Concilio dimenticato e crisi del lavoro: l’Esodo italiano

Roberto Fiorini *
Adista Segni nuovi n. 49/2011

Convegno Pretioperai 2011- Da alcuni anni, nell’ambito dell’incontro annuale dei Pretioperai italiani, dedichiamo una giornata intera all’approfondimento di temi che toccano la fede e il lavoro nell’attuale crisi, invitando tutti quelli che sono interessati alla nostra ricerca. Lo scorso 2 giugno eravamo in molti a Bergamo, ospiti della Comunità Missionaria del Paradiso.

“Pietra in cammino: Chiesa in viaggio col mondo” è stato il tema trattato nella mattinata, come ho introdotto in apertura dell’incontro, illustrando il senso del titolo. La Pietra che seguiva il popolo nel deserto per saziare la sua sete, secondo un’antica leggenda rabbinica, è stata utilizzata da Balducci per indicare la Chiesa del Concilio: «Che mancava prima del Concilio, alla nostra coscienza di cattolici? Mancava l’idea del viaggio, l’idea della Chiesa itinerante… Il Concilio ha rivelato, agli occhi dei nostri contemporanei che la Chiesa è in viaggio…».

Una Chiesa che si ferma e si allontana dal popolo non è in grado di raggiungerlo con la sua acqua. È necessaria, invocava Arrupe, «una Chiesa peregrinante, non la fortezza pietrificata di Dio, ma la tenda aperta tra gli uomini»

La relazione del prof. Giovanni Miccoli ha sottolineato la contrapposizione tra “Concilio e anticoncilio”. Due sono le condizioni in cui è immersa la Chiesa cattolica: vive nella storia e quindi le vicende della storia condizionano pienamente la Chiesa cattolica.

Miccoli ha poi ripreso alcune indicazioni di papa Giovanni XXIII, lasciate prima di morire: «Servire l’uomo in quanto tale, e non solo i cattolici»; e «non è il Vangelo che cambia, siamo noi che lo conosciamo meglio». Emerge così la faticosa consapevolezza: non vi è stata piena identità tra Chiesa e Vangelo. Pertanto, non tutto quello che avviene nella Chiesa può essere spacciato come Vangelo. E citando Perrin, Miccoli ha ribadito la necessità di ritrovare l’humain, come hanno fatto i pretioperai, partendo dal basso, dal contatto stretto con le realtà umane del nostro tempo.

Questa operazione esige il rifiuto dell’età costantiniana, della secolare alleanza con il potere, costituendosi potere all’interno della società; occorre un diverso modo di rapportarsi verso le altre confessioni cristiane e le grandi religioni del mondo, nonché la capacità di rispettare le responsabilità individuali delle persone e dei credenti. Non è la strada seguita dai vertici della Chiesa. Per dirla con il card. Martini: «Vi è un’indubbia tendenza a prendere le distanze dal Concilio».

L’excursus storico mette in luce «la tendenza sistematica» a limitare i punti forti emersi dal Vaticano II, stressando la piena continuità con la tradizione e svalutando le discontinuità che effettivamente sono avvenute (per esempio, la libertà di coscienza, descritta dal magistero precedente come un deliramentum). C’è il rifiuto di fare i conti con la concretezza della storia del cristianesimo, che è trascesa e manipolata dal magistero, che accusa di relativismo quanti ad essa si riferiscono.

La mortificazione del Concilio raggiunge l’apice con il ripristino della Messa di Pio V, per compiacere i lefebvriani (cosa che Paolo VI si era rifiutato di fare), e con l’eliminazione della scomunica, nonostante non abbiano mai accettato il Vaticano II e la riforma liturgica di Paolo VI. Però anche all’interno della Chiesa si va facendo strada la messa in discussione, se non il rifiuto, del Vaticano II (per esempio, il convegno organizzato a Roma nel dicembre scorso dai francescani dell’Immacolata).

I punti forti sui quali avviene il processo d’indebolimento del Concilio sono, secondo Miccoli, il primato romano a cui tutti sono soggetti; la drastica contrapposizione con il mondo (come Pio IX); infine il puntare alla legislazione civile sulla base del principio della legge naturale, mediante il compromesso con i poteri o con lo scontro frontale, quando non avviene l’accordo.

Miccoli chiude richiamando lo stile evangelico che nel Concilio era comunque emerso, e cita il solenne impegno in tredici punti, assunto pubblicamente nel 1965, durante l’ultima sessione del Vaticano II, da un gruppo di vescovi, ma poi archiviato nella Chiesa: «Noi cercheremo di vivere secondo lo standard di vita ordinario delle nostre popolazioni. Nel nostro modo di comportarci, nelle nostre relazioni sociali eviteremo ciò che può procurarci privilegi, vantaggi e anche di dare una qualsiasi precedenza ai ricchi e ai potenti».

Dopo un intermezzo di domande e contributi, è seguito l’intervento – dal titolo intrigante “Vaticano II: alba o tramonto?” – di mons. Luigi Bettazzi, «vescovo e laico», come scrive nel suo ultimo libro. L’ex presidente di Pax Christi ha ribadito l’importanza del Concilio, mettendo in luce il suo carattere pastorale, inteso come un «partire dalla gente», un «camminare insieme», citando il documento del card. Pellegrino. In particolare si è soffermato su quella che qualcuno ha chiamato rivoluzione copernicana: non è l’umanità per la Chiesa, ma è la Chiesa per l’umanità, come già si esordisce nella Lumen Gentium.

Inoltre, nell’ambito della Chiesa, dovrebbe essere la gerarchia al servizio del popolo di Dio, e non viceversa. «Se non è l’umanità che deve su- bordinarsi alla Chiesa, adeguandosi così alle sue modalità e alle sue tradizioni, ma è la Chiesa che deve orientarsi all’umanità, entrando nelle sue culture e nelle sue abitudini, saranno proprio i laici, per loro natura amalgamati alle varie fasce della popolazione, a doverle illuminare col messaggio evangelico, facendosene portatori e interpreti presso la gerarchia per il giudizio definitivo».

Certamente la parola della Bibbia è stata ridonata al popolo dopo il lungo inverno antiprotestante, anche se «è vero che si legge di più la Parola di Dio, ma non è ancora la guida del nostro agire». Nel Concilio troviamo una sola condanna, quella della guerra totale, mentre in Cristo la salvezza è aperta a tutti, anche a quell’umanità che non è passata attraverso il battesimo. «Il Concilio rompe con il limbo».

Il Vaticano II è un “già” e un “non ancora”. Alba o tramonto? Il vescovo ha parlato di «aurora». Però alla domanda che gli viene posta: «Un nuovo concilio?», risponde in sostanza: no, grazie, potrebbe essere pericoloso. Si è anche parlato di tramonto, riferendosi alla mancanza di un’opinione pubblica nella Chiesa.

Nel pomeriggio, con l’economista Daniele Checchi, si è affrontato il tema del lavoro nella crisi. Il modello produttivo italiano non regge più la sfida degli altri Paesi: la diminuzione di produzione nel 2009 è attestata ai livelli degli anni ’70.

E, però, non siamo tutti sulla stessa barca: infatti, mentre le famiglie hanno perso fiducia, le imprese no, perché il capitale, a differenza del lavoro, può riposizionarsi. I capitalisti italiani hanno seguito il trend di quelli europei, acquisendo partecipazioni all’estero, pur senza fuggire dall’Italia.

C’è stata crescita occupazionale senza crescita di stipendi e neppure di produttività. Il sindacato s’indebolisce; il lavoro precario, però, non esplode, attestandosi al 10%. Ciò che è cambiato è l’eterogeneità del lavoro per cui i lavoratori maschi del Nord si trovano in una condizione lavorativa migliore di quella delle donne e dei meridionali. Insomma, la crisi non ha colpito tutti in modo uniforme bensì chi era già debole.

Altre vittime della crisi sono i giovani cui il mercato non dà prospettive e lo Stato non offre prestazioni. Loro unico sostegno è la famiglia. Si tratta di un impoverimento graduale e complessivo da cui si salvano i redditi medio-alti: in Italia il 15% di famiglie sono deprivate, in base a parametri socio-economici definiti a livello europeo.

L’Europa, infine, sta viaggiando a quattro velocità: Germania e Paesi nordici stanno crescendo più del 5% e hanno un buon welfare; Francia, Gran Bretagna e Belgio più del 2% e minore welfare, come Italia e Spagna che però crescono dell’1%; Grecia e Portogallo sono in recessione e debito.

La strategia di Lisbona, di convergenza dei cittadini europei su obiettivi d’istruzione, occupazione e ambiente, è stata fallita dall’Italia e spostata dal 2010 al 2020.

* Direttore della rivista “Pretioperai”