I “santi” ispiratori di Matteo Renzi
Fausto Tortora
Roma
Sembra assolutamente incontrovertibile che al successo mediatico del nuovo premier italiano (in patria e all’estero) fra la gente comune faccia continuo riscontro una critica sistematica da parte di chi è iscritto d’ufficio all’“intellighenzia” di sinistra, dagli intellettuali incalliti ospiti di Fazio e della Gruber ai comici sulla cresta dell’onda come Crozza.
Pochi cercano di capire l’humus del nuovismo di Renzi, dove affonda le sue (se le ha) radici e in che cosa la rottura coi modelli e le aspettative della sinistra vecchia e nuova si è consumata, forse definitivamente.
Anche il “Corriere della sera”, attraverso il suo opinionista Galli Della Loggia, sembra notare (vedi il giornale del 21 marzo) che le opinioni sul premier non fanno più riferimento alla dialettica consolidata destra/sinistra ma si determinano in base ad un’ondata trasversale antiestablishment che raggruppa posizioni di potere consolidate, a prescindere dalla loro collocazione, sullo scacchiere politico.
E questa è una novità assoluta che tende a rimettere in moto un sistema politico ossi- ficato in cui la dimensione conservatrice, come ha dimostrato in un recente pamphlet (“Sulle orme del gambero”) anche Walter Tocci, senatore civatiano del PD, è stata assolutamente prevalente a prescindere dalle formule di governo espresse nella cosiddetta seconda repubblica.
In tempi in cui si celebra Berlinguer nel trentennale della morte, e lo si celebra anche con un film ad opera di un regista “politico” che ha sognato di essere fra i suoi eredi, a me sembra che per parlare della cultura politica di Renzi occorra partire dalla dimostrata non fecondità della cultura politica espressa dalla “sinistra politica” per anni incarnata dalle varie anime della FGCI postberlingueriana.
Da Occhetto a D’Alema, allo stesso Veltroni. Né su questo vecchio tronco della tradizione comunista riformista si sono saputi innestare polloni in grado di rinvigorirla con la “Margherita” di Rutelli o della Bindi o con le idee “portanti” del nostalgico Fioroni così contiguo all’indimenticata Binetti.
Per quel che è dato capire, Renzi riconosce invece, fra i suoi ispiratori, i migliori interpreti del cattolicesimo sociale degli anni cinquanta e sessanta: il sindaco La Pira, don Lorenzo Milani: fra i pochi del loro tempo a non far mancare alle parole il seguito di fatti e azioni concrete.
Gli echi dei loro messaggi si intravedono nei provvedimenti (finora solo) annunciati, ad esempio negli sgravi fiscali destinati esclusivamente ai lavoratori dipendenti dai redditi più bassi o, dall’altrettanto annunciata rinuncia, almeno parziale, all’ammodernamento degli aerei da combattimento F35.
Ci piacerebbe, in questo clima, che la spending review toccasse anche il tema dei privilegi della chiesa cattolica italiana: certo Giorgio La Pira e Lorenzo Milani ne sarebbero evangelicamente compiaciuti.
Non ritengo di far parte di nessuna intellighenzia ma non mi sembra che si possa paragonare neanche lontanamente Renzi a La Pira e/o a Don Milani. Il “fare” senza dialogo non è sinonimo di ben fare né di ben-essere. O fate come dico io o me ne vado è il suo più recente ritornello. Che la politica italiana recente e del passato prossimo non abbia espresso grandi politici (i grandi leader non mi interessano) è purtroppo verissimo, che Renzi sia il nuovo messia avversato dalla “politica ossificata” credo proprio che sia una pia illusione. Legge elettorale che produrrà solo nominati e che non restituisce la libertà di scelta all’elettore, il famoso jobs act che promette nuova precarietà ai giovani, meno tasse (a pochi) e conseguenti meno servizi (Meno spesa statale) giova solo a chi non ha bisogno dei servizi pubblici. La disoccupazione in costante aumento (dati diffusi oggi)… Eliminazione delle Province e susseguente allargamento dei consiglieri comunali, risparmio irrisorio e accentramento strutturale…la regione è più lontana dal territorio. Queste mi sembrano critiche su fatti e non opinioni preconcette e conservative!