Laicità sotto attacco: è tempo di reagire
Alessandro Baoli
www.cronachelaiche.it
L’Italia non è un paese laico, malgrado la Costituzione; su questo non ci piove, lo sanno anche i sassi ed è sempre stato così. Ma da un po’ di tempo a questa parte, siamo peggiorati di parecchio: non si riesce ad aprire i social o leggere i giornali senza prendersi un pugno nello stomaco. Almeno quelli, si intende, che hanno a cuore la laicità e non come attrezzo retorico ottocentesco, ma come ideale per una società giusta, sulla strada verso il progresso civile. Qualcosa di molto concreto, a dispetto delle apparenze.
Una classe politica allo sbando, indifferente al cambiamento della società ma non allo scambio tra i diritti dei cittadini e qualche pacchetto di voti (con benefit annessi) che i potentati storici possono garantire, da sempre eterodiretta se si parta di “temi etici” e libertà individuali, sta producendo – quanto meno non ostacolando – il virulento ritorno della peggiore omofobia, l’attacco ora sotterraneo ora palese alla libertà delle donne, la confessionalizzazione sempre più evidente della scuola pubblica. Ed è solo qualche esempio.
In questo, la politica trova una sponda perfetta in una Chiesa che continua a godere di una valanga di privilegi e a restare invece impunita nello scandalo vergognoso della pedofilia di parecchi suoi ministri (scandalo del quale solo in Italia non si parla, grazie all'”omertà” dei media), agevolata dall’elezione di Bergoglio al soglio pontificio, una grande operazione di marketing che ha le portato un consenso sproporzionato alla sostanza dei fatti. Un pontificato beffardo e un papa che fa il simpatico ma non ha cambiato tutto questo di una sola virgola è solo una sciagura per i liberi pensatori.
Se esistesse davvero qualcosa come la coscienza pubblica, al netto degli ultras del cattolicesimo, avrebbe l’elettroencefalogramma piatto: una invasione così prepotente nella nostra vita e nessuno reagisce se non pochi volenterosi attivisti laici. Troppo poco. Se ci rubassero la macchina o ci svaligiassero la casa tutti ci arrabbieremmo a morte, invece ci rubano la libertà nemmeno ce ne accorgiamo. E’ stupefacente e meriterebbe ben altra reazione.
Ecco dunque un compitino per laici e associazioni laiche, da svolgere velocemente, perché di tempo ce ne è poco: servono idee pratiche e concrete (niente speculazioni inconcludenti e voli pindarici) per raggiungere e interessare gli indifferenti e mobilitare quelli già consapevoli ma scoraggiati. Parlare a tutti, uscire dal piccolo circolo dei “laici di professione”.
Bisogna risvegliare le coscienze anestetizzate. E poi bisognerà mostrarsi, e mostrarsi uniti; bisognerà fare numero, scendere in strada e farsi vedere, riempire le piazze, fare rumore. Coinvolgere anche i “cattolici adulti”, perché anche a loro magari interessa non vedere più la religione brandita come una clava ideologica contro chi non si conforma alla dottrina e al potere temporale della Chiesa, il loro dio usato come strumento di oppressione e per la ricchezza di pochi.
Creare un movimento d’opinione, una lobby (uguale e contraria a quella dei cattolici oltranzisti) in grado di avere un peso sulla scena politica e sociale e di durare nel tempo, un presidio permanente e ben visibile in difesa della laicità.
Quanto meno, a breve termine, serve una proposta per una manifestazione unitaria che vada ben oltre, per esempio, i piccoli numeri del “Coraggio laico”, fin troppo timida risposta al famigerato Family day di qualche anno fa. Bisognerà, al limite, anche turarsi il naso e accogliere nelle proprie file quei soggetti – sindacati, partiti, altre associazioni – che su questi temi hanno spesso barcollato (quando se ne sono interessati).
La secolarizzazione della società non ha mai frenato l’assalto di clero e clericali al Palazzo. Ecco perché si deve andare al mercato della politica con un pacchetto di voti potenziali che sia davvero interessante.
E’ vero, si fa presto a parlare, ed è vero, le difficoltà sono enormi: superare i narcisismi tipici di troppi ambienti di “sinistra” e laici, anzitutto. E questo è l’ostacolo maggiore, storicamente, il punto da cui partire per ottenere visibilità, interessare l’opinione pubblica in una congiuntura economica e sociale difficile come questa. Ma se non altro adesso gli stimoli sono grandi, perché il pericolo è grande: il crescere in numero e baldanza dei reazionari, estremisti cattolici e fascistoidi è sotto gli occhi di tutti. Come nella Resistenza durante la guerra, si deve accantonare ogni divisione, ogni massimalismo, ogni snobismo intellettuale, nell’interesse generale. Non c’è più tempo.
Dunque, sotto con le idee.
Nella sostanza si può consentire, ma per la disinformazione, per il tono e per certe inefficaci proposte, no: non penso, perciò, che si possano così coinvolgere “cristiani” adulti e, peggio, vecchi!
Alberto Bencivenga
PENSIERI SCOMODI
Recentemente, dal 16 febbraio 2012 fino alla fine dell’anno, ho partecipato, in un centro culturale, a una lettura laica della Genesi, in cui abbiamo cercato di interpretare il testo alla luce della cultura e del modo di pensare del tempo in cui è stato pensato, anche se, leggendolo con gli occhiali delle nostre attuali categorie mentali.
La Bibbia ebraica è indubbiamente uno dei monumenti letterari, storici e antropologici più significativi in nostro possesso, in cui i cantori di un popolo piccolo, ma determinato, hanno saputo conservare con grande amore e devozione il romanzo dell’epopea del loro popolo. E, fin qui, niente di preoccupante, fino a quando, però, qualcuno s’è inventato la pericolosa pazzia che quelle pagine erano state ispirate direttamente da Dio, ciò che ha, automaticamente etichettato come nemico di Dio e, quindi, da distruggere, chiunque non le venerasse.
La genesi formativa dei testi biblici è analoga a quella che ha prodotto, a una latitudine diversa, il Kalevala, poema nazionale dei popoli finnici, altro testo che, come la Bibbia, conserva per i posteri, in un linguaggio fatto di scintillante bellezza, i distillati di una saggezza nata da esperienze storiche non sempre facili, ma che, non essendo stato, per sua fortuna, etichettato come parola di Dio, non ha mai causato nè guerre nè controversie di sorta, ma si è limitato a dare al lettore grandi piaceri estetici misti a nobilissimi insegnamenti morali e ha ispirato a Sibelius molta della sua musica immortale.
Che cosa ha provocato il diverso destino di questi due testi? Probabilmente la loro diversa origine geografica ha giocato un ruolo importante nel modo così diverso in cui sono stati percepiti. Infatti, la Bibbia proviene dalla stessa area geografica in cui sono nati altri libri considerati da molti – troppi! – come ispirati da Dio (Gilgamesh, Vangeli e Corano), il che significa che, nella psicologia delle popolazioni che abitano quell’area, debba essere presente una marcata tendenza all’affabulazione teologica, forse per motivi ambientali legati alla peculiare influenza psicologica esercitata dai deserti. Nessuno, poi, si è mai chiesto perchè mai Dio si sarebbe dovuto servire di questa localizzata tendenza affabulatoria di una tribù sicuramente minoritaria, scarsamente importante nello scacchiere politico mondiale e priva di grande peso culturale, almeno se paragonata al mondo greco-romano, cinese o indiano, per mandare un messaggio universale destinato, cioè, all’intera umanità, quando avrebbe potuto inserire il suo messaggio nel DNA dell’umanità, com’è avvenuto per le più importanti regole etiche che tutta l’umanità segue e, per cui, tutti sentono che rubare, ingannare, fare del male al prossimo sono cose cattive in sè, indipendentemente dalla loro nazionalità, razza, lingua o religione!
Il Kalevala è stato invece prodotto da un popolo dotato di un grandissimo e innato senso pratico, amante della natura nonostante questa renda spesso difficile la sopravvivenza dell’uomo, specialmente durante la stagione invernale.
Una generale impressione avuta studiando la Genesi è stata l’immensa capacità intrinseca della Bibbia a plagiare il lettore, come dimostrano le migliaia di pagine di commento che ha ispirato (Talmud, Akkalah e chi più ne ha più ne metta!), ma la prima riflessione causata da un’attenta lettura di questo testo è che il mondo sarebbe stato certamente un posto assai migliore se la Bibbia non fosse mai stata scritta!
Perchè questo?
In una comunità egalitaria, come deve essere stata quella dei quattro gatti che popolavano un pianeta quasi vuoto, a un certo momento, appare questo libro che introduce il nuovo e peculiare concetto di un popolo eletto, scelto, cioè, da Dio per un ferreo patto di alleanza, che non può non aver reso i membri di questo popolo orgogliosi di questo rapporto privilegiato con la divinità e, conseguentemente, piano piano, nel tempo, arroganti nei confronti degli altri comuni essere umani, non così presi in considerazione da Dio.
Puntualmente, la linguistica ha fornito una parola per definire questo stato di cose: razzismo.
Questo razzismo ha ovviamente causato una reazione uguale e contraria che, nei secoli, è lievitata nei pogrom degli ebrei per culminare nella scientifica organizzazione della soluzione finale da ottenersi con le camere a gas di Hitler. E, di nuovo, la linguistica, ha fornito la terminologia per identificare tutto questo: antisemitismo.
Dopo aver provocato le tragedie del razzismo e dell’antisemitismo, questo libro terribile continua a darci lutti e disastri anche ai nostri giorni, nel Medio Oriente, dove, se la storia non avesse contrapposto ai palestinesi gli ebrei, ma calmucchi o ottentotti o eschimesi, da lunghissimo tempo avrebbero trovato una soluzione o creando uno stato unitario e multietnico, o fondando due stati indipendenti, entrambi con capitale a Gerusalemme, ma con due parlamenti situati a indirizzi differenti che, magari, si sarebbero riuniti cerimonialmente in seduta comune una volta l’anno per sottolineare alleanza e cooperazione. Questo, però non sarà mai possibile, data l’esistenza della Bibbia, perchè i palestinesi vanno al tavolo delle trattative con un’agenda su cui hanno scritto: “siamo stati sradicati dalle terre che noi e i nostri avi abbiamo coltivato per secoli, allo scopo di darle a barbuti immigranti totalmente estranei a questi posti ed ora bisogna risolvere il problema di dove e come noi palestinesi possiamo sopravvivere”; gli israeliani si siedono attorno allo stesso tavolo con un’agenda su cui, invece, hanno appuntato: “Come dicono le Sacre Scritture, Dio ci ha dato quelle terre e ci ha ordinato di annientare chiunque ci si opponesse”.
Ovviamente, grazie alla Bibbia, nessun accordo per la pace in Medio Oriente sarà mai possibile.
Ancora: noi siamo abituati a pensare alla Bibbia come al contenitore del Decalogo. Niente di più errato! La Bibbia contiene 762 comandamenti che vanno dall’obbligo di onorare il padre e la madre al divieto di desiderare la donna d’altri (come se le donne fossero oggetti o capi di bestiame di cui noi maschietti ci dividiamo la proprietà e guai a chi non è contento con quello che gli è toccato); dall’obbligo di fare strane liturgie se si trova sul tetto della propria casa un nido di colombe con un uovo dentro, al divieto di fare l’orlo alle maniche della camicia che debbono essere sfrangiate o di indossare un vestito fatto di stoffa tessuta mescolando insieme più di un unico tipo di fibra (sì, la Bibbia considera peccato indossare un fresco di lino e lana!) o sedersi su una sedia su cui in passato si è seduta una donna mestruata, per cui Jacobs, un giornalista americano ebreo, anche se non praticante, che ha voluto vivere un intero anno rispettando tutte le prescrizioni della Bibbia e ha scritto un libro su questa sua esperienza, che è disponibile anche in italiano (Jacobs: “Un anno vissuto biblicamente”, editrice Arrow Books), ha dovuto comperarsi uno sgabello portatile da usare in autobus, in ristorante o al cinema.
Quindi, pensare che Dio abbia ispirato questa massa di stranezze, significa dare dello scemo a Dio e questo non si può fare perchè è blasfemo.
Quando ero professore ordinario all’Università di Nairobi, avevo come mio primo aiuto un Collega indiano con una cultura generale incredibile (leggeva e scriveva il sanscrito come leggeva e scriveva l’inglese o il gujarati, la sua lingua madre). L’ho usato come cavia regalandogli una Bibbia tradotta in inglese in modo molto più accurato della versione di San Gerolamo, considerata canonica dalla gerarchia cattolica, anche se, per esempio, traduce la parola yamsuf (mare di canne) come se fosse Yamsur (Mar Rosso), creando così la fanfaluca di Mosè che divide le acque. Lettala, il Prof. Jeshrani mi fece questo commento: “Senti, più vengo a contatto con la cultura occidentale e più mi stupisco! Ma come fate a fondare delle religioni importanti come l’ebraismo e i vari cristianesimi su un libro in cui imperversa un dio antropomorfico, permaloso, poco intelligente, vendicativo, geloso, schizofrenico e spesso veramente cattive, quasi sempre in contraddizione con se stesso e la logica, con un’abilità incredibile a trasformare ridicole e triviali piccinerie in affari di importanza capitale, che, se per caso volesse diventare membro del Nairobi Club, si vedrebbe sicuramente la sua domanda rigettata dal direttivo del club per via dei suoi ben noti comportamenti non certo da gentiluomo? In India abbiamo dozzine di antichissimi libri altamente spirituali e di grande saggezza, dai Veda alle Upanishad; perchè non vi rifate ad uno qualsiasi di questi testi? Ci guadagnereste in chiarezza e nobiltà di pensiero”.
Già, perchè?
La Bibbia causerà l’estinzione dello stato di Israele. Shlomo Sand, professore di storia all’università di Tel Aviv, ha appena pubblicato un saggio che ha provocato violente discussioni a Israele, come è destino di tutti i libri che smontano miti, tabù e indimostrati luoghi comuni e, in questo libro, intitolato in italiano “L’invenzione del popolo ebraico”, edito da Rizzoli, riporta un interessante dato statistico: il numero degli ebrei che scappa ogni anno da Israele è più elevato della somma degli ebrei che immigrano e dei neonati locali. Questo avviene perchè gente normale si rifiuta di vivere in un regime teocratico molto simile, mutatis mutandis, a quello degli ayatollah iraniani! Un paio di esempi citati nel libro: uno degli ufficiali più decorati dell’esercito israeliano, membro dello staff di Moshe Dayan e coautore delle strategie e delle tattiche che fecero vincere a Israele la Guerra dei Sei Giorni, è ricorso all’Alta Corte perchè il Ministero dell’interno negava la cittadinanza israeliana ai suoi due figli, nati, cresciuti ed educati in Israele ed entrambi combattenti in prima linea nella stessa guerra, ed ha perso la causa perchè sua moglie, madre dei due ragazzi in questione, è una protestante nata in Europa! Poi, ad ogni elezione, migliaia di rabbini ed ebrei fondamentalisti arrivano all’aeroporto dall’estero con viaggi turistici organizzati, trovano pronti i certificati di nazionalità che consentono loro di votare prima di tornarsene a casa e così, i partiti su cui il rabbinato fonda il suo strapotere, mandano al parlamento un numero di deputati capace di ricattare ogni politica che osi di essere seria e razionale.
L’arroganza con cui il rabbinato israeliano impone al governo del Paese le sue vedute è impensabile e molto più grave della tipica arroganza di qualsiasi casta clericale che riesce a gestire almeno parte del potere statale e impone la sua prepotenza senza alcun bisogno di dare spiegazioni, perchè pretende di agire in nome di Dio e opera quindi con la stessa arroganza con cui le gerarchie vaticane pretendono di assoggettare le leggi dello stato italiano ai loro principi non negoziabili! Per esempio, a Israele, due giovani innamorati l’uno dell’altra, non possono sposarsi legalmente se non sono entrambi ebrei, perchè le leggi dello stato non prevedono l’istituto del matrimonio civile e i rabbini celebrano solo i matrimoni che vogliono loro!
L’umanità ha prodotto tanti testi di dignità almeno pari a quella della Bibbia, alcuni dei quali, fin da ragazzo, li ho sempre voluti a portata di mano, per leggerli quando ho provato il bisogno di sentirmi migliore (cioè spessissimo), come il DE RERUM NATURA, il FAUST ed il già citato KALEVALA (purtroppo il mio rudimentale finlandese è assolutamente insufficiente a leggerlo in originale, ma ne ho una splendida traduzione in tedesco). Sono testi che, fortunatamente, nessuno si è mai sognato di considerare come ispirati da Dio e la cui lettura può solo fare del bene a tutti, perchè altamente morali e completamente privi dell’intrinseca pericolosità sociale tipica delle religioni rivelate (quando parlo di pericolosità sociale delle religioni rivelate, amo giustificare questa definizione dicendo che un imbecille in possesso di un libro che ritiene essere stato ispirato da Dio, quando avrà finito di leggerlo, se è sufficientemente imbecille, si affretterà a mandare Giordano Bruno al rogo e sarà seguito da altri imbecilli che lo beatificheranno, magari a distanza di secoli semplicemente per far dispetto ad un governo, in questo caso, quello italiano, che s’era rifiutato di accedere alla richiesta dall’allora papa Pio XI che, reso arrogante e insaziabile dai vantaggi che s’era appena assicurati con la firma dei Patti Lateranensi (si dice che l’appetito viene mangiando), aveva preteso da Mussolini la rimozione da una famosa piazza romana del monumento dedicato a questo grande maestro di vita e nobile martire del libero pensiero).
Un’ulteriore riflessione causata dalla lettura della Bibbia stimola altre domande: perchè mai un Dio universale che avesse voluto manifestarsi all’umanità dovrebbe aver scelto di farlo in un contesto socio-culturale così insignificante nel quadro dello scacchiere mondiale, trascurando i milioni di cinesi, indiani, africani, europei e gli sconosciuti abitanti delle Americhe, che pur erano milioni, prima che i cristiani di Spagna e Portogallo li annientassero, forti dell’editto papale che autorizzava esplicitamente il re del Portogallo a considerarli mera selvaggina? E come mai tutti i testi ritenuti rivelati da dio (Antico Testamento, Nuovo Testamento e Corano) nascono nella stessa area geografica e sembrano essere informati da presupposti psicologici e culturali del tutto analoghi?
Io credo che una risposta a queste domande possa essere data solo se si considera la prepotente presenza dei deserti nell’ambiente in cui sono nate le cosiddette Sacre Scritture.
Solo chi ha provato a passare del tempo nel deserto non andandoci con una carovana turistica organizzata con tende, frigoriferi, cucine, collegamenti radio e personale di servizio, ma con uno zaino sulle spalle e affidandosi all’ambiente naturale per la sua sopravvivenza può aver sperimentato ciò che il deserto provoca nel nostro subcosciente. Io non conosco bene il Deserto del Sahara in cui mi sono addentrato solo per una brevissima e insignificante visita turistica dal Marocco, con un gruppo organizzato, ma conosco bene per averlo attraversato per ben due volte il Deserto del Kalahari, nell’Africa sud-occidentale, fra Botswana e Namibia e mi sono addentrato nel Deserto del Thar nel subcontinente indiano, giganteschi e altrettanto proibitivi, e lì ho sperimentato nella mia psiche il senso di assoluta impotenza, di sconfitta, di smarrimento, di bisogno insopprimibile d’essere salvato che l’ambiente desertico sa evocare in noi e ho capito benissimo perchè, rispondendo a questo pesantissimo carico psicologico, il dio delle religioni rivelate nate nel Medio Oriente è sempre un benigno salvatore di aspetto antropomorfico, pronto a fornire, con le sue arti magiche, cibo e acqua a chi ha fame e sete, a differenza delle divinità concepite da altri popoli, viventi in ambienti naturali più ospitali!
Purtroppo, questo terribile libro ha avuto un’enorme influenza sulla formazione della nostra società e sui condizionamenti culturali a cui questa è assoggettata, con risultati che ci è difficile valutare, dati i loro connotati religiosi, che rendono problematica qualunque discussione.
Le religioni rivelate, con la loro pretesa di essere una diretta emanazione della volontà divina, infondono, nelle categorie mentali dei loro adepti, ben ferma, l’idea di essere al di sopra di qualsiasi altra organizzazione umana e le loro gerarchie, di conseguenza, tendono a considerarsi al di sopra di qualsiasi altra autorità, al punto che, per esempio, la chiesa cattolica ha dichiarato infallibile per dogma il suo capo, quando sentenzia in tema di fede e di morale, cioè in temi di enorme importanza nella volontaria attività del pensiero umano.
Questo porta, ovviamente, queste organizzazioni, sul piano politico, ad arrogarsi il diritto di influenzare con ogni possibile mezzo a loro disposizione i processi legislativi dello Stato, pretendendo di guidarli o limitarli (vedi la recente abnorme teoria dei principi non negoziabili della gerarchia cattolica in Italia, per esempio, che il nuovo papa Francesco, provenendo da una cultura più onesta e meno imperialistica e prepotente, non si è sentito di avallare) senza che lo Stato, almeno in Italia, abbia saputo rispondere a tono dicendo che l’unico principio non negoziabile esistente in democrazia è quello che postula l’inesistenza di princípi non negoziabili, data la ricattabilità dei politici in carica, dovuta ai voti indebitamente controllati dal Vaticano che spinge i suoi esponenti, sul piano giudiziario, a far quadrato in difesa di eventuali comportamenti criminali, sia ufficiali di gruppo che personali e privati, dei singoli membri delle loro gerarchie, anche quando si tratta di riciclo di capitali mafiosi da parte dello IOR o di violenze carnali su bambini da parte di pedofili con cariche ecclesiastiche, per l’inevitabile, anche se irrazionale, riflesso condizionato secondo cui, difendere gli esponenti della casta sacerdotale significa stare dalla parte di dio!
Tutto questo può essere evitato soltanto quando lo Stato si deciderà a negare, per legge, ogni qualsiasi privilegio legale o fiscale e ogni forma di sostegno economico gravante sui contribuenti a organizzazioni religiose, specialmente a quelle che, oltre a gabellarsi come ispirate da dio, funzionano con un articolato sistema gerarchico, fermi restando i principi della più assoluta libertà religiosa, nell’ambito della legge che deve assicurare e difendere la libertà di tutte le religioni, salvo, evidentemente, vietare religioni che abbiano fra i loro riti sacrifici umani o baccanali!
Che cosa provoca negli esseri umani questa specie di istinto alla religione e da che cosa deriva nelle nostre menti il concetto stesso di divinità?
È facile immaginare come l’uomo primitivo, al contatto con l’ambiente in cui viveva, non sempre facile e, spesso, addirittura, terrorizzante, abbia cercato di sentirsi protetto da qualcosa di onnipotente e soprannaturale, creandosi così, il concetto di divinità, su cui, gradualmente, si è sviluppata l’idea di religione, che, nata come un sentimento spontaneo e non sistematizzato dal desiderio di assicurarsi in qualche modo la benevolenza e la protezione del dio (dando così origine ai riti e alle preghiere), col tempo è stata sistematizzata in ideologie, sistemi filosofico-teologici e gerarchie, non appena, dal contesto di spontaneità dei primi devoti, si sono sviluppate caste sacerdotali, motivate sempre di più dall’acquisizione di potere e ricchezza personali.
Quando poi la religione si è dimostrata un eccellente instrumentum regni per garantire ai regnanti l’obbedienza dei loro sudditi senza dover spendere troppo in polizia e mezzi coercitivi e di controllo, allora essa è diventata un elemento fondamentale in tutte le culture e i regimi che si andavano sviluppando nel mondo ed è stato facile prendere in prestito da Platone il concetto di dio per edificarci sopra ogni sorta di fantastiche sovrastrutturazioni.
Platone mette nel suo mondo delle idee solo archetipi di idee, principi semplici e fondamentali e non ci mette certo la combinazione di idee che possono essere fatte dalle nostre menti combinando nello stesso impasto archetipi fondamentali ed esperienze pratiche, per creare, per esempio, l’idea di automobile o di telefono! Nel mondo delle idee di Platone ci sono solo principi privi della complessità che la rielaborazione pratica da parte della mente umana può dare loro e, tornando al concetto di dio, possiamo osservare che, se ci riferiamo a divinità tribali, radicate nella ben definita e specifica tradizione culturale di un particolare popolo, non possiamo trovare la loro definizione tra i concetti semplici del mondo delle idee di Platone. Ai boscimani, ai pellirosse d’America, agli eschimesi delle regioni artiche non potrà mai venire in mente l’intuizione di specifiche e personalizzate divinità come Osiride, Yahvè, Zeus o Marte, come li concepirono i popoli che adoravano queste figure create, rese pratiche e interpretate dai mezzi conoscitivi delle culture e delle esperienze particolari e specifiche dei singoli popoli che adoravano queste divinità. Ma boscimani, pellirosse ed eschimesi possono benissimo intuire e immaginare il concetto semplice di un Essere senza principio e senza fine, increato e creatore, perchè questo è un concetto archetipale che chiunque, anche un marziano, può immaginare, pur senza sapere che sta facendo un prelievo dal mondo delle idee di Platone! In altre parole, Osiride, Yahvè, Zeus, Marte e la Trinità sono complicazioni ideative create dalla fantasia umana, anche se discendenti dall’idea generica e semplice dell’Essere senza principio e senza fine che abita nel mondo delle idee di Platone e su cui, dopo aver antropomorfizzato il concetto di Dio, interessi politici e di potere hanno edificato, col tempo, religioni organizzate, riti, liturgie, tradizioni, caste sacerdotali con vestimenti speciali, spesso pure ridicoli (pensiamo per un momento a come si conciano il papa e i cardinali quando celebrano i loro riti!) e titoli altisonanti… tutte cose, cioè, pratiche e che non sono i concetti semplici che, per definizione, abitano nel mondo delle idee di Platone.
Certo, il denominatore comune di tutte le religioni è questa comune e spontanea idea della possibilità, che per molti è una necessità, dell’esistenza di un principio eterno che è stato l’inizio di tutto, un’idea talmente spontanea e intuitiva, che deve certamente abitare nel mondo platonico delle idee. Ma da che cosa prendono origine le varie credenze subordinate a questa idea archetipale, spesso in contrasto l’una con l’altra, in cui si sono venute strutturando nei secoli le varie religioni che conosciamo?
Dare una risposta a questa domanda è importante, se non altro data l’incontrovertibile pericolosità sociale di certi aspetti di alcune religioni.
Indubbiamente, certi fenomeni naturali devono aver fornito materiale per la creazione di molti miti. Per esempio, esistono prove geologiche di una planetaria inondazione probabilmente dovuta a un improvviso e abnorme sciogliersi dei ghiacci polari da cui è nato il mito del diluvio universale, un mito che si ritrova in diversi contesti protoreligiosi e non deve sorprendere troppo se, a un certo punto, qualche furbo in posizione dominante, allo scopo di influenzare e indirizzare i comportamenti del popolo a lui sottoposto, ha postulato che il diluvio fosse stato un atto punitivo della divinità, dovuto alla non osservanza da parte dell’umanità delle leggi che questo qualcuno voleva fossero obbedite e che, per facilitarsi le cose, spacciava per leggi ispirate da dio.
Non c’è dubbio che, in fondo, questo tipo di reinterpretazione di una lontana memoria storica, rispondeva alla primaria esigenza delle classi emergenti e dominati, di consolidare il loro potere sulle masse a loro sottoposte, fondandolo su un’origine divina indiscutibile e che questo istinto primordiale a dominare e assoggettare, giustificando e razionalizzando, nel contempo, la violenza usata per assoggettare chi aspirava ad essere libero, sia alla base di quasi tutte le sovrastrutturazioni edificate sull’intuitivo concetto di un Essere eterno fonte di tutto, che ha dato luogo alle religioni organizzate che conosciamo.
Lasciamo da parte i miti del Gilgamesh che sono troppo lontani dalla nostra cultura tradizionale ed osserviamo criticamente la Bibbia, a noi più comprensibile. Che cos’è la Bibbia se non il tentativo di alcuni autori che, proponendosi di preservare la memoria della storia del loro popolo, hanno cercato di coonestare certi passati comportamenti dei loro antenati, di cui si vergognavano, dicendo: “Sì, è vero, abbiamo spesso passato a fil di spada uomini, donne e bambini per appropriarci delle loro case e delle loro terre, ma non lo abbiamo fatto per malvagità! Lo abbiamo fatto perchè ce lo aveva ordinato il nostro Dio per suoi scopi imperscrutabili! E il nostro Dio è uno con cui non si può scherzare perchè se ti azzardi a disobbedire ai suoi ordini, per quanto schizofrenici ti appaiano, mena di brutto”? E così nasce la necessità di inventarsi il dio antropomorfico, antipatico, vendicativo, geloso, schizofrenico, spesso crudele e malvagio che riempie delle sue gesta la Bibbia – un dio troppo legato a particolari ed episodiche vicende per avere alcun diritto di cittadinanza nel mondo platonico delle idee – e, in secondo tempo, con l’evolversi della civiltà, la necessità di correggere la rotta inventandosene un’incarnazione diversa, migliore e più … umana di questo stesso dio perverso, da propagandare col Nuovo Testamento.
Ho già parlato della pericolosità sociale di certe religioni e credo utile ripetere ancora una volta che il rischio più grave di essere socialmente pericolose lo hanno le religioni rivelate, per il semplice motivo, come già detto, che quanto vuole Dio non si discute, per cui, qualsiasi imbecille che ha in mano un Libro ispirato da Dio, appena finito di leggerlo, se è sufficientemente imbecille, non perderà un minuto prima di mandare Giordano Bruno al rogo e lo farà convinto di interpretare la volontà di Dio, non i suoi personali interessi!
Ma esistono altri mezzi più sottili perchè una religione possa essere socialmente pericolosa e sono tutti motivi occasionati da un unico istinto primordiale che esiste in tutti noi, ma che ha la possibilità di manifestarsi pienamente solo in classi sociali ben piazzate alla bisogna: l’istinto al potere e all’arricchimento personali!
È chiaro che bramini e kshatriyas indiani detentori del potere hanno la vita più facile se riescono a far adottare dai loro sudditi una religione secondo cui la miserabile povertà attuale della maggior parte di loro è stata causata solo dal loro cattivo comportamento durante vite precedenti e che, soffrendo il più possibile durante l’attuale incarnazione, si possono guadagnare il nirvana in futuro! Chiunque visiti l’India odierna si può rendere facilmente conto che l’immensa, abbietta povertà che circonda pochi privilegiati ricchi sfondati non provoca alcun desiderio di ribellione da parte dei milioni di miserabili e permette alle classi privilegiate di continuare a controllare e sfruttare le masse di questi diseredati senza dover spendere molto in polizia e mezzi coercitivi per mantenersi al potere, perchè questi diseredati non hanno alcuna motivazione a ribellarsi. Una volta, mentre ero in India a giocare a polo con la squadra del Nairobi Polo Club, ho cenato a casa del Maharajah di Jaipur, sedendo su una delle 24 sedie di argento massiccio dal peso di circa un quintale ognuna, che circondavano un gigantesco tavolo, pure di solido argento, mentre nelle strade circostanti c’erano dozzine di disgraziati che dormivano ai lati dei marciapiedi, si nutrivano di quello che trovavano nei depositi delle immondizie e che nascevano, crescevano, si sposavano, si riproducevano e morivano senza mai aver avuto un tetto sulla loro testa, ma sempre completamente privi di qualsiasi risentimento o idea di essere vittime di un’ingiustizia sociale, perchè la loro condizione, secondo loro, era dovuta alla volontà di Dio, contro cui non ci si poteva opporre!
Ho fatto questo esempio limite da un mondo lontano dal nostro per non offendere sensibilità presenti nella nostra società, ma a che cosa servivano certi insegnamenti cristiani del tipo, per esempio, ogni autorità proviene da Dio se non a permettere ai ceti dominanti di tenere sottomessi a basso costo i loro dominati? A che cosa è servito lo stravolgimento del Cristianesimo primitivo, concluso da Gregorio VII, l’invenzione stessa del papato, del collegio dei cardinali e della struttura monarchica ed accentratrice della Chiesa Cattolica se non a costruire un efficiente instrumentum regni? La stessa proclamazione di dogmi non è quasi sempre servita allo stesso scopo? Pio IX era assediato dai patrioti italiani che volevano l’unità d’Italia e si opponevano al suo conservatorismo e al suo potere temporale e lui si fa proclamare infallibile per dogma, una proclamazione completamente priva di alcun fondamento religioso, teologico o, semplicemente, razionale, ma che gli serviva per sconfessare implicitamente e surrettiziamente l’etica e gli ideali dei patrioti del Risorgimento; Pio XII aveva bisogno di un atto di magistrale autorità per contrastare il blocco social-comunista che sembrava potesse vincere le elezioni italiane e dichiara ex cathedra, come dogma, che Maria santissima è ascesa al cielo in carne ed ossa, facendosi, magari, da uomo colto e intelligente qual era, le più matte risate quando stava da solo, pensando a dove andasse a fare pipì e dove si comprasse da mangiare quella povera donna costretta a vivere col suo corpo in un mondo immateriale e di pura spiritualità, come, per definizione, viene concepito il Paradiso!
La riluttanza ad ammettere che la morte possa portare a ciascuno di noi una fine definitiva ci spinge a postulare un aldilà dove qualcosa di noi possa continuare a vivere per sempre (ed ecco l’invenzione dell’anima immortale per evitare di confrontarsi con le conseguenze dovute alla risoluzione dell’elegante equazione di Einstein E=mc2, per cui alla mia morte la mia massa torna ad essere parte dell’energia cosmica col piccolissimo valore di m=E/c2!) e la possibilità di far finire dannati fra le fiamme eterne i disobbedienti, rende certamente più facile ai detentori del potere di far rispettare le loro leggi, per cui ben pochi placano la loro esigenza del divino, con l’unica idea di Dio che abbia diritto di cittadinanza nel modo platonico delle idee, quella assoluta, immaginando, quindi, che nulla esista al di fuori di Dio, e che le nostre persone, il nostro gatto, gli uccelli in giardino, le galassie, gli spazi siderali, i buchi neri… non sono altro che cellule dell’unica cosa esistente: Dio! Oltretutto, questa ipotesi, in cui io credo fermamente, ci eviterebbe il disturbo di doverci postulare un big bang per spiegarci l’origine dell’universo, una teoria che non risolve il problema di che cosa c’era prima, perchè se ammettiamo che tutte le cose esistenti sono cellule dell’organismo di Dio, esse esistono da sempre in quanto parte di qualcosa, Dio, che non ha origine e non ha fine!
Questa concezione ha un solo svantaggio: non si presta bene a essere usata da alcuna casta dominante per fini di potere e di personale arricchimento, nè è molto utile per organizzarci sopra una religione burocratizzata con dottrine più o meno vendibili e con gerarchie ben stabilite e, probabilmente, è proprio per questo che nessuno l’ha mai diffusa!
La religione non è l’unico mezzo per controllare i comportamenti delle masse, anche se è certamente il più facile. Anche quello che chiamiamo politica serve egregiamente allo stesso scopo, che viene perseguito con mezzi spesso simili, anche se, nella politica, la componente superstizione non ha certo le stesse enormi potenzialità su cui essa può contare in un contesto rigorosamente religioso, dove, cioè, il soprannaturale, il misterioso e l’inspiegabile sono di casa.
In politica, interessi personali e di classe giocano un ruolo importantissimo nel motivare le masse e, siccome questa motivazione si fonda sulla percezione psicologica che ciascuno ha dei fatti e delle situazioni, in politica diviene importantissima l’abilità del capopopolo a convincere e orientare il modo di pensare dei cittadini, col risultato che solo personalità con valori etici superiori non faranno mai ricorso alla menzogna propagandistica per convincere gli altri a condividere certe idee e certi giudizi e rimarrà sempre presente il rischio che personaggi scarsamente onesti, ma con un’oratoria convincente (come dovevano essere stati Mussolini, Hitler e Stalin) plagino interi popoli.
Fino a pochi anni fa, era facile per i singoli cittadini decidere come votare alle elezioni, perchè esistevano partiti con ideologie e programmi di governo facilmente decifrabili, anche se, qua e là, un po’ superstiziosi, come l’idea comunista dell’obbligatoria autodistruzione del capitalismo, per cui l’elettore dava il voto alla lista del partito la cui ideologia più si avvicinava al suo modo di pensare.
Questa situazione, però, col crollo e la dissoluzione delle ideologie, è oggi completamente mutata, per cui è urgente inventarsi meccanismi che permettano ai cittadini di giudicare rapidamente e facilmente l’azione dei propri governanti e amministratori locali per decidere come votare razionalmente, cioè, in funzione di un motivato giudizio.
In teoria, la stampa e la radio-televisione dovrebbero poter dare tutte le informazioni sui cui il cittadino possa fondare le sue decisioni, ma questo non è assolutamente vero perchè, oggi come oggi, l’industria dell’informazione non ha alcuna forma di indipendenza, pagata com’è sia da enti statali che da facoltosi privati, ognuno dei quali ha interesse a creare e diffondere una sua presunta verità, funzionale ai suoi particolari e predeterminati interessi.
Forse, piccole riforme procedurali potrebbero aumentare le probabilità che permettere che ai cittadini arrivino le informazioni utili e necessarie a formulare i loro giudizi.
Per esempio, se si ponessero in essere collegi di competenti e veri esperti che obbligatoriamente debbano essere interpellati dal legislatore prima della discussione e del varo di leggi tecniche, il cittadino potrebbe acquisire validi elementi di giudizio. Mi spiego meglio con un paio di esempi pratici: presentemente si fa un gran discutere sui treni ad alta velocità e sul ponte sullo stretto di Messina; col sistema da me proposto, il legislatore sarebbe obbligato ad ottenere il parere di collegi formati da esperti scelti fra i professori ordinari nelle università statali di ingegneria del traffico e delle comunicazioni, di ecologia e protezione ambientale, di sismologia, di ingegneria e di scienza delle costruzioni sulle implicazioni e l’impatto, rispettivamente, della TAV e del ponte; tali pareri, assolutamente non vincolanti, devono essere resi pubblici in modo che, alla fine della legislatura, l’elettore possa identificare sia il cretino comportamento di uomini politici che mai hanno ascoltato il parere degli esperti facendo una sciocchezza dopo l’altra, sia il comportamento brillante di politici che hanno avuto la lungimiranza di disattendere un parere di esperti rivelatosi poi erroneo all’atto pratico e scegliere, quindi, per chi votate alle susseguenti elezioni in base a concreti dati di fatto e dopo un processo decisionale fondato sul raziocinio e la logica.
Questo sarebbe un metodo estremamente utile e di facile attuazione che, sicuramente, permetterebbe al cittadino di dare il suo voto a ragion veduta e renderebbe più difficile influenzare l’elettorato con mezzi disonesti, come, per esempio, usando a sproposito il sentimento religioso.
Arrivato in Italia dopo tanti anni di assenza, sono rimasto stupito da quello che leggevo sui giornali romani circa l’ospedale CTO e i posti di pronto soccorso dei vari ospedali cittadini, mi sono incuriosito e sono andato a vedere che cosa succedeva, cominciando con gli ospedali che conoscevo per averci lavorato da giovane medico, prima di andarmene all’estero, e quello che ho visto non mi ha reso felice, perchè ho dovuto constatare che le costose attrezzature ospedaliere in Italia sono ovunque usate in modo insufficiente ed antieconomico, dato il balordo sistema organizzativo dei nostri ospedali, col paradosso non noto a tutti, che, pur essendo, in Germania, cioè nel Paese con, probabilmente, il miglior sistema sanitario pubblico del mondo, il numero di letti ospedalieri pubblici percentualmente, rispetto alla popolazione, di gran lunga minore che in Italia, non hanno i ben noti e scandalosi ritardi delle prestazioni cliniche che sono comuni in Italia.
Tutti sanno che cosa succede, per esempio al CTO di Roma, che mi piacerebbe di dirigere per un po’ di tempo, anche senza stipendio, solo allo scopo di dimostrare con che facilità se ne potrebbe fare un ospedale di fama internazionale (ci porterei in comodato d’uso, ma riservandomene la proprietà, oltre un milione di dollari dei più sofisticati strumentari per la chirurgia dei traumi e per endoprotesi ortopediche) e non bisogna fare l’errore di pensare a questo ospedale come ad una eccezione, anzichè ad un tipico esempio della generale malfunzione del sistema ospedaliero italiano.
Che fare per sfruttare al meglio le nostre attrezzature ospedaliere? Basta seguire l’esempio di quello che si fa quasi ovunque altrove nei paesi civili e, cioè, permettendo a qualunque specialista che lo richieda, di essere accreditato da un determinato ospedale per lavorarci (naturalmente questa accreditazione si dà soltanto a specialisti che il loro curriculum dimostra essere sicuramente competenti e che vengono, quindi, avallati dall’Ordine dei Medici).
Gli specialisti accreditati di ogni reparto eleggono fra loro un capo-servizio ogni due o tre anni, a rotazione.
Nel caso delle specialità chirurgiche, esisterà anche un Consiglio permanente delle sale operatorie, in cui siedono tutti i chirurghi e gli anestesisti accreditati e una rappresentanza del personale infermieristico di sala operatoria. Questo consiglio, che si riunisce a scadenze fisse ed almeno una volta ogni mese, è competente a decidere le routine e le modalità d’uso del reparto operatorio.
Ogni giorno, a rotazione, uno degli specialisti accreditati per ciascuna specialità è in servizio di accettazione e sarà responsabile del trattamento dei pazienti ricoverati d’urgenza nel suo giorno di guardia, oltre che dei trattamenti di pazienti da lui studiati in ambulatorio e ricoverati per le terapie del caso. Questo specialista sarà pagato non a stipendio, ma per le singole prestazioni effettivamente effettuate e riceverà la pro-rata dedotta dal costo generale pagato all’ospedale dalle assicurazioni, dal Sistema Sanitario Nazionale o, di tasca sua, dal paziente privato per l’intera degenza, riferita alle prestazioni da lui personalmente eseguite. Le terapie necessarie le attuerà assistito dagli assistenti dell’ospedale, che debbono tutti essere allievi della relativa scuola di specializzazione e che, invece, percepiscono uno stipendio dall’ospedale, che può essere cumulato con un’eventuale borsa di studio per la scuola di specializzazione.
Gli specialisti accreditati non possono esercitare al di fuori dell’ospedale accreditante, il quale però fornirà loro gratuitamente servizi di segreteria, di amministrazione e di ambulatorio.
Naturalmente, il malato che volesse cambiare specialista curante, può farlo liberamente, seguendo un semplice e facile protocollo predefinito.
Va da sè, che anche medici di base che avessero bisogno di trattare un loro paziente in ambiente ospedaliero possono farsi accreditare come medici di base per ricoverare e curare in ospedale i loro Pazienti che avessero bisogno di terapie in ricovero ospedaliero!
Una mentalità comune o una scuola, come si diceva un tempo, si forma gradualmente mediante l’istituzione dei clinical meetings, che in italiano potremmo chiamare incontri clinici, da tenersi a scadenze fisse, almeno mensili, ed a cui partecipano tutti i medici che lavorano nell’ospedale, i medici di base e gli studenti di medicina che sono interessati. Di questi incontri clinici, i più importanti sono i seguenti: a) Incontro clinico sulla mortalità, in cui si discutono tutti i casi di pazienti deceduti, con lo scopo di rispondere alla domanda, se la morte era evitabile o no; b) Incontro clinico sulle complicazioni e sulle infezioni; c) Incontro clinico-radiologico, in cui ciascun clinico descrive i suoi singoli casi clinici e spiega perchè ha richiesto un particolare esame diagnostico per immagini e viene seguito dal radiologo che illustra i risultati ottenuti e, eventualmente, indica il tipo di esame che sarebbe stato più utile nella fattispecie attuale; d) Incontro clinico su casi speciali, in cui ciascun clinico illustra i casi di particolare interesse scientifico da lui osservati nel mese appena passato. Inutile dire che gli assistenti ed i tirocinanti sono obbligati a partecipare a tali meeting e che se gli specialisti accreditati disertano tali meeting, perdono il diritto di operare nell’ospedale.
Questo sistema, che attua la regola aurea che il mio professore di storia e filosofia al liceo cercò di farci apprendere dallo studio critico della storia, secondo cui, sono buone solo quelle leggi che creano nella maggioranza l’interesse ad obbedirle, pone in essere negli specialisti accreditati nell’ospedale un sano desiderio di eccellere nella loro opera didattica, nelle loro prestazioni cliniche e nel loro modo di trattare i pazienti, allo scopo di crearsi una reputazione tale per cui sono scelti dal più alto numero possibile di pazienti, in modo da massimizzare i loro introiti professionali. Questo sistema, se applicato anche in Italia, avrebbe anche l’effetto collaterale non di poco conto di abolire in brevissimo tempo lo sconcio delle liste di attesa, per terapie magari urgenti.
I vari importatori di presidi medico-chirurgici in Italia si sono segretamente messi d’accordo per gonfiare i prezzi a dismisura. Solo per dare un’idea della vastità del fenomeno, riporto quando ho potuto osservare personalmente: una placca a T da osteosintesi per chirurgia della mano che in Svizzera, dove è prodotta, costava, al minuto, 14 franchi e 70 centesimi (quindi meno di 10 Euro) che ho, usata una volta nell’anno 2001 a Roma per una rizartrodesi con una tecnica da me inaugurata e pubblicata nel 1977, venne fatturata da un fornitore per l’odierno equivalente di ben 600 Euro. Recentemente, ad una casa di cura che conosco bene, per un trapano da ossa che in Svizzera ho acquistato per loro, completo di tutti gli accessori che, in Italia, avrebbero dovuto acquistare a parte, al prezzo di 7.000 franchi, era stato fatto dall’importatore un preventivo di 40.000 (sì, quarantamila!) euro. Ripeto, per il solo trapano senza alcun accessorio!
Questo fatto ha anche altre conseguenze spiacevolissime per i pazienti italiani, che cercherò qui di spiegare. Siccome il Sistema Sanitario Nazionale non paga le case di cura e gli ospedali a piè di pagina, ma a forfait, cioè a cifre prefissate per ciascuna patologia, è ovvio che, per rientrarci con le spese, gli amministratori sono costretti in tutti i modi a risparmiare il più possibile sugli acquisti. Questo fa sì che, anche chirurghi aggiornati e competenti, quando si tratta di impiantare, per esempio, una protesi d’anca, sono spesso costretti ad usare protesi obsolete, che, se le usassero in Germania, in Svizzera o in Kenya, tanto per citare Paesi dove ho esercitato per tanti anni, li porterebbero in tribunale.
Mi spiego per i non addetti ai lavori: le protesi d’anca comunemente usate fino a qualche anno fa, erano fatte di una coppa emisferica acetabolare di polietilene, accoppiata con una testa femorale di metallo. Questa soluzione, anche se garantiva un regime funzionale di bassa frizione, produceva una ben nota serie di inconvenienti dovuti alla liberazione per attrito di microparticelle di polietilene, capaci di provocare con una frequenza frustrante un’instabilità secondaria, che costringeva a cambiare la protesi dopo un certo tempo, con un’operazione molto più indaginosa della semplice inserzione iniziale della protesi stessa e, potenzialmente, gravida di complicanze anche serie. Il passaggio all’accoppiamento di polietilene con ceramica, ha dimezzato il problema e il progressivo sviluppo dei materiali ha fatto sì che, oggi, nei paesi civili, vengono prevalentemente usate protesi in cui l’articolazione non avviene più fra polietilene e metallo o polietilene e ceramica, ma fra metallo e metallo (protesi di metasul) o, più recentemente, fra ceramica e ceramica, che hanno moltiplicato di varie volte la potenziale durata funzionale delle protesi articolari. Siccome queste protesi moderne costano un po’ di più delle precedenti e considerata la scandalosa esosità degli importatori in Italia, è perfettamente comprensibile che gli amministratori di ospedali e di case di cura costringano i loro chirurghi ad usare le protesi più antiche e meno costose di polietilene e metallo, col risultato pratico che i pazienti italiani, per lo più, non possono ricevere le terapie più moderne che invece sono ovvie in Germania, Svizzera e Kenya!
Evidentemente, lo stesso avviene per materiali da sutura e da medicazione.
Che cosa costerebbe al nostro Parlamento di approvare una semplice leggina che vietasse di vendere in Italia presidi medico-chirurgici importati dall’estero ad un prezzo superiore a quello praticato per le vendite al minuto nel paese di produzione, aumentato soltanto delle documentate spese di importazione, pena 5 anni di prigione ed il rimborso al Sistema Sanitario Nazionale delle cifre illegalmente lucrate in eccesso, tenendo presente che i prezzi delle vendite al minuto praticati all’estero, contengono già un ricavo del venti per cento per il venditore? Una legge simile risolverebbe immediatamente il problema. Le rappresentanze diplomatiche italiane all’estero, potrebbero tempestivamente ottenere le informazioni sui costi eventualmente richieste dal Sistema Sanitario Nazionale in occasione di eventuali contestazioni.
Oltretutto, questa legge toglierebbe dalle mani degli importatori le grosse somme che hanno a disposizione per corrompere chirurghi corrompibili, pagando loro, sotto banco, mazzette per far loro eseguire operazioni non necessarie e far loro usare sistematicamente solo placche viti e chiodi di costosissimo titanio anche quando si dovrebbero usare i poco costosi impianti d’acciaio, che sono obbligatori in traumatologia (gli impianti di titanio sono difficilissimi da rimuovere e questo provoca una percentuale di complicazioni inaccettabile per la loro rimozione, obbligatoria in traumatologia, per cui un traumatologo competente e onesto eviterà come la peste di usare impianti di titanio per il trattamento delle fratture)!
Se un paziente ha bisogno di 5 compresse di aspirina, il medico di base italiano gli dà una prescrizione per un tubetto da 20 compresse. Le 15 in soprannumero finiscono in uno stipo nel bagno di casa o nel secchio delle immondizie, Quanti milioni di Euro costa ogni anno al Sistema Sanitario Nazionale questa pratica idiota? L’inconveniente può essere facilmente ovviato facendo fare anche in Italia quello che si fa in tutti i paesi civili: il medico scrive sulla sua ricetta, oltre alla posologia, anche la quantità di farmaco che il paziente deve assumere; il farmacista apre una confezione ospedaliera (di per sè meno costosa), preleva il numero di compresse o di fiale indicato nella ricetta, le mette in una scatolina con su scritto il nome del malato, il nome del medico che ha fatta la prescrizione e la posologia e consegna il tutto al paziente.
In Italia si buttano milioni di euro dalla finestra ogni giorno per studiare pazienti, anche per cose di routine, a causa di continue ed inutili ripetizioni. Qui, un paziente va dal suo medico di famiglia che gli fa fare una serie di esami di laboratorio e radiologici. Poi, eventualmente, gli dice che ha bisogno di essere visto da uno specialista. Il paziente va dallo specialista che, naturalmente, gli fa fare ancora una batteria di indagini diagnostiche, fra le quali, il più delle volte, anche quelle che il paziente ha già appena fatto su richiesta del medico di base pochi giorni prima. Poi, se il paziente viene ricoverato in ospedale, il tutto si ripete, inutilmente, per la terza volta. Moltiplichiamo questo processo per l’intero numero nazionale di pazienti ortopedici che ogni anno ricorrono al medico e arriveremo a cifre da capogiro!
Che succede nei Paesi civili? Anzitutto, se un paziente va direttamente da uno specialista, questi non si sogna neppure di riceverlo e gli fa dire dalla segretaria di andare prima dal medico di base. Il medico di base, se lo ritiene utile o necessario, invia il paziente allo specialista, sempre e obbliga-toriamente accompagnato da una dettagliata lettera in cui scrive le sue osservazioni, i risultati degli esami da lui già fatti eseguire ed il suo quesito diagnostico, per cui lo specialista non ripete le indagini che sono già state fatte, a meno che non ci sia, come, raramente, può succedere, un’indicazione speciale. Lo specialista risponde con una lettera altrettanto dettagliata al medico di base del paziente, lettera che copia all’ospedale, se il paziente ha bisogno di ricovero e neppure l’ospedale si sogna di ripetere gli esami già fatti, a meno che non ci sia una precisa, eccezionale necessità. All’atto della dimissione, l’ospedale manda obbligatoriamente un dettagliato rapporto scritto a chi ha inviato il paziente, sempre e comunque con copia al medico di base del paziente stesso. E se qualcuno si dimentica di scrivere queste lettere o le scrive con dati imprecisi, può passare seri guai con l’Ordine dei Medici!
Questo sistema di mettere tutto per iscritto, ha anche un enorme beneficio collaterale, impedendo la faciloneria ed il pressappochismo di alcuni medici, poichè chiunque, in futuro, potrà accorgersi se sono state fatte o scritte scemenze o cose non lege artis! Per esempio, avrebbe evitati i costi che il Sistema Sanitario Nazionale ha dovuto sostenere per un paziente da me visto poco tempo fa, con una rottura sottocutanea del tendine di Achille ed un gesso da ben 6 mesi! Questa particolare lesione si diagnostica ponendo il piede in dorsiflessione e palpando con un dito il tendine: quando si trova un infossamento, si capisce che il tendine è rotto. Il paziente da me visto aveva con sè ben tre risonanze magnetiche e due ecografie, esami assolutamente inutili nella fattispecie attuale, ma indubbiamente costosi. Dissi al paziente che andava operato e fui sorpreso nel sentirmi rispondere testualmente: “Ma il professore mi ha detto che devo portare il gesso ancora per molti mesi”. Per carità di patria non tradussi al paziente il vero significato di quell’affermazione, che deve essere stato il seguente: “Io non so fare questa operazione perchè ogni volta che l’ho fatta in passato, ho avuto sempre risultati disastrosi, però non voglio perdere nè la faccia nè i guadagni che ho continuando a visitare più volte questo paziente e facendogli un gesso dopo l’altro e allora, gli dico che questa lesione si cura solo col gesso”. Quali sono stati i costi finanziari e sociali provocati da questa incompetente “terapia”? Se quel “professore” avesse lavorato in un ambiente in cui si deve mettere tutto per iscritto, come si fa nei paesi civili, avrebbe avuto il coraggio di scrivere al medico di base di quel Paziente affermando che le rotture del tendine d’Achille si curano solo con mesi e mesi di gesso?
Se andate negli equivalenti tedeschi o svizzeri delle nostre ASL, trovate una stanzetta di pochi metri quadrati con degli archivi ed uno o due tavoli a cui siedono, al massimo, uno o due impiegati, che provvedono ad istruire le pratiche per i pagamenti dei medici che hanno prestato i loro servizi ai cittadini malati.
Però, esiste un controllo spietato sulla qualità delle prestazioni sanitarie erogate, come ebbi modo di apprendere negli anni in cui ho lavorato come Stationsarzt (caporeparto) alla Clinica Chirurgica dell’Università di Tübingen (Tubinga), dove, se un paziente non veniva dimesso, dopo una laparotomia, in ottava giornata, arrivava puntualmente il medico controllore della Krankenkasse (l’organizzazione mutualistica) a vedere perchè. Mi informai ed appresi così dell’esistenza di un sistema per cui, se, per esempio, in un ospedale c’era una frequenza inaccettabile di ritardi nella dimissione dovuti a suppurazioni della ferita chirurgica, partiva immediatamente una lettera diretta ai medici di base della zona che invitava a non inviare più i loro pazienti in un posto dove c’erano troppe complicanze settiche!
Questa riduzione di invii, avrebbe causato una riduzione dell’occupazione dei letti e questo è uno dei parametri, insieme con altri, per la non conferma del primario o direttore, ad ogni eventuale giudizio di competenza. Questo giudizio si fonda sul comportamento statistico dei seguenti parametri: tasso di occupazione dei letti, tasso di complicazioni, tasso di mortalità corretta (corretta, perchè è chiaro che la mortalità di un reparto di neurochirurgia specializzato in tumori del cervello sarà più alta di quella di un reparto specializzato in chirurgia cosmetica) e tasso di concomitanza fra diagnosi cliniche e diagnosi anatomo-patologiche. Questo sistema ha anche altre utilissime ricadute. Per esempio, siccome per l’ottenimento della specializza-zione in chirurgia serve in quei paesi un numero minimo di interventi chirurgici eseguiti personalmente e con successo, anche se sotto supervisione, è logico che giovani specializzandi preferiscono di non andare a lavorare in un posto dove il capo non fa operare i giovani e, quindi, il numero dei pazienti curati entro l’anno diminuisce per mancanza di personale, esponendo così il primario o il cattedratico alla possibilità di non essere riconfermato alla prossima revisione; però, siccome anche un tasso di complicazioni e di mortalità anormalmente elevato fa perdere il posto al caposervizio, questi si sente obbligato a fare in modo che i suoi assistenti ed allievi siano addestrati e guidati perché operino con tecniche sempre corrette, col che si crea un ciclo virtuoso utile a tutti: servizio, pazienti, direttori, primari e assistenti!
Tornato a Roma, ho trovato tutti scandalizzati da quello che succede nei posti di pronto soccorso degli ospedali, sempre invasi da turbe di pazienti che aspettano ore prima di essere visti. Confesso che la cosa mi ha stupito non poco, perchè non l’ho mai vista succedere in nessun posto e mi ricordo che, quando da giovane assistente, mi toccava il turno di guardia al Pronto Soccorso del Policlinico Umberto I di Roma, un grande ospedale universitario su cui gravava allora il peso dell’intera Italia centro-meridionale, questa bailamme descritta oggi non c’era e vedevo con ritardi di solo qualche minuto, un numero limitato e perfettamente gestibile di genuine e vere emergenze da pronto soccorso. Così, fortemente incuriosito, mi sono andato a informare ed ho immediatamente capito che cosa provoca il sovraffollamento ingestibile che si osserva oggi al pronto soccorso di tutti gli ospedali, un fenomeno che poteva essere facilmente evitato se a pianificare la nostra organizzazione sanitaria fosse stata gente competente e non dei meri demagoghi.
Quand’ero ragazzino e avevo mal di pancia o la febbre, mia madre telefonava al nostro medico di famiglia che, dopo poco, che fosse notte o giorno, arrivava e faceva il necessario. Era, infatti, suo interesse, per continuare ad essere chiamato dai pazienti, visitare questi senza ritardi, era suo interesse studiare continuamente per fare diagnosi giuste e dare terapie adeguate, perchè altrimenti i suoi pazienti, se scontenti di lui, potevano rivolgersi ad un altro medico e questo avrebbe ridotto i suoi guadagni.
Oggi, i medici di base, non sono retribuiti in funzione delle prestazioni effettivamente fatte, ma forfettariamente, in funzione del numero di pazienti che li hanno scelti. Essere capaci, rapidi, precisi, alzarsi di notte per rispondere tempestivamente ad un’urgenza, vera o presunta, non ha più alcuna importanza, per cui alla madre che telefona loro, come faceva la mia, per dire che il figlio ha mal di pancia o ha la febbre, fanno rispondere dalla loro segretaria-infermiera di portare il bambino subito al pronto soccorso.
Volete svuotare per incanto la ressa che c’è nei posti di pronto soccorso ed assicurarvi che a questi ricorrano solo genuine e vere emergenze, in modo da poterle far trattare senza ritardi? Pagate i medici di base in funzione delle prestazioni effettivamente effettuate in modo da creare di nuovo in loro l’interesse a visitare e trattare personalmente e tempestivamente il più alto numero di pazienti possibile, anzichè inviare ogni seccatura al pronto soccorso!
Anni fa, ho fatto fare in Kenya da un mio studente una tesi di dottorato un po’ particolare. Gli ho fatto prendere 100 strisci dall’asfalto delle strade di Nairobi per farne esami culturali con antibiogramma. Questi esami non hanno mai mostrato alcunchè di sostanzialmente pericoloso! Poi gli ho fatto prendere strisci cutanei lungo le più comuni vie d’accesso chirurgico alle ossa a 100 malati, cominciando all’atto del ricovero e ripetendoli ogni ora, per 12 ore consecutive. I risultati furono sorprendenti, anche se me li aspettavo perchè già previsti in Svizzera da Willenegger, uno degli iniziatori delle moderne tecniche di osteosintesi e, finchè non è passato a miglior vita, mio caro e ammirato amico e mentore, perchè, all’atto del ricovero, si coltivavano pochi e innocenti saprofiti, mentre 8 ore dopo la permanenza in corsia, si coltivavano, in ciascun paziente, tutti i germi più pericolosi, dallo stafilococco aureo all’escherichia coli ed alla klebsiella, tutti spietatamente antibiotico-resistenti! Col che si fondava scientificamente il principio che la routine ospedaliera più giusta è la seguente: un malato pianificato, va studiato ambulatoriamente e ricoverato mezz’ora prima dell’intervento chirurgico, per farlo arrivare direttamente in sala operatoria senza farlo passare prima per la corsia. Nel caso del traumatizzato acuto, questi deve passare dal pronto soccorso direttamente nella sala operatoria per le emergenze, dove un chirurgo vestito per operare, lo esamina, ottiene le radiografie indicate ed attua immediatamente le cure necessarie. Se il pronto soccorso riceve una frattura esposta, l’arto va immediatamente avvolto in un telino sterile, possibilmente imbevuto di Betadina acquosa e il paziente va portato, subito, evitando ogni contatto con la corsia, direttamente in sala operatoria, dove viene trattato come sopra.
Tante volte, in casi di politraumatizzati, ho eseguito gli interventi urgenti di chirurgia viscerale necessari a salvare la vita e poi, ho lasciato il paziente sul tavolo alle cure dell’anestesista che, una volta rimesso il paziente in sesto, mi chiamava, anche dopo diverse ore, per farmi continuare la terapia con la fase delle osteosintesi necessarie per le concomitanti fratture! Questo tipo di routine non solo è la migliore profilassi delle infezioni post-operatorie, facendo risparmiare gli enormi costi finanziari e sociali delle complicazioni settiche, ma consente risultati funzionali finali eccezionalmente buoni, evitando i costi sociali di lunghe invalidità temporanee e riducendo drasticamente sia le invalidità post-traumatiche permanenti, sia le complicanze post-operatorie.
E così continuo a chiedermi: perchè questo mi era possibile in Africa e non si può fare a Roma?
Possibile che qui non si possa fare nulla per portare la medicina del nostro Paese almeno al livello di quella kenyana?
Basta aprire un giornale italiano di qualsiasi giorno per essere sicuri di trovarci qualcosa riguardante gli immigrati, categoria di persone di cui si parla come se fossero una razza a parte del regno animale, anzichè individui come noi e, talvolta (come succede con la maggioranza degli africani), assai migliori di noi.
Nei 42 anni che ho passati all’estero, venivo spesso in vacanza a visitare i miei e, fino a pochi anni fa, quello che più mi colpiva era il provincialismo degli italiani un provincialismo che, invece, da qualche hanno, non si osserva più, certamente per via dell’influenza educativa degli immigrati!
Questi sono, per lo più, gente che fugge da situazioni di grave disagio, legate o alla povertà o alla mancanza delle più elementari libertà individuali fatta loro subire da regimi dittatoriali, sempre grati a chi permetterà loro migliori potenzialità e sempre pronti a tirarsi su le maniche e lavorare sodo.
Indubbiamente questi flussi immigratorii non sono privi di problemi, specialmente nel caso degli immigrati provenienti da Paesi islamici ed è di questi problemi che si dovrebbe parlare a lungo, se non altro per chiarirci le idee, perchè gli immigrati musulmani finiscono sempre col portare con sè una filosofia di vita ed un modo di concepire lo stato che raramente collimano con le nostre vedute al punto che, recentemente, a Londra hanno fatto un’enorme pubblica manifestazione in cui dileggiavano le leggi dello stato britannico che li ospitava e proteggeva e inneggiavano alla sharia, augurandosi che questa sostituisse le leggi vigenti.
È evidente che questi comportamenti non possono essere tollerati a casa mia, dove gli ospiti sono sempre i benvenuti, ma se vogliono orinare debbono seguire le regole della mia casa e usare il bagno, non un angolo del mio salotto!
Non credo che sia difficile evitarci questi problemi, se adottiamo un minimo di prevenzione e di logica, facendo al mussulmano che chiede il nostro visto di soggiorno il seguente discorsetto: “Benvenuto fra noi, a patto che accetti, come condizione pregiudiziale, di giurare solennemente sul Corano che non cercherai mai di stravolgere il nostro modo di vivere e che, ogni qualvolta troverai che le nostre leggi non sono d’accordo con quelle tradizionali della sharia, le rispetterai, comunque, scrupolosamente e ignorerai quello che prescrive la sharia”. Solo chi accetta questa condizione potrà avere il suo visto di residente stabile o, addirittura, la nostra cittadinanza, altrimenti, ognuno se ne rimanga a casa sua e… amici come prima!
La sharia condiziona il modo di pensare di molti – troppi! – mussulmani che l’accettano in modo acritico, senza neppure provare a capirla. Molti di loro danno alla sharia addirittura un valore teologico paragonabile a quello che danno al Corano, senza accorgersi dei danni che una tale erronea mentalità rende possibili. La sharia, per esempio, dice che una donna malata non può essere trattata da un medico di sesso maschile ed esistono degli imbecilli nel mondo islamico che vorrebbero una tal regola applicata anche oggi, senza rendersi conto che questa regola nacque per la necessità di proteggere le donne in un’epoca in cui esistevano, vicino ad onesti e genuini cultori della medicina, anche imbroglioni improvvisatisi come guaritori e che, tra questi ultimi, ce n’erano diversi che approfittavano della loro posizione per permettersi indebite intimità con indifese e ingenue pazienti. Oggi, questa situazione non esiste più e i medici, uomini o donne che siano, vengono addestrati in scuole universitarie per cui, ai nostri tempi, la scelta del medico a cui affidarsi non può essere condizionata dal sesso del curante, ma dalla sua formazione scientifica! Quindi i mussulmani debbono imparare il concetto filosofico generale che tutte le leggi – e, quindi, anche quelle della sharia – vanno interpretate e valutate in funzione del momento storico attuale, in modo da evitare lo stesso tipo di errori che i cristiani fanno in altri campi, quando si ostinano a dare a certe leggi un valore assoluto, invece che metterle in relazione al momento storico, come avviene, per esempio, con le assurde leggi sul matrimonio e sulla famiglia con cui gli Stati a maggioranza cristiana, condizionati dalla religione, infelicitano i loro cittadini, senza che nessun pensatore politico moderno sembra provare a fare l’osservazione che lo Stato ha bisogno di sapere quanti nuclei di convivenza esistano nel Paese per i suoi scopi fiscali, di pianificazione sociale e di organizzazione dei servizi pubblici e che, quindi, ciò che gli occorre è una legislazione che obblighi i cittadini ad informare il loro municipio di residenza per lettera raccomandata quando si viene a costituire un nucleo di convivenza (come è meglio chiamare ciò che, tradizionalmente, abbiamo sempre chiamato ‘famiglia’), cioè un nucleo di persone che convivono mettendo in comune le loro risorse e le loro spese. Se alcuni di questi nuclei sono formati da un uomo ed una donna che decidono di solennizzare l’inizio della loro convivenza con una cerimonia religiosa in sinagoga, in chiesa, in moschea, in un tempio qualsiasi o di fronte ad uno stregone maasai, questi sono fatti privati che allo Stato non debbono interessare minimamente. Nè allo Stato deve interessare il sesso dei singoli membri di questi nuclei.
In questo modo nessuno, per quanto bigotto possa essere, riuscirebbe a far diventare un problema una convivenza omosessuale, nè il matrimonio poligamico di immigrati musulmani!
E, per quanto riguarda le richieste di adozione di minori, una