I cattolici e l’unità (impossibile) da recuperare
Massimo Franco
Corriere della Sera, 23.08.2012
La rissa fra spezzoni del mondo cattolico non deve sorprendere. È il riflesso fedele di una crisi di
identità culturale, prima ancora che politica, non ancora superata dopo la fine della Guerra fredda e
della Dc, e dopo gli anni dell’alleanza ambigua col berlusconismo. Le parole aspre che si scambiano
Famiglia cristiana e Comunione e liberazione sono figlie di ruggini di un passato sempre più
corrosivo.
E confermano che il «nuovo protagonismo politico dei cattolici», espressione abusata, continua a
manifestarsi con contrasti, incomprensioni, idiosincrasie; quasi mai su parametri di unità.
Ma forse il problema è proprio questo. Continuare a immaginare un mondo unito o comunque
destinato a ricompattarsi costituisce un’illusione, anzi una sorta di involontario abbaglio storico. A
un mese e mezzo dal primo anniversario del convegno dei «Forum sociali cattolici» a Todi, dove si
tentò una riconciliazione interna in vista di un mitico rilancio, quanto accade sottolinea non le
dimensioni di un’occasione mancata, ma la vistosità di una missione impossibile. Non è soltanto
l’impossibilità di «rifare la Dc» o qualcosa di simile: a meno che non si immagini una «rifondazione
cattolica» minoritaria e con un marcato profilo clericale.
Lo stesso governo di Mario Monti, nel quale sono presenti in veste di ministri alcuni dei
protagonisti di Todi, non può essere letto come il ritorno sulla scena di quel mondo. Le dinamiche
che hanno plasmato la coalizione dei tecnici sono totalmente staccate da logiche di appartenenza
religiosa. E lo stesso Monti è l’esempio lampante di un cattolico convinto ma «non militante», scelto
come premier per ragioni di competenza economica e di credibilità internazionale: un «cattolico per
caso», si potrebbe azzardare, fuori dalle appartenenze miniaturizzate e incattivite che di tanto in
tanto riemergono sotto il segno di polemiche datate.
Sono prolungamenti di conflitti del passato, e indizi di una frattura nel modo di intendere il rapporto
con il potere. Ogni isolotto dell’arcipelago cattolico lo vive a proprio modo, imputando al vicino la
colpa di un approccio diverso. Scorie di quello che una volta era il «supermarket democristiano»:
tutto o quasi, e il contrario di tutto, tenuti insieme dalla finzione di un’unità politica necessaria
contro il comunismo. Ma da tempo non esiste più questa esigenza. E probabilmente andrebbe
archiviata anche la classificazione di «laici» e «cattolici», perché non si capisce come mai
l’opinione pubblica dovrebbe considerare distinte e perfino contrapposte queste due identità.
Rimane invece, e riaffiora, la tendenza a una rivalità che riecheggia quella fra subalternità
governativa e «grillismo» anche ecclesiastico nei confronti di Palazzo Chigi. Si tratta di un
fenomeno tipico di una fase se non di decadenza, di forte sbandamento, accentuata dalla crisi
economica e dalla difficoltà di rapportarsi col governo Monti. Le gerarchie religiose non possono
fare molto. Non sono in grado di rimettere insieme un esercito atomizzato in sottogruppi; e sono
percorse a loro volta da tensioni non troppo sotterranee. Insomma, l’unità è un fantasma per tutti.
Lo stesso richiamo ai «valori non negoziabili» finora si è rivelato insufficiente a unificare qualcosa
che ormai ha punti di riferimento divergenti. Tanto che è improbabile assistere a tregue o
riconciliazioni, per quanto invocate o pilotate dall’alto. L’impressione è che l’Italia intera, quella
delle associazioni, dei partiti, della protesta, faccia il proprio ingresso nella Terza Repubblica più
frantumata che mai; e assillata da un senso di vuoto e di tendenza a guardare indietro a caccia di
colpevoli, che i veleni fra cattolici semplicemente rispecchiano: energie sprecate duellando su
campi di battaglia artificiosi, mentre le linee di rottura sono altre.