Ora di religione, facoltativa obbligatoria
Antonia Sani*
Adista n. 4 del 01/02/2014
Se confrontiamo l’art. 36 del Concordato del ‘29 con l’art. 9 del Nuovo Concordato dell’84 è facile notare come qualche piccolo spiraglio aperto dalla nuova normativa sull’Insegnamento della religione cattolica (Irc) sia stato solertemente e solennemente oscurato dall’Intesa applicativa.
Il nostro percorso attraverso i 30 anni che ci separano da quel 1984 non può che avere come fulcro quel Dpr 751/1985, divenuto popolare col nome di Intesa Falcucci-Poletti dai nominativi della ministra alla Pubblica Istruzione e del presidente della Cei che ne portano la responsabilità. Circolava allora il detto che ci eravamo trovati in presenza di due ministri, entrambi dello Stato vaticano, uniti dall’unica preoccupazione di neutralizzare la facoltatività della scelta dell’Irc, introdotta nel Nuovo Concordato dopo anni di trattative, per l’evidente necessità di tener conto dei principi costituzionali.
Particolarmente grave per le immediate conseguenze fu l’interpretazione di due espressioni contenute l’una nell’art. 9.2 del Concordato, l’altra nel Protocollo addizionale. L’espressione la Repubblica «continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche di ogni ordine e grado» fu usata, anziché per declinare il nuovo concetto di “facoltatività” con le “finalità della scuola” (che in conformità del principio di laicità non possono prevedere la presenza di un insegnamento religioso nel quadro orario delle lezioni obbligatorie), per ribadire gattopardescamente che “tutto rimaneva come prima”. Il Protocollo addizionale dava mandato al governo italiano e alla Cei di determinare le modalità organizzative dell’Irc “anche in relazione alla collocazione nel quadro orario delle lezioni”, mentre la facoltatività dell’irc doveva invece spingere a una collocazione di questo insegnamento fuori dell’orario obbligatorio. Era un altro possibile varco per far valere da parte della ministra la nuova collocazione oraria di un Irc divenuto facoltativo. Non deve essere dunque motivo di scandalo né di meraviglia se a tutt’oggi non mancano genitori, docenti, studenti che parlano ancora di “esonero”, come se l’Irc fosse rimasto obbligatorio, come nel Concordato fascista.
I laici, i non credenti, i diversamente credenti avvertirono subito la discriminazione insita nelle modalità organizzative, tanto che nel maggio 1986 arrivarono una serie di nuove circolari in cui si prevedeva che entro il primo mese dall’inizio delle lezioni i collegi dei docenti stabilissero attività educative, formative, culturali e di studio per i non avvalentisi, a seconda del grado di scuola.
A questo punto inizia l’era dei ricorsi. Una mobilitazione spontanea sorgeva nelle scuole, non solo contro le evidenti discriminazioni che venivano continuamente denunciate, ma anche nel merito delle posizioni espresse nei documenti ufficiali, producendo un articolato dibattito culturale e politico. Nasceva nel 1986 a Roma il Comitato nazionale Scuola e Costituzione che ebbe sedi e comitati locali in numerose città. Un primo risultato per l’affermazione della libertà di coscienza fu l’approvazione della legge 281/1986 che stabilisce che nelle scuole superiori la scelta di avvalersi o meno dell’Irc spetta agli studenti, anche se minorenni. Un’altra battaglia allora intrapresa fu quella di non siglare col “no” la casella per non avvalersi dell’Irc: “sì” lo dovevano scrivere coloro che si avvalevano, ma non si doveva contrassegnare col “no” una scelta che rappresentava la normalità di una scuola laica (la battaglia fu sospesa perché i capi d’Istituto, quando non vedevano il “no” contrassegnato, ritenevano valido il “sì”).
Di ricorso in ricorso si giunse alla celebre sentenza della Corte costituzionale n. 203/1989 sullo «stato di non obbligo» di chi non si avvale; e alla n. 13/1991 sulla possibilità dei non avvalentisi di uscire dall’edificio scolastico durante l’ora di religione. Sentenze importantissime, frutto di mobilitazioni incessanti, che mutarono la modulistica nelle scuole ed ebbero l’effetto di riportare in primo piano il valore della libertà di coscienza. A chiudere la stagione degli anni ‘85-‘95 fu la revisione dell’Intesa su due punti specifici: il voto non computabile del docente di Irc allo scrutinio finale se determinante e il raggruppamento delle ore di Irc nella scuola dell’infanzia.
Come definire l’oggi, se non uno sprofondamento nella normalizzazione? Dal ruolo ai docenti di religione approvato dal Parlamento, alle pratiche religiose nelle scuole non previste dal Concordato, sanzionate dalla sentenza del Tar dell’Emilia Romagna del 1992, ma accreditate come evento cultural-spettacolare, fino al tentativo strisciante di inserire la valutazione dell’Irc nelle pagelle per renderlo sempre più “una materia come le altre”. Quali prospettive per la laicità della scuola e per una non indifferente accettazione del privilegio concordatario?
* Coordinatrice associazione nazionale “Per la scuola della Repubblica”