La Georgia, un certo biden e i gasdotti
di Domenico Moro
da www.aprileonline.info
L’anno scorso in agosto la gran parte del “mondo libero”, in una sorta di riedizione fuori tempo massimo della guerra fredda, si schierò con la piccola Georgia e contro la grande Russia, cioè a favore dell’aggredito e contro l’aggressore. La guerra finì con la sonora bastonatura dell’ex avvocato di uno dei principali studi giuridici Usa, Saakashvili, che ora governa la Georgia con la benedizione degli Usa, nonostante sia accusato da parte di numerose associazioni internazionali di avere una concezione tutta sua della democrazia e dei diritti umani
L’appoggio Usa a regimi come quello saudita e pakistano dimostra che quelli di democrazia e di diritti umani sono concetti che si possono tirare a proprio piacimento meglio di una gomma da masticare. Comunque, a distanza di qualche mese dalla guerra, nello scorso novembre, sul New York Times saltò fuori la verità: fu la Georgia ad iniziare le ostilità con un bombardamento indiscriminato contro i civili di Tskhinvali, la capitale dell’Ossezia del Sud, una delle due regioni (l’altra è l’Abkhazia) che rivendicano l’indipendenza dalla Georgia. Da qui l’intervento delle forze di interposizione russe. La notizia sui quotidiani italiani, peraltro sempre pronti a usare la prima pagina per dare lezioni di democrazia a Russia, Cina, e quant’altri, finì in un articoletto nelle pagine interne. Ad un anno dalla guerra tra Georgia e Russia, sembra che il Caucaso sia ancora al centro di tensioni.
Gli analisti discutono sulla possibilità di una nuova guerra mentre la Russia accusa i georgiani di aver sparato colpi di mortaio su Tskhinvali. Chissà se c’è un nesso con la visita che alla fine di luglio Joe Biden, il vice presidente Usa, ha effettuato in Georgia (dopo essere stato in Ucraina, Paese che come la Georgia gli Usa vogliono far entrare nella Nato con grande gioia della Russia), assicurando Saakashvili che il “reset” dei rapporti russo-americani non avverrà a spese sue, e che gli americani sono al suo fianco e vogliono una Georgia libera, democratica e soprattutto unificata. Joe Biden non è uno sconosciuto in Georgia, dove nell’agosto dell’anno scorso (ancora semplice senatore) si precipitò a dare il suo sostegno al governo georgiano. Per pura combinazione qualche mese dopo proprio Biden veniva affiancato ad Obama, del resto ritenuto poco esperto di questioni internazionali.
Oggi, però, il vecchio e saggio Joe dovrebbe sapere che gli incoraggiamenti producono un cattivo effetto su Saakashvili, come si rese conto bene Bush che, l’anno scorso, dopo aver fomentato l’ex avvocato si ritrovò a dover abbozzare dinanzi all’inaspettata determinazione di Putin a non farsi mettere i piedi in faccia. Sembra proprio che gli americani, anche con la nuova amministrazione Obama, non riescano a stare lontani dal Caucaso. Recentemente gli Usa hanno anche deciso di dare avvio ad un programma di addestramento delle truppe georgiane “a rischio di provocare la Russia”, come ha titolato The International Herald Tribune.
La realtà è che l’occasione è troppo ghiotta: mettere sotto pressione la Russia, estendendo la Nato (una alleanza militare che avrebbe dovuto sciogliersi con la fine della guerra fredda) a ridosso del suo fianco molle, dove ora si riaffacciano spinte separatiste insieme alla presenza di estremismi islamici, mafie e signori della guerra. Come dimostra proprio in queste settimane il verificarsi in Cecenia di due sanguinosi attentati suicidi, una modalità di attacco finora sconosciuta in quella zona. Il Caucaso, soprattutto, è di importanza fondamentale nella geostrategia politica ed economica. Basta guardare la carta geografica: il Caucaso e la Georgia in particolare stanno praticamente a metà tra due delle maggiori aree mondiali produttrici di energia, la Russia e il Caspio-Asia centrale, e il maggiore mercato mondiale, quello europeo.
Per pura combinazione all’inizio di agosto Putin ha firmato un accordo con la Turchia che permette definitivamente la costruzione di South Stream, un gasdotto che collegherà direttamente le riserve russe con L’Italia e l’Austria, facendo il paio col il Nord Stream che invece collegherà Russia e Germania. Le due pipeline permettono di bypassare Polonia e Ucraina, Paesi che, molto legati agli Usa, nel passato hanno più volte bloccato l’afflusso di energia verso l’Europa occidentale. Il South Stream è il risultato di un accordo Eni-Gazprom di cui Berlusconi si è attribuito il merito (come dubitarne, lui è l'”uomo del fare” …), in virtù della sua amicizia con Putin. Ma si sa, l’ingratitudine fa parte della natura umana, e, anziché essere grati dell’affare all'”uomo del fare”, i mass media nazionali fanno gli esami del sangue di democraticità a Putin.
Al proposito, il Sole24ore ha pubblicato in prima pagina l’intervista al povero oligarca Khodorkovskij che, colpevole solo di aver sottratto 350 milioni alla società da lui amministrata, langue in carcere. Un vero atto antidemocratico. Del resto, in Italia, che è un vero paese civile, il falso in bilancio non è più neanche reato penale. Sempre secondo il quotidiano di Confindustria, il South Stream sarebbe uno schiaffo al Nabucco, l’altro gasdotto che, sostenuto dagli Usa, dovrebbe collegare l’Europa alle riserve dell’Asia centrale e del Kurdistan iracheno, garantendo così l’indipendenza energetica Ue dalla Russia. Una valutazione curiosa, considerando che proprio il fatto di poter contare su più linee di rifornimento alternative garantisce una maggiore sicurezza nell’approvvigionamento energetico e che il Kurdistan iracheno, controllato dagli Usa e area storicamente instabile, non è necessariamente più affidabile per la Ue della Russia.