Obama, un nuovo triangolatore?
di Stefano Rizzo
da www.aprileonline.info
Dalla vicenda delle torture, all’attesissima riforma dell’immigrazione, l’aborto e infine (in ordine temporale) la legge che consente a chiunque di entrare in un parco nazionale con pistole e fucili carichi: nelle ultime settimane molte delle decisioni prese si sono rivelate a dir poco contraddittorie o parziali, mentre altre, che erano attese, sono state rinviate a tempi migliori
In America i liberal sono preoccupati. Hanno eletto con entusiasmo il “loro” presidente perché volevano che le cose cambiassero e adesso temono di trovarsi di fronte ad un nuovo triangolatore, cioè un Bill Clinton in versione afroamericana. Per chi non lo ricordasse, anche Clinton fu eletto, dopo dodici anni di presidenze repubblicane (Reagan e Bush padre), sulla base di un programma di cambiamento. Ma quando arrivò alla Casa bianca, un po’ per i suoi guai giudiziari (affare Whitewater), un po’ per gli scandali sessuali (affaire Lewinski), ma soprattutto perché due anni dopo il suo insediamento perse la maggioranza democratica nel Congresso, dovette barcamenarsi tra conservatori repubblicani e liberal democratici, finendo spesso con l’assumere su ogni questione una posizione intermedia, né veramente di sinistra né veramente di destra: appunto la “triangolazione”.
Le cose non stanno così per Barack Obama: su di lui non c’è nessuna ombra affaristica che possa ritorcersigli contro, è assai improbabile che in futuro abbia relazioni meno che corrette con stagisti e stagiste, e soprattutto gode di una solida maggioranza democratica nel Congresso. Non così grande come avrebbe voluto per bloccare l’eventuale ostruzionismo repubblicano (almeno fin quando non sarà decisa l’assegnazione del sessantesimo seggio del senato), ma sicuramente molto più solida di quella di tanti altri presidenti, George W. Bush compreso.
Anche per questo e soprattutto grazie alla forza del consenso popolare ottenuto, il neopresidente ha iniziato il suo mandato con una serie di gesti, concreti e simbolici, nella direzione giusta, alcuni annunci e alcune decisioni che sono stati salutati con soddisfazione dal suo elettorato: la chiusura del carcere di Guantanamo (annunciata), l’abolizione del divieto di ricerca sulle cellule staminali (decisa), una riforma dell’assistenza sanitaria (annunciata), una nuova politica energetica (parzialmente decisa), un bilancio dello stato che prevede forti investimenti e sostegno al ceto medio e ai ceti più poveri (deciso).
Questo in politica interna. In politica estera naturalmente è ancora troppo presto per vedere risultati, ma certamente Obama è riuscito nei vari vertici e colloqui cui ha partecipato in questi mesi (G20 di Londra, Organizzazione degli stati americani, Assemblea della Nato) a proiettare di sé un’immagine di uomo del dialogo, della trattativa e del rispetto reciproco, particolarmente verso il mondo arabo: indubbiamente un netto cambiamento rispetto all’unilateralismo arrogante del suo predecessore.
Ma allora perché i liberal sono preoccupati? Perché temono una nuova stagione di frustranti triangolazioni? Il fatto è che nelle ultime settimane molte delle decisioni prese si sono rivelate a dir poco contraddittorie o parziali, mentre altre, che erano attese, sono state rinviate a tempi migliori. Ad esempio sulla vicenda delle torture, in cui Obama ha seguito un corso alternante, dando un colpo al cerchio e uno alla botte: le ha condannate, le ha vietate, ma ha escluso che i torturatori e i loro mandanti ai vertici dello stato possano essere processati. Con il che ha suscitato cori di proteste e potrebbe essere contraddetto dalla magistratura. Ha sì annunciato la chiusura di Guantanamo, ma ha mantenuto le scellerate commissioni militari che dovranno giudicare i 200 e passa detenuti che vi sono ancora rinchiusi.
Non saranno proprio processi farsa, come con la normativa precedente, ma saranno sempre molto lontani dagli standard di un paese civile. Intanto – ed è notizia fresca di agenzia – il Congresso ha bocciato il finanziamento, appena 80 milioni di dollari, per la chiusura promessa del carcere. I leader sindacali e i rappresentanti delle comunità ispanoamericane (i “latinos”) sono assai preoccupati. Ormai a distanza di quattro mesi dall’insediamento non ci sono segnali che la legge promessa per facilitare l’iscrizione al sindacato sui luoghi di lavoro (oggi ostacolata in mille modi dal padronato) stia per vedere la luce. Anche la lungamente attesa riforma dell’immigrazione è stata rinviata. Il problema è che qualsiasi riforma dovrà prevedere una ragionevole sanatoria per i dodici milioni di immigrati clandestini (che oltretutto stanno subendo più di ogni altro gruppo sociale il peso della crisi economica), ma questo è un terreno che scotta sul quale per il momento Obama teme di inoltrarsi.
Sul delicatissimo tema dell’aborto Obama ha tenuto un importante discorso la settimana scorsa all’Università cattolica di Notre Dame. Un discorso dai toni alti, pieno di riferimenti religiosi e di contenuti profondi nel tentativo di uscire dalle polemiche meschine. Obama non ha certo ceduto sull’impegno preso in campagna elettorale di difendere il diritto di scelta delle donne, ma lo ha circondato di così tante cautele e distinguo e apprezzamenti per le posizioni dei sostenitori del campo avverso, che le organizzazioni femministe e in genere tutti coloro che sono favorevoli all’aborto legale si sono molto preoccupati: e se dietro la mano tesa alla Chiesa cattolica e agli evangelici si nascondesse qualcos’altro? – si saranno domandati. Ad aumentare le loro preoccupazioni la notizia che l’amministrazione intende aumentare i finanziamenti alle associazioni religiose che si occupano di assistenza sociale – un programma voluto da George Bush e fortemente criticato dai laici, anche perché toglie soldi all’assistenza pubblica.
Infine, questa settimana, è arrivata una leggina che consentirà a chiunque di entrare in un parco nazionale con pistole e fucili carichi. Questa delle armi da fuoco è un’autentica piaga nazionale americana. Negli ultimi mesi vi sono state altre stragi perpetrate da squilibrati e dalla criminalità comune. Non solo, è anche venuto alla luce un imponente traffico di armi di ogni tipo dagli Stati Uniti al Messico, armi che servono alla criminalità organizzata per combattere le sue guerre per il predominio nel commercio della droga. Dagli Stati Uniti viaggiano le armi e dal Messico i pacchi di cocaina, nel mezzo un giro di miliardi di dollari.
Ora, non è che l’amministrazione Obama abbia fatto nulla per facilitare tutto ciò, ma neppure ha fatto fin qui nulla per impedirlo. Obama stesso in passato aveva preso sulla questione una posizione ambigua per venire incontro all’elettorato moderato di cui aveva bisogno per essere eletto. Adesso però c’erano in scadenza alcune norme che riguardano la tracciabilità degli acquisti di armi da fuoco o l’obbligo di conservare i dati degli acquirenti (spesso semplici prestanome delle organizzazioni criminali): era l’occasione per rafforzare i controlli senza con questo toccare il “sacro diritto” sancito dalla Costituzione dei cittadini a portare le armi. L’amministrazione Obama se l’è fatta sfuggire e anzi ha consentito che si allargassero ancora di più le maglie consentendo l’ingresso di pistole e fucili col colpo in canna nei parchi nazionali. La potente National Rifle Association ha ogni ragione di essere contenta. Ma non i liberal americani, che a questo punto hanno invece molte buone ragioni per cominciare a essere preoccupati.