“Occorre recuperare un piacere, un diritto alla verità, che questo Paese sta perdendo”
di Pino Finocchiaro
da www.articolo21.info
C’è un Paese in cerca di verità. E c’è un Paese che questa verità si ostina a camuffarla. C’è una Giustizia che non riesce a individuare e colpire i mandanti dell’assassinio politico-mafioso del direttore dei Siciliani, Giuseppe Fava. Ma nello stresso palazzo di giustizia di Catania c’è un tribunale che colpisce i suoi eredi perché si ostinarono a portare avanti per quasi tre anni la missione di disvelamento dei neppure troppo segreti rapporti tra Cosa Nostra, Imprese e Istituzioni in Sicilia.
I fatti? Li narra Sebastiano Gulisano: “Circa un mese fa, il Tribunale di Catania ha notificato un atto di pignoramento della casa ad amministratori e sindaci della Cooperativa Radar, editrice del giornale e composta dagli stessi giornalisti, per fare fronte a un debito di circa centomila euro nei confronti dell’Ircac, un ente in liquidazione della Regione Siciliana.
La cifra è lievitata negli anni, visto che I Siciliani ha smesso le pubblicazioni nell’estate del 1986, due anni e mezzo dopo l’omicidio mafioso del direttore e fondatore Giuseppe Fava. Paradosso, dunque, perché agli antimafiosi viene riservato lo stesso trattamento dei mafiosi: la confisca dei beni. Paradosso, perché fra le abitazioni oggetto del pignoramento c’è la casa natale di Giuseppe Fava, a Palazzolo Acreide, in provincia di Siracusa. Il 30 settembre, data ultima per onorare il debito, la casa di Fava potrebbe dunque passare alla Regione Siciliana. Assurdo ma vero”.
Per dire no a questo paradosso si sono riuniti i vertici della federazione e dell’ordine, insieme alle associazioni Libera e Articolo21. Dire no, lasciando aperta la vicenda dei Siciliani. Impegnarsi, trasformando il paradosso in paradigma.
“Certo – ci dice Claudio Fava, figlio del direttore dei Siciliani – i giornalisti ci diano una mano a non chiuderla questa vicenda. Bisogna fare in modo che la storia dei Siciliani non sia soltanto un piccolo debito da saldare per un puntiglio di una sentenza del tribunale ma sia una grande esperienza collettiva di giornalismo, di verità, di battaglia politica e civile di cui raccoglierne tutte le ragioni e tutta l’urgenza.
“E’ questo il motivo per cui noi consideriamo particolarmente offensiva questa sentenza. – spiega Claudio Fava – Non la sentenza in sé. Quando devi pagare i debiti dei fornitori… sono passati venticinque anni, può darsi che il debito sia lievitato e arrivi a centomila euro. Ma è questo puntiglio che diventa pignoramento delle case, due mesi di tempo per pagare. Come se veramente il diritto alla verità di questo paese passasse attraverso l’adempimento di questi puntigli.
“Perché il messaggio che viene fuori – sottolinea Claudio Fava – è “Ragazzi se succede un’altra volta, se vi ammazzano il direttore, siete una redazione, avete tutti 25 anni cambiate mestiere, cambiate città, altrimenti passerà un quarto di secolo e vi presenteranno il conto economico di quel direttore che vi hanno ammazzato”.
La borghesia mafiosa, 25 anni fa, non si accontentò di uccidere Pippo Fava. Non un sostegno, non un modulo di pubblicità finirono sul periodico fondato da Fava e quei ragazzi ostinati continuarono a fare inchieste, foto, servizi, a scavare nel fango di un patto scellerato che consentiva la spartizione degli appalti attorno ad un tavolino i cui commensali appartenevano certamente alla Mafia e alle istituzioni. Eppure quegli ormai ex carusi che 25 anni fa inseguirono e perpetuarono l’utopia di Pippo Fava ricevendone in cambio il danno della disoccupazione e la beffa del pignoramento non hanno perso il gusto per la verità:
“Penso – ci dice ancora Claudio Fava – che occorre recuperare un piacere, un diritto alla verità, che questo Paese sta cominciando a perdere. Che passa attraverso la memoria delle cose accadute. Quindi custodire la memoria e il lavoro dei Siciliani come una grande risorsa collettiva.
“Ma passa anche attraverso quello che accade oggi.
“Qui non si tratta di raccontare una pagina di storia ma di scrivere una pagina di cronaca. E questo – dice ancora Claudio – è un Paese in cui un signore condannato all’ergastolo per diversi omicidi, capo di un mandamento mafioso come Mangano possa essere elogiato dal capo del governo come eroe per aver scelto di morire in carcere senza fare i nomi. Accade che un giovane giornalista e scrittore sia condannato a vivere all’estero perché è stato condannato a morte dalla camorra.
Può accadere che questo Paese sia privato di alcuni segni di elementare civiltà e verità.
“Tutto questo crea un ponte importante tra ciò che accadde 25 anni fa, la storia dei siciliani, e ciò che sta accadendo adesso.
Ecco – conclude Claudio Fava – perché ci sembra che non si tratti di chiedere soltanto solidarietà a trovare il conto corrente sul sito della Fondazione Fava e dare un contributo. Si tratta di fare in modo che l’informazione sulle mafie e l’informazione in genere tornino ad essere un patrimonio di libertà e di verità. Non una merce di scambio come spesso accade oggi”.
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“Io ho un concetto etico del giornalismo. Ritengo infatti che in una società democratica e libera quale dovrebbe essere quella italiana, il giornalismo rappresenti la forza essenziale della società. Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza della criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo.” (Giuseppe Fava)
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I bonifici vanno fatti sul cc della “Fondazione Giuseppe Fava”
Credito Siciliano, ag. di Cannizzaro, 95021 Acicastello (CT)
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causale di ogni bonifico: per “I siciliani”