Afghanistan, la lunga estate calda

di Enrico Piovesana
da www.peacereporter.net

Sotto un sole che arroventa l’aria, una colonna militare britannica di Mastiff – i giganteschi blindati 6×6 protetti da grate su tutti i lati – attraversa lentamente il bazar di Lashkargah. Dalle torrette di questi bestioni color sabbia, i soldati di Sua Maestà puntano i mitragliatori su passanti, auto, motorette, trattori e sui carretti trainati dai muli. Tutti si immobilizzano e se possono si fanno da parte, rimanendo più lontani possibile dal convoglio che sfila, nella speranza di mettersi così al riparo da eventuali esplosioni di ordigni telecomandati talebani.

«I talebani in fuga dai marines americani – spiega Nabi, un meccanico – sono arrivati in città, quindi ci si può aspettare di tutto. Nei giorni scorsi hanno sparato razzi dalla periferia verso il centro della città: giovedì mattina contro un comizio elettorale pro-Karzai che era in corso davanti al palazzo del governatore, e venerdì pomeriggio contro il Prt. Li abbiamo sentiti fischiare sopra le nostre teste e poi esplodere. Hanno mancato tutti il bersaglio, cadendo in cortili e aree non abitate, senza provocare vittime. Ma il pericolo è proprio questo: non si sa dove possono cadere. Li chiamano ‘razzi ciechi’, proprio perché colpiscono a caso. Ma i talebani – continua Nabi – sono penetrati anche dentro la città. Sabato mattina, sarà stata l’una, si sono messi a sparare con i lanciagranate contro una pattuglia di soldati governativi, i quali hanno risposto al fuoco ferendo diverse persone che dormivano all’aperto per il caldo».

L’operazione militare statunitense «Khanjar» – che in pashto significa ‘pugnale’ – ha spinto centinaia di talebani, che prima controllavano i distretti meridionali di Khanishin, Garmsir e Nawa, verso Lashkargah e ancora più a ovest e a nord, a Nadali, Grishk e Sanghin: per la gioia delle truppe britanniche che qui sono impegnate nell’operazione «Panchai Palang», Artiglio di Pantera, lanciata in contemporanea con l’offensiva Usa a sud. «I talebani cacciati dagli americani sono affluiti tutti in queste zone, già roccaforti talebane, dove operano i britannici – spiega Safatullah, un giornalista locale – che quindi ora si trovano in guai seri, come dimostrano le pesanti perdite che stanno subendo in questi giorni».

A fare le spese di questa situazione però sono soprattutto i civili afgani che abitano nei distretti dove talebani e britannici si danno battaglia. «Stavo lavorando nel campo assieme ad altri contadini – racconta Abdul, steso in un letto dell’ospedale di Emergency a Lashkargah, con entrambe le gambe ingessate – quando un razzo, o una bomba, non so, è caduta vicino a noi. L’esplosione ha ferito me e due miei amici. Poco prima avevamo visto in lontananza dei blindati britannici, ma non saprei dire chi abbia sparato. Nel mio distretto, Nadali, c’è sempre stata la guerra, ma da una settimana è diventato un inferno: non c’è giorno che non combattano. E non serve a niente: i talebani sono sempre lì».

Erano di Nadali anche Habibullah e Abdullah, entrambi di 12 anni, Ziah, 14 anni, Mohamammad, 25 e Bora, una donna di 55 anni, arrivati morti la settimana scorsa nel centro chirurgico dell’Ong italiana: tutti vittime di bombardamenti aerei. Come almeno altri dieci civili, sempre di Nadali, ricoverati nei giorni con gravi ferite da schegge di bomba.

«Nella notte tra mercoledì e giovedì – racconta Safataullah – settanta persone sono state ferite a Babaji, nel distretto di Nadali, mentre cercavano di scappare dai combattimenti attraversando a piedi il fiume Helmand: i britannici hanno pensato che fossero talebani e li hanno bombardati».

E poi c’è il problema delle mine. Le corsie dell’ospedale di Emergency a Lashkargah si stanno riempiendo di feriti da mina a un ritmo assolutamente straordinario. «Negli ultimi due giorni – spiega un medico – ci sono arrivati una decina di feriti da mina, da Nadali ma anche da Garmsir, dove è in corso l’operazione dei marines. Molti di loro sono bambini, alcuni in condizioni gravissime. Normalmente, dieci ne arrivano in un mese! Pare si tratti di ordigni piazzati dai talebani per colpire i mezzi militari stranieri».

L’operazione militare britannica ‘Artiglio di Pantera’ sta provocando anche una grave emergenza umanitaria. Negli ultimi giorni almeno 20mila sfollati sono arrivati qui a Lashkargah, in fuga dai distretti dove si combatte: in particolare dalla zona di Babaji, nel distretto di Nadali. I più fortunati vengono ospitati da parenti e amici, ma la maggior parte di loro, circa 15mila finora, finisce nel campo profughi di Mokhtar: una desolata distesa di tende, baracche e casette di argilla alla periferia nord della città dove, dal 2002, vivono già almeno 20mila sfollati in condizioni drammatiche, privi di qualsiasi assistenza da parte del governo afgano. Ora, quindi, il campo ospita almeno 35mila persone. E ne continuano ad arrivare.

Mentre scriviamo, due boati scuotono la terra. Altri due ‘razzi ciechi’ sono caduti in città, a poche centinaia di metri dall’ospedale di Emergency: uno davanti al nuovo ufficio dell’Ariana Airlines e un altro vicino alla succursale dell’Afghan Bank. Per fortuna, c’è solo un ferito lieve e qualche danno alle aiuole.

Il sole tramonta su Lashkargah, ma il caldo rimane soffocante. Il muezzin intona il richiamo alla preghiera serale, ma il suo canto viene sovrastato dal rumore degli elicotteri Apache che volano lenti nel cielo rosa, sopra decine di piccoli aquiloni manovrati dai bambini che si godono le ultime ore di gioco prima del coprifuoco.

La lunga estate calda

Finora, più che i talebani, è il caldo torrido a mietere vittime tra la fila dei quattromila marines impegnati dal 2 luglio nell’operazione Khanjar, nel profondo sud dell’Afghanistan.
Gli uomini del generale Larry Nicholson – uno di quei «duri» dagli occhi di ghiaccio che sembra uscito da un film di guerra hollywoodiano – marciano da giorni sotto un sole che ha già fatto collassare decine di soldati. Marciano risalendo il corso del fiume Helmand, che a sud di Lashkargah serpeggia attraverso il Dasht-e-Margo, il Deserto della Morte, rendendo possibile la coltivazione di papaveri da oppio e la vita in miseri villaggi di argilla addossati lungo le sponde del fiume. I giovani marines, sudando l’anima sotto gli elmetti, entrano in questi villaggi e li occupano, uno dopo l’altro, senza incontrare nessuna resistenza.

Gli scontri a fuoco finora sono stati sporadici: si parla di 27 guerriglieri uccisi in una settimana. I talebani si sono volatilizzati. Mischiatisi tra i civili, secondo il generale Nicholson, in attesa di sferrare un contrattacco a sorpresa quando i suo uomini saranno sfiancati dal caldo e dalla tensione. Fuggiti a nord, invece, secondo il generale Zahir Azami, portavoce della Difesa afgana, che accusa i marines di aver solamente spostato il problema «talebani» da un’altra parte.

«Dall’inizio dell’operazione Khanjar – ha dichiarato alla stampa il generale Azami – i combattenti talebani si sono spostati nel nord della provincia di Helmand, precisamente nella zona di Baghran che è controllata dalle truppe Nato tedesche, e nei distretti orientali della vicina provincia di Farah, che sono invece sotto il controllo delle truppe Nato italiane. Questo spostamento ha suscitato lamentele da parte dei comandanti tedeschi e italiani».

Si preannuncia un’estate molto calda per i paracadutisti italiani della brigata Folgore, che già da maggio combattono nel deserto di Farah per contrastare la crescente presenza dei talebani nei distretti di Bala Baluk, Pust-e-Rod e Delaram, e che nelle prossime settimane saranno presumibilmente coinvolti anche in una grande offensiva pre-elettorale, sullo stile di quella dei marines in Helmand, alle porte di Herat.

«Le truppe afgane e internazionali si stanno preparando in vista di un’offensiva contro le roccaforti tale
bane alla periferia della città di Herat», ha dichiarato lunedì alla stampa locale il comandante provinciale della polizia, generale Esmatullah Alizai, senza specificare le zone interessate. Le aree sotto controllo talebano più vicine a Herat sono i distretti di Guzara [alla periferia sud della città], Rabat-i-Sangi [50 chilometri a nord] e Khushk Kohna [70 a nord-est].

PeaceReporter ha chiesto conferme ai portavoce del contingente italiano a Herat e Kabul, rispettivamente maggiore Magagnino e capitano Lipari, i quali hanno detto di non saperne nulla, aggiungendo [Lipari] che «anche se fosse vero, nessuna informazione sull’operazione verrebbe divulgata prima del suo inizio». Il giorno successivo Peacereporter ha raggiunto telefonicamente il comandante della polizia di Herat, generale Alizai, per approfondire la questione, ma l’ufficiale non ha voluto parlare.

Nell’occhio del ciclone

A Lashkargah, nei giorni scorsi, c’era una calma surreale, insolita. Tutti i locali dicevano che era la quiete prima della tempesta. E avevano ragione.

I talebani, che da mesi circondano la capitale di Helmand, sono così vicini che le loro comunicazioni radio interferiscono con quelle cittadine. Nella provincia sono così forti da aver costretto la compagnia telefonica afgana, la Roshan, a spegnere i ripetitori dalle sei di sera fino all’alba per evitare di essere localizzati dai comandi Nato e poter quindi operare senza rischi. Sono così potenti da aver convinto la popolazione locale a non ritirare le tessere elettorali per il voto di agosto, pena il taglio della gola. Quei pochi che sanno che ad agosto si vota hanno decisamente optato per l’astensionismo.

Del resto, da quelle parti nessuno si interessa alla politica: Kabul è lontana e qui, in Helmand, c’è la guerra. Che ogni tanto dà qualche giorno di tregua, ma poi ricomincia, peggio di prima.
L’unica avvisaglia del fatto che qualcosa stava per succedere era stata, nei giorni passati, l’intenso volantinaggio aereo effettuato dalle truppe d’occupazione, con tutta probabilità per informare la popolazione dell’imminente offensiva. Un volantinaggio non sempre innocuo, peraltro. Dopo i volantini, dunque, arriva il ‘Colpo di Spada’ – questo il nome dell’offensiva Usa – che si è abbattuto sull’Helmand con una forza che nessuno poteva prevedere.

All’ospedale di Emergency di Lashkargah è tutto pronto per ricevere i civili feriti. Uno è già arrivato martedì sera: è morto prima ancora di essere ricoverato. Ma la previsione dello staff è che ne arriveranno pochi, di feriti. La gente del posto dice che i marines hanno sigillato tutta l’area delle operazioni e quindi sarà difficile che le vittime dell’offensiva riescano a raggiungere il capoluogo.

Rahirmullah Yusufzai è un noto giornalista pachistano, tra i maggiori esperti mondiali di Afghanistan e terrorismo islamico, che segue il conflitto afgano dai tempi della guerra contro i sovietici. E’ diventato famoso per essere stato l’ultimo giornalista ad aver intervistato Osama Bin Laden prima dell’11 settembre 2001. “Il consigliere per sicurezza nazionale di Obama, James Jones, solo ieri aveva detto che la guerra non può essere la soluzione del problema afgano” dice Yusufzai.

“Subito dopo è stata lanciata un’offensiva militare senza precedenti. Il mio giudizio è che Obama voglia effettivamente cambiare strategia rispetto al passato e iniziare un dialogo con i talebani, ma da una posizione di forza, non da una posizione di debolezza. Inoltre questa operazione in Helmand va letta in relazione alle prossime elezioni di agosto: i talebani controllano tutta la provincia di Helmand eccetto la capitale Lashkargah, quindi oggi come oggi sarebbe impossibile svolgere le elezioni in quella regione. Ciò costituirebbe un grave danno di immagine sia per il governo afgano che per le forze degli Stati Uniti e della Nato”.

Ma per i Talebani questa non è la prima grande offensiva a cui far fronte, e a differenza degli Stati Maggiori Usa, gli afghani sono abituati a resistere in armi da circa trent’anni. “Appena sono iniziate le manovre militari dei marines in Helmand, il portavoce talebano, Quari Yussuf Ahmadi, ha dichiarato che loro non sono minimamente spaventati dalle dimensioni di questa offensiva” Conferma Yusufzai. “Gli Stati Uniti hanno fretta di riprendere il controllo di Helmand prima delle elezioni, mentre i talebani sono pronti a combattere fino alla liberazione del loro Paese.

Quindi non affronteranno i marines frontalmente, ma si ritireranno, daranno loro il tempo di occupare i distretti contesi e poi inizieranno ad attaccarli secondo le più classiche tattiche di guerriglia: imboscate, attentati, eccetera. Tempo fa un comandante talebano mi ha detto: gli americani hanno l’orologio, ma noi abbiamo il tempo”.