La cultura della legalità
Paolo Bonetti
www.italiaalica.it | 25.05.2012
Ho un amico svedese, ottimo violinista, che, per amore del nostro paese, ha deciso, già da molti anni, di vivere in Italia, anche se da noi le occasioni per fare della buona musica sono assai minori che nei paesi nordici e in Germania. Egli ha dei comportamenti che suscitano facilmente la bonaria ironia dei suoi amici italiani: tanto per fare un esempio (ma non è l’unico), se guidando la macchina alle tre di notte in una strada completamente deserta incontra un semaforo rosso, disciplinatamente si ferma e attende che diventi verde. A noi tutto questo può sembrare eccessivo e perfino ridicolo, eppure è il segno di una disciplina civica, di un rispetto della legge che, se coltivati fin da ragazzi, abituano le persone ad essere responsabili anche in situazioni e faccende di ben maggiore importanza. In questi giorni in cui viene ricordata la strage di Capaci, nella quale, per opera della mafia, persero la vita Falcone e la moglie (anch’essa magistrato), si parla molto di cultura della legalità, talvolta anche con un po’ di retorica, come si è soliti fare in Italia, dove se mancano spesso i fatti, di parole c’è sempre grande abbondanza. I giovani che partecipano a certe cerimonie dovrebbero, invece, essere aiutati a capire che la cultura della legalità comincia dai piccoli comportamenti quotidiani e che è sinonimo di lealtà e rispetto dei diritti altrui sanciti dalle leggi.
Cultura della legalità, tanto per cominciare, è quella di chi non copia il compito del vicino di banco, di chi non fa il furbo cercando di ingannare l’insegnante, di chi non si fa raccomandare da qualche persona autorevole, di chi non si atteggia continuamente a vittima per cercare di giustificare il proprio scarso rendimento scolastico. Cultura della legalità è anche quella di chi, non solo non partecipa ad atti di bullismo, ma denuncia subito e apertamente quelli che li compiono. Sembrano cose di poco conto, ma rifiutare di essere solidali con i piccoli delinquenti delle aule scolastiche, ci educa a non esserlo più tardi con i grandi delinquenti delle mafie e delle camorre che infestano la società italiana. Cultura della legalità è imparare, fin da bambini, a non coprire le angherie dei prepotenti, a non diventare, per paura o convenienza, i loro leccapiedi, a non schierarsi automaticamente con chi detiene il potere magari violando la legge o semplicemente la buona educazione. La cultura della legalità non richiede fortunatamente, nella maggior parte dei casi, comportamenti quotidiani eroici, ma la formazione paziente di quello che si chiama senso civico e che consiste nel non pretendere mai quello che non ci spetta, ma anche nell’ esigere fermamente, senza troppi rispetti umani, quello che ci è dovuto. Circa un secolo fa, un noto giurista tedesco scrisse un saggio per dimostrare l’importanza che la difesa del diritto ha nella vita sociale: non bastano le buone leggi, occorre poi metterle in pratica, combatterne efficacemente le violazioni, farle diventare la sostanza delle nostre relazioni umane, pubbliche e private. Mi è capitato altre volte di scrivere che la laicità non riguarda soltanto il rapporto fra lo Stato e le confessioni religiose, in particolare quella cattolica, ma più in generale il rapporto fra lo Stato, con le sue leggi, e i cittadini, con l’insieme dei loro diritti che non possono essere fatti valere senza l’osservanza dei doveri.
Nell’orgia celebrativa con cui, l’anno passato, è stato celebrato il centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia, è stata tenuta abbastanza in ombra la figura di Giuseppe Mazzini che, pur sconfitto sul piano politico dalla monarchia sabauda, fu e resta un grande educatore della nuova Italia. Fra l’altro, quando mi sono recato a Genova, nel cimitero di Staglieno, per visitarne la tomba, ho scoperto che era molto mal tenuta, sporca e circondata da erbacce. Fra i grandi uomini del Risorgimento, Mazzini non è certamente il più simpatico e popolare, e Garibaldi incarna assai meglio di lui una certa mitologia popolare e meglio corrisponde, nelle virtù e nei difetti, al carattere di molti italiani. Ma l’etica repubblicana di Mazzini dovrebbe ancora oggi (anzi, oggi più che mai) ispirare i nostri concittadini e, in primo luogo, quelli che si dicono laici e non pensano che la morale consista nell’obbedienza a una qualche autorità esterna alla coscienza di ciascuno. Nell’etica laica mazziniana, i diritti si accompagnano sempre ai doveri, la libertà alla responsabilità, la rivendicazione del benessere individuale alla solidarietà verso coloro che, per i più diversi motivi, meno hanno ricevuto dalla vita e dalla sorte. Nelle aule dei nostri tribunali sta scritto che la legge è uguale per tutti, ma forse sarebbe il caso di collocare questa frase in ogni luogo pubblico, dalle scuole agli uffici, dagli ospedali alle aule dei consigli comunali e delle assemblee parlamentari. Ognuno di noi ha avuto modo, nell’ambito del suo lavoro e dei luoghi in cui si svolge, di conoscere tanti episodi di piccola camorra, di corruzione spicciola, di favoritismi indebiti, di violazione quotidiana e spensierata delle leggi. E magari, qualche volta, per viltà o indifferenza, ci siamo anche resi complici di questi comportamenti che infrangevano la legalità. Se è così (e spesso lo è), è del tutto inutile fare discorsi solenni sulla legalità : i ragazzi si accorgono ben presto dell’ipocrisia degli adulti e scelgono il cinismo.