attivamente aiutare la Chiesa, che tanto amiamo, verso una possibile strada da intraprendere con prudenza e giudizio». «Grazie Papa Francesco! – così si conclude la missiva – Speriamo con tutto il cuore che tu benedica questi nostri Amori, donandoci la gioia più grande che un padre vuole per i suoi figli: vederci felici!!!».
Com’è noto Bergoglio, da cardinale di Buenos Aires ma anche nei primi mesi di pontificato fino alla morte della donna, avvenuta nel novembre scorso, si era mantenuto in contatto con Clelia Luro, la vedova dell’ex vescovo Jerónimo Podestá. Nel 2000, l’arcivescovo Jorge Mario Bergoglio aveva assistito Podestá sul letto di morte. Nel 1966 Podestà, quarantacinquenne vescovo della diocesi di Avellaneda, aveva incontrato Clelia – all’epoca trentanovenne, separata e madre di sei figlie – iniziando con lei una relazione che lo avrebbe portato ad abbandonare l’episcopato nell’anno successivo. Nel 1972 era stato dimesso dallo stato clericale e aveva sposato la donna.
Ciononostante, Bergoglio non si è mai espresso in favore della cancellazione della tradizione latina del celibato. Nel dialogo con il rabbino Abraham Skorka pubblicato nel libro «Il cielo e la terra», aveva detto: «È un tema che viene discusso nel cattolicesimo occidentale, su sollecitazione di alcune organizzazioni. Per ora si tiene ferma la disciplina del celibato. C’è chi dice, con un certo pragmatismo, che stiamo perdendo manodopera. Se, per ipotesi, il cattolicesimo occidentale dovesse rivedere il tema del celibato, credo che lo farebbe per ragioni culturali (come in Oriente), non tanto come opzione universale».
«Per il momento – continuava Bergoglio – io sono a favore del mantenimento del celibato, con tutti i pro e i contro che comporta, perché sono dieci secoli di esperienze positive più che di errori… La tradizione ha un peso e una validità. I ministri cattolici scelsero gradualmente il celibato. Fino al 1100 c’era chi lo sceglieva e chi no… è una questione di disciplina e non di fede. Si può cambiare. Personalmente a me non è mai passata per la testa l’idea di sposarmi».
Quello che il futuro Papa non tollerava, era la doppia vita dei sacerdoti. «Se uno viene da me e mi dice che ha messo incinta una donna, io lo ascolto – diceva Bergoglio nel dialogo con il rabbino – cerco di tranquillizzarlo e poco a poco gli faccio capire che il diritto naturale viene prima del suo diritto in quanto prete. Di conseguenza deve lasciare il ministero e farsi carico del figlio, anche nel caso decida di non sposare la donna. Perché come quel bambino ha diritto ad avere una madre, ha anche diritto ad avere un padre con un volto. Io mi impegno a regolarizzare tutti i suoi documenti a Roma, ma lui deve lasciare tutto. Ora, se un prete mi dice che si è lasciato trascinare dalla passione, che ha commesso un errore, lo aiuto a correggersi. Ci sono preti che si correggono, altri no. Alcuni purtroppo non vengono nemmeno a dirlo al vescovo». Correggersi, per Bergoglio significa «fare penitenza, rispettare il celibato. La doppia vita non ci fa bene, non mi piace, significa dare sostanza alla falsità. A volte dico loro: “Se non sei in grado di sopportarlo, prendi una decisione”».
A proposito del celibato non si deve dimenticare che, pur senza cambiare la posizione tradizionale, ribadita dai predecessori e dai Sinodi dei vescovi, Benedetto XVI nel novembre 2009 ha aperto un nuovo spiraglio, seppure circoscritto alle comunità anglicane decise a entrare nella comunione cattolica. Com’è noto, con la costituzione apostolica «Anglicanorum coetibus» Papa Ratzinger in quell’anno istituiva gli Ordinariati anglo-cattolici. Nel secondo paragrafo dell’articolo 6 della costituzione, dopo che in precedenza si era ribadita la regola del celibato per il futuro, il Pontefice tedesco stabiliva la possibilità di «ammettere caso per caso all’ordine sacro del presbiterato anche uomini coniugati, secondo i criteri oggettivi approvati dalla Santa Sede».
In ogni caso, come risulta anche dalla prassi delle Chiese ortodosse e delle Chiese orientali in comunione con Roma, non si è mai trattato di concedere al prete ordinato la possibilità di prendere moglie, ma soltanto di ammettere al sacerdozio (mai all’episcopato) uomini già sposati.