Migrantes (Cei): «Via la Bossi-Fini». E anche l’Europa riveda le sue leggi
Luca Kocci
il manifesto,
«Occorre cambiare subito la Bossi-Fini: non si può andare avanti così». Monsignor Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente della fondazione Migrantes – organismo della Conferenza episcopale italiana che si occupa di immigrazione –, è perentorio: la legge non funziona, va modificata. E non solo la Bossi-Fini, ma secondo il vescovo è l’intera normativa europea in tema di immigrazione ad essere inadeguata: «Lampedusa – isola che fa parte della “sua” diocesi – è il confine dell’Europa, oltre che dell’Italia, e a Lampedusa si vive la contraddizione di persone e famiglie aperte alla solidarietà e all’accoglienza in uno Stato e in un’Europa che invece chiudono le porte».
Ieri, in occasione della conferenza stampa di presentazione della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato che si celebrerà domenica prossima in tutte le parrocchie e in piazza San Pietro con il messaggio di papa Francesco («Migranti e rifugiati: verso un mondo migliore»), i responsabili del settore immigrazione della Cei hanno rivolto un severo monito alla politica, sia italiana che europea, incapace di affrontare la questione se non in termini di sicurezza e di difesa dei “sacri confini”.
«Non si può affermare che l’immigrazione è una priorità e poi negarlo nei fatti, nei procedimenti e nei processi politici, per questioni di interessi o per una mediazione che si raggiunge mai», ha detto monsignor Giancarlo Perego, direttore della Migrantes. «Bisogna cambiare subito la legislazione europea e italiana e decidere di investire più in integrazione che in sicurezza». Oggi invece si spende la maggior parte delle risorse per i Cie e i respingimenti e per «l’integrazione — continua — restano le briciole». Per Perego, favorire l’integrazione significa investire in «servizi sanitari» e «scuola», ovvero «i luoghi nei quali si costruisce sicurezza sociale».
La causa? Anche la crisi. Ma è un alibi, anzi una scusa, aggiunge il direttore della Migrantes: «Ci si nasconde dietro alla crisi per diminuire la qualità della nostra democrazia. Basti pensare semplicemente a come ci sia stata una caduta della tutela dei diritti dei lavoratori. I sette operai cinesi arsi vivi nell’azienda tessile di Prato ne sono una testimonianza, gli sfruttati delle campagne dal nord al sud Italia o nella cantieristica ne sono un segno. La crisi sia letta anche guardando all’immigrazione, solo così se ne può uscire».
I numeri ricordati dalla Fondazione Migrantes sono eloquenti: in Italia 1 lavoratore su 10 è un immigrato; i lavoratori immigrati «sotto-inquadrati» sono il 61% contro il 17% dell’Europa, ovviamente senza tener conto di quelli in nero; le retribuzioni degli immigrati sono inferiori a quella degli italiani del 24,2%; 100mila infortuni sul lavoro denunciati riguardano lavoratori immigrati, con una percentuale doppia e talora tripla rispetto a quella degli italiani, senza contare i cosiddetti «infortuni invisibili»; nelle scuole italiane ci sono 800 mila studenti stranieri, il 47% dei quali di seconda generazione; i matrimoni misti hanno raggiunto quota 400mila, con un incremento di 24mila ogni anno.
«La politica deve avere coraggio», aggiunge monsignor Montenegro. «Nessuno può fermare il vento e la storia. Non si può pensare improvvisamente di chiudere le porte. Perché la storia e la geografia ci dicono che quelle persone hanno bisogno di vivere e di sopravvivere. La politica deve prenderne atto e smettere di affrontare questo fatto semplicemente come una emergenza».
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Abolizione reato clandestinità: il primo passo è fatto
Stefano Pasta
www.famigliacristiana.it
La strada per l’abolizione del reato di clandestinità è ancora lunga, ma c’è stato un primo passo importante oggi pomeriggio in Senato. Su proposta del Governo, con 182 voti a favore, 16 contrari e 7 astenuti, l’assemblea di Palazzo Madama ha approvato la parziale cancellazione del reato di clandestinità e la sua trasformazione in reato amministrativo.
L’emendamento è stato inserito nel disegno di legge sulle pene alternative al carcere, che già la scorsa settimana aveva provocato l’ostruzionismo della Lega. Cosa succede dunque? Secondo il provvedimento, l’ingresso illegale in Italia non sarà più un reato e tornerà un illecito amministrativo, mentre manterrebbe valenza penale ogni violazione di provvedimenti amministrativi emessi in materia di immigrazione.
Per esempio, scatta il reato se si rientra in Italia una volta espulsi, oppure se non si rispetta l’obbligo di presentarsi in Questura dopo un fermo per mancanza di documenti. In pratica, come ha spiegato il sottosegretario alla Giustizia Ferri, «chi per la prima volta» entra irregolarmente in Italia «non verrà sottoposto a procedimento penale, ma verrà espulso». Se poi tentasse di rientrare, a quel punto «commetterebbe reato». «Nessun passo indietro», ha risposto Ferri alle critiche della Lega e di Forza Italia, il Governo ha semplicemente «voluto specificare espressamente quanto già contenuto nella norma».
La decisione del Governo è un evidente compromesso tra le forze che sostengono la maggioranza, che fino a ieri sera non avevano trovato un’intesa. Da una parte, il Pd insisteva sulla depenalizzazione del reato, mentre il Nuovo Centrodestra di Alfano ha insistito e ottenuto di mantenere il rilievo penale sia per l’ingresso irregolare ripetuto, sia per la violazione dei provvedimenti amministrativi.
Tuttavia, il cammino verso l’abolizione (seppure parziale, quindi) è ancora lungo. Il Ddl sulle alternative al carcere, dato che è stato modificato al Senato, deve tornare alla Camera. Inoltre, se in questo passaggio fosse definitivamente approvato, sarà comunque una legge delega e toccherà al Governo scrivere i decreti legislativi per darle completa attuazione (fino a 18 mesi di tempo).
Introdotto nel 2009 dal “Pacchetto Sicurezza”, il reato di clandestinità divenne una “legge manifesto” dell’allora premier Berlusconi e del ministro Maroni, all’interno di un clima culturale in cui si era cercato di introdurre addirittura l’obbligo di segnalazione degli irregolari che arrivavano in pronto soccorso, proposta poi abbandonata anche a seguito della forte opposizione degli ordini dei medici.
Gli effetti che ha prodotto? Spese aggiuntive a carico della macchina giudiziaria, che non producono nulla di concreto e finiscono con un’espulsione già prevista dalla via amministrativa e una multa che di fatto non viene mai riscossa.
Spiega Rodolfo Sabelli, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati: «Reato inutile e dannoso: inutile perché una sanzione pecuniaria non è in grado di esercitare alcun effetto dissuasivo; dannoso perché intralcia le indagini contro gli scafisti e gli altri responsabili del traffico di clandestini, trasformando questi ultimi da testimoni in coimputati, e perché ingolfa gli uffici giudiziari». Nella sola Procura di Agrigento, nel 2013, gli iscritti al registro degli indagati sono stati 16.000, compresi i sopravvissuti alla tragedia di Lampedusa.
In compenso, il reato di clandestinità criminalizza “il nemico”, che magari ha il nome di Tony, kosovaro, 2 figli che vanno la scuola da sei anni, e ha perso il lavoro (e quindi il permesso di soggiorno) per la chiusura della fabbrica tessile in cui lavorava. Oppure di Olga, badante ucraina da 4 anni in Italia, che non è mai stata regolarizzata dall’anziano di cui si prendeva cura. Ha spiegato il senatore Pd Luigi Manconi, presidente della Commissione Diritti umani: «Si tratta di una fattispecie penale propria di una fase giuridica precedente all’affermazione dello stato di diritto, quella in cui si veniva puniti non per le azioni commesse ma per la propria condizione esistenziale, culturale o sociale».