Rio+20 – Un Summit fallimentare
Giuseppe De Marzo
il manifesto, 22 giugno 2012
Vago, senza ambizioni, impegni concreti e finanziamenti. Questo è il futuro che non vogliamo, ma che vorrebbero imporre. Rio meno 20, altro che Rio+20. La conferenza mondiale sulla Terra ha partorito un documento finale che fa contenti solo le grandi corporations responsabili della distruzione ambientale. Una vittoria per la governance liberista ed una sconfitta per tutta l’umanità.
La frustrazione di Ban Ki Moon ed i continui appelli caduti nel vuoto, certificano definitivamente la morte del multilateralismo sui temi fondamentali per tutti. E c’è già chi inizia a ritirare fuori le tesi negazioniste, affermando che i cambiamenti climatici sono un’invenzione e che la crisi economica mondiale è causata dai movimenti colpevoli di bloccare la libertà dei mercati.
Il clima della democrazia assomiglia sempre di più a quello del pianeta: pessimo. I limiti stanno saltando uno dopo l’altro. La terra non ce la fa più, come i suoi figli, impoveriti e precari. Il radicalismo antropocentrico del modello capitalista è arrivato al suo acme. Gli esiti del vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile ne sono la prova finale. I documenti ufficiali esprimono la vacuità ed il disinteresse con cui il liberismo affronta la sostenibilità sociale ed ambientale.
Guidare una transizione socio ecologica senza nessun impegno concreto equivale ad una presa in giro insopportabile, specie per le milioni di vittime colpite da questa ipocrisia. Promesse vane ripetute in venti anni di meeting ed incontri ufficiali puntualmente falliti, ma sempre molto partecipati dalla burocrazia internazionale. Così come falliscono le strategie di lobbying delle grandi ong che hanno preferito stare nelle conferenze ufficiali, ignorando i movimenti e le realtà sociali che in questi anni si sono coraggiosamente messe in marcia per costruire l’alternativa.
Fallisce anche il riformismo internazionale, dimostrando la sua completa sterilità di fronte alla crisi più grave che l’umanità abbia mai affrontato. Le forme classiche della politica sono insufficienti. In molti casi sono addirittura complici dei comitati di affari di banche e multinazionali. La sinistra, se si esclude quella latinoamericana, esce disintegrata da Rio, incapace di comprendere i mutamenti epocali in atto e colpevole di aver rinunciato alla sua missione emancipatrice.
La finanziarizzazione della natura è il grande business del domani. Il cavallo di troia si chiama “green economy”. L’ultimo terreno di cattura cognitiva è proprio questo, nel cui potere taumaturgico confidano acriticamente in tanti, incluso diverse realtà dell’ambientalismo, ormai subalterne alla logica per la quale non esistono alternative possibili al liberismo. Affidarsi alla mano invisibile del mercato per consentire il miracolo della perfetta allocazione delle risorse. Siamo alla preistoria del pensiero economico ed alla crisi più nera del pensiero politico.
Sono i movimenti per la giustizia ambientale e sociale, quelli riuniti nella cupola dei popoli, a costituire l’ultimo argine all’espansione della frontiera capitalista. Sono loro a resistere in tutti i territori del globo, a difendere i beni comuni, sostenere l’agroecologia, impedire le privatizzazioni, promuovere forme di democrazia partecipata e comunitaria, creare nuovi strumenti e indicatori ecologici, lottare per la difesa dei diritti dei lavoratori e per la riconversione industriale ed energetica. Sono i movimenti per la giustizia ambientale che indicano la necessità urgente di costruire non solo un altro modello economico bensì un nuovo paradigma di civilizzazione, una nuova etica.
Per avanzare, oltre che resistere, abbiamo bisogno di una relazione nuova tra giustizia e sostenibilità. Questo significa lavorare per raggiungere non solo la giustizia ambientale e sociale ma anche quella ecologica. Dobbiamo porci il problema di fare giustizia alla natura. Solo così rimuoveremmo le cause che generano le ingiustizia e che hanno istituzionalizzato nuove forme di razzismo sociale ed ambientale. Non aver riconosciuto la natura come soggetto di diritto, averla esclusa dalla teorie sulla giustizia, non aver compreso come l’integrità della natura non umana sia funzionale a quella umana, ha condotto la modernità ad una crisi legata alla sostenibilità. La giustizia ecologica ed il riconoscimento dei diritti della natura darebbero un colpo mortale all’impianto giuridico capitalista, fondato sul meccanicismo che considera la Terra e le sue entità inermi, quindi meri oggetti da mettere sul mercato.
Aver sostenuto come l’umano fosse l’unico essere razionale, ha costruito la legittimazione per dominare tutto ciò venisse considerato irrazionale, partendo proprio dalla natura. Vale la pena ricordare come noi umani siamo in realtà il frutto di circa 4 miliardi di anni di complessizzazione simbiotica. In natura la pratica distruttiva alla lunga fallisce. L’evoluzione si basa non su colui che compete ma che coopera. Dalla prima cellula l’evoluzione è proceduta attraverso accordi di cooperazione e di co-evoluzione sempre più complessi. La terra non solo si sostiene e si riproduce da sola ma si ridefinisce ed evolve continuamente. È quello che si chiama sistema autopoeitico. Noi non siamo ne ospiti ne esterni alla terra, ma siamo la Terra.
L’etica che ne possiamo ricavare si fonda dunque sul riconoscimento dei diritti all’esistenza ed allo sviluppo della vita di tutte le entità che condividono con noi umani la Terra. Questo garantisce il continum della vita e dei sistemi da cui dipendiamo. Una società fondata sui principi della giustizia ambientale ed ecologica, ricuce la ferita causata dalla separazione tra razionale ed irrazionale, tra soggetto ed oggetto. Antepone le ragioni dell’etica e della politica, utilizzando la tecnica e la scienza per raggiungere l’equilibrio tra giustizia e sostenibilità.
Il riconoscimento dei diritti della natura sarebbe garanzia di rispetto per i diritti umani e di democratizzazione dello sviluppo. Questa è ciò che definiamo “biocivilizzazione”. Per essere dunque giusta e sostenibile, la civilizzazione umana deve dismettere l’antropocentrismo come etica, religione, giurisprudenza e filosofia. La vita ha il diritto fondamentale di esistere, non solo perché necessaria a garantire la vita della natura umana. Questo è il messaggio che i popoli per la giustizia ambientale e sociale lanciano da Rio. Ci auguriamo che in Italia siano in tanti a raccoglierlo.
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La partita dei Soldi di Rio+20
Emanuele Bompan
www.megachipdue.info
La sottile partita dei finanziamenti si conclude in tarda serata sotto una piaggia sottile la prima tranche di dichiarazioni ufficiali dei capi di stato. Fa svuotare la sala il solito Ahmadinejad, con un discorso di teologia islamica, ambientalismo e anti-consumerismo (che si realizzerà quando scompariranno gli atei).
Ban-Ki moon cerca di mantenere il morale alto, tra proposte interessanti (Korea), illuminanti (Bhutan) o generiche. La Cina butta una serie di proposte economiche sul tavolo: un fondo da 6 milioni (!) per incentivare progetti green in paesi in via di sviluppo, inclusa una rete di monitoraggio e know how per la lotta alla deforestazione.
A stupire tutti invece è il neo-primo ministro François Hollande: «la Francia deve mostrare la direzione giusta». E giù ad attaccare il fatto che non è stata approvata una riforma diretta dell’UNEP come una Agenzia Onu Specializzata, dove molteplici task force avrebbero potuto lavorare insieme nello stesso luogo, per altro a Nairobi, dando un ruolo determinante all’Africa. E poi tocca il tasto più importante di tutti: l’implementazione delle proposte. «Nel documento si fa menzione a sistemi di finanziamento innovativi (per lo sviluppo sostenibile e la green economy, nda), ma questi non sono specificati».
E rilancia: «dovremmo approvare una tassa su tutte le transazioni finanziarie», nodo gordiano per lo sviluppo di una vera agenda della green economy. Sono passati i tempi in cui i paesi ricchi promettevano (senza mantenere) di donare lo 0,7% del PIL. In anni di crisi servono alternative efficaci. Secondo Sameer Dossani, policy advisor di actionAid «è fondamentale attingere a meccanismi di questo tipo per mettere in azione piani di sviluppo sostenibile, come l’ambizioso zero Hunger che Ban Ki-Moo presenterà oggi, ma noi abbiamo avuto in anteprima, sicuramente la proposta di Hollande di una tassa sulle transazioni finanziarie, simile concettualmente alla Tobin Tax, dovrà rimanere nel cassetto, vista anche la forte opposizione di USA e UK.
«La menzione nella dichiarazione finale di una tassa sulle transazioni finanziarie per finanziare gli interventi di sviluppo sostenibile, ed ovviamente per fermare la speculazione anche sulle materie prime ed il cibo, sarebbe stato un passo in avanti», spiega Antonio Tricarico, analista di Re:Common. «Oggi a Rio invece non si prende nessuna decisione su obiettivi e strumenti finanziari, sperando che i privati investano con un trasferimento volontario di tecnologie ai Pvs. Una presa in giro».
Secondo una serie di fonti ONU si dovrà discutere nelle prossime Assemblee Generali delle Nazioni Unite per vedere come movimentare le risorse necessarie, ma sicuramente si guarderà al pacchetto della Climate Finance, discusso negli ultimi summit sul cambiamento climatico (Cancunc, Durban) e ai meccanismi di carbon finance che la Banca Mondiale ha supportato negli ultimi 8 anni, come REDD+, Carbon Funds e ad un ruolo crescente delle Banche Intergovenamentali di Sviluppo (Banca Europea degli Investimenti, Asian Development Bank e World Bank).
Mercoledì per dimostrare la propria abilità a movimentare fondi, con un comunicato, le Banche di Sviluppo Internazionali hanno proposto la creazione di un fondo da 175 miliardi di dollari per investimenti in trasporti sostenibili. Anche il settore privato ha offerto una serie di committement per creare canali privilegiati per prestiti agevolati per progetti per combattere i cambiamenti climatici. Bank of America ad esempio ha impegnato 50 miliardi di US$ per un green lending program (prestiti per progetti verdi).
La partita non è ancora ovviamente chiusa, dato che mancano ancora 48 alla fine del negoziato. In un comunicato il governo brasiliano ha ribadito il concetto di fondo «chi chiede impegni concreti (EU, nda) deve essere pronto a mettere sul piatto finanziamenti adeguati, altrimenti come minimo si può definire incoerente». Per ora tutti fanno orecchie da mercante, con l’eccezione della mossa astuta della Cina (i 6 miliardi proposti di cui sopra) che pare dire: questa volta dettiamo noi le modalità.