LE DONNE NELLA CHIESA D’AFRICA
di Hélène Mbuyamba
da Adista Documenti, n° 56 del 23 maggio 2009
Ecclesia in Africa aveva paragonato l’Africa d’oggi a quell’uomo che, scendendo da Gerusalemme a Gerico, cade nelle mani di briganti che, dopo averlo spogliato e bastonato, lo lasciano in fin di vita sul ciglio della strada. Questo è lo spettacolo doloroso e insopportabile che offre l’Africa: di innumerevoli esseri umani feriti, malati, emarginati, abbandonati…, bisognosi di un buon samaritano che li aiuti. Più di dieci anni dopo la pubblicazione di questo documento, è giocoforza riconoscere che la situazione si è piuttosto aggravata.
Mi è stato chiesto di parlare delle donne nella Chiesa a-fricana. Innanzitutto voglio affrontare la questione dal punto di vista della collaborazione fra uomini e donne. Questa collaborazione, mi sembra, è legata al tema del quale ci occupiamo: “La Chiesa d’Africa al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace”. Vorrei tentare un altro paragone. L’Africa attuale non potrebbe farci pensare a quella ragazza di 12 anni il cui padre, Giairo, capo della sinagoga, va a supplicare Gesù che la salvi, perché è in punto di morte? Le parole e i gesti di Gesù mi servono da trama in questa breve dissertazione.
Gesù è l’ultima risorsa per questo padre sull’orlo della disperazione? Gesù tuttavia non farà nulla senza chiedere il contributo della madre della piccola (“Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla…, ed entrò dove era la bambina”, Mc 5,40). Ha bisogno di lei come partner responsabile quanto il padre della sua opera di liberazione. Sa che, di fronte ad ogni situazione di violenza e di morte, la vocazione della donna è quella di essere sacramento della speranza. La donna è guardiana della vita. Spesso è in situazioni in cui la vita è in pericolo che essa dispiega le sue capacità per accudire, proteggere, nutrire. Sono numerosi i casi, in Etiopia, in Angola, in Rwanda, nella Repubblica Democratica del Congo, in cui le donne, silenziosamente ma efficacemente, hanno fatto e continuano a far vivere il Paese, la società. È per questo che Gesù fa uscire dall’ombra questa madre, allo scopo di far diventare lei, lei stessa, parte pregnante della vita nuova che egli ridona alla bambina.
Il modo di Gesù di rapportarsi alla donna richiama quello del nostro Fondatore, il cardinale Charles Lavigerie. Nel 1867, egli scrive quanto segue ai membri di un’associazione: “Malgrado lo zelo dei Missionari (uomini), i loro sforzi non produrranno mai frutti sufficienti se non sono aiutati da donne apostole, proprio in quanto donne. Questo ministero essi non possono riempirlo da soli: soltanto le donne possono avvicinare liberamente le donne del luogo, intrattenere con loro dei rapporti di carità, curare i loro mali, toccare i loro cuori… La donna è all’origine di tutto, perché è la madre. I suoi figli sono come lei li fa. Deposita nelle loro anime semi che niente distrugge e che germinano malgrado tutte le forze contrarie. Dunque, a poco a poco, tramite le donne si ha la famiglia e, tramite la famiglia, la società”. In un altro punto, dice: “Le vostre figlie saranno vere missionarie, più utili e più efficaci dei preti stessi, perché faranno ai bambini del bene ancora più solido e più durevole. Esse iniziano davvero la conversione dell’Africa nella porzione più essenziale, le donne, che diverranno madri e capi di famiglie cristiane”.
Un continente allo stremo
Sull’esempio di quello che questa ragazza malata rappresenta agli occhi di suo padre e sua madre, l’Africa attuale è, secondo Benedetto XVI, “la grande speranza della Chiesa”, grazie a tutti i segni positivi emersi nell’ultimo decennio, come mostrano i numeri 6 e 7 dei Lineamenta per la seconda assemblea del Sinodo.
Malgrado questo, l’Africa è sempre e ancora allo stremo, come la ragazzina di 12 anni. La quale è come morta prima che Gesù arrivi sul posto. Di cosa muore l’Africa oggi? Piuttosto che riprendere la serie di mali così ben enumerati dai Lineamenta, mi limiterò alla citazione di qualche statistica.
Secondo Robert Zoellick, presidente della Banca mondiale, la crisi finanziaria ha già fatto ripiombare nella povertà 100milioni di persone, e la diminuzione delle esportazioni ne costringerà alla disoccupazione decine di milioni. Ma non sono i poveri dei Paesi africani a dover pagare il prezzo di una crisi che è nata negli Stati Uniti.
Apprendiamo anche da Paul Collier, docente di economia all’Università di Oxford, che nei 58 Paesi più poveri del mondo, due terzi dei quali in Africa, gli abitanti vivono come nel XVI secolo: sono vittime di conflitti violenti, epidemie, povertà, bassa aspettativa di vita. Questi Paesi soffriranno della caduta del prezzo delle materie prime e della riduzione dell’aiuto ai Paesi in via di sviluppo che deriverà dalla recessione. Aggiunge che la disuguaglianza economica in un mondo globalizzato diventerà un incubo.
Quanto alla Fao, essa richiama l’attenzione sul fatto che la crisi finanziaria non deve far dimenticare la crisi alimentare sempre presente. Le ultime cifre presentate da questo or-ganismo sono eloquenti:
– oltre 900milioni di persone nel mondo soffrono la fame;
– quasi l’89% di essi, cioè 750 milioni di persone, vivono in Africa e in Asia;
– 36 Paesi, situati in maggioranza in Africa, dipendono dall’aiuto esterno, piuttosto insufficiente, per alimentare la loro popolazione.
In tale contesto, perché sorprendersi per la morte di un centinaio di persone in Kenya, senza contare i feriti gravi, nell’esplosione di un camion-cisterna incidentato, mentre cercavano di recuperare un po’ di benzina per sopravvivere?
Lo stupro come arma di guerra ha raggiunto il suo massimo livello. Wildaf-Zambia (Women in Law and Development in Africa) e Victim Support Unit (Vsu), l’unità di polizia che tratta degli abusi contro le donne e i bambini in Zambia, sostengono che la causa di un tale aumento potrebbe essere la legge del silenzio. Che si sia in tempo di pace o in tempo di guerra, la violenza contro le donne e le bambine assume un’ampiezza sempre più inquietante. In Costa d’Avorio, in Zambia, nella Repubblica Democratica del Congo, in Sudafrica, Liberia, Camerun, Burkina-Faso e ovunque in Africa si assiste pressoché impotenti alla crescita di questo flagello.
L’affermazione dello scrittore congolese Boyla è illuminante: “Lungi dall’essere una fatalità, la violenza sessuale di massa presuppone una ‘strategia deliberata’; le donne sono diventate un bersaglio e il loro corpo corrisponde a un territorio. Gli stupri collettivi, le gravidanze forzate, la schiavitù sessuale sono strumenti di genocidio e pulizia etnica”.
Con problemi simili, l’Africa non è prossima a risollevarsi. Agli occhi di molte persone, africane e no, essa è addirittura morta. Cosa si può fare se non accettare questa fatalità? Il capo della sinagoga fa un discorso simile rispetto a sua figlia: “È morta, perché scomodare il maestro?”. Ma Gesù, che ha capito, dice al padre: “Non temere; continua solo ad avere fede”.
Più tardi dirà quelle parole sorprendenti alle persone che piangono la ragazza: “…non è morta, dorme”, parole accolte da derisione. È pazzo o cosa per fare affermazioni di questo tipo? Durante tutta la scena, la madre, ancora nell’ombra, non è meno presente (“Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla…, ed entrò dove era la bambina”, Mc 5,40). La presenza della coppia a fianco di Gesù non è senza significato. Scegliendo di non prendere con lui che quest’uomo e questa donna per farli assistere al ritorno in vita della bambina, Gesù compie un atto profetico. I tre discepoli, anch’essi testimoni di questa vita nuova, capiscono tutta la portata della scelta di Gesù?
Quest’uomo e questa donna sono l’immagine della nostra Chiesa che vuole essere sac
ramento del Regno di Dio. È a quest’uomo e a questa donna insieme che Gesù affida la sua missione di contribuire all’avvento del regno della giustizia, della pace e della riconciliazione nel mondo. Quanti ostacoli tuttavia sul cammino della vera collaborazione fra uomini e donne, tanto nella Chiesa quanto nella società!
Uno studio del 2004 sulla situazione delle donne in Burkina ci rivela che il problema non è l’assenza di testi che tutelano i diritti delle donne. Il problema è dato invece dal-l’ignoranza riguardo all’esistenza di questi testi o dalla difficoltà ad applicarli a causa della concezione patriarcale della società. Un altro problema, non meno importante, è il vuoto giuridico constatato nelle situazioni di violenza ai danni di donne e bambini o l’inesistenza di un obbligo per i partiti politici di candidare donne alle elezioni.
Altrove, come nella Repubblica Democratica del Congo, è il fondamentalismo religioso a guadagnare terreno, con il conseguente regresso in materia di diritti delle donne. Questo obbliga le associazioni femminili a organizzarsi e a cercare sostegni politici. Infatti, le donne rischiano di venire escluse dal loro ambiente se non accettano questi fondamentalismi. Riconosciamo anche che in parecchi casi, soprattutto in ambiente rurale, la donna può essere l’ostacolo maggiore al suo stesso sviluppo, quando rimane sotto l’in-fluenza della tradizione e di costumi retrogradi, accettando come cosa naturale di essere relegata in secondo piano e ingessata nel ruolo di madre e casalinga.
Una parola maschile
Nella Chiesa cattolica, il clero era ed è ancora un mondo di uomini, che non trovano nulla di strano che la cultura cattolica sia un cultura essenzialmente maschile nelle sue istituzioni e nella sua organizzazione fortemente gerarchizzata. Tuttavia, nella tradizione cattolica, le donne – le religiose in maggioranza, ma anche le laiche – si sono ritagliate spazi di espressione e di libertà.
Attualmente, la Chiesa cattolica continua a presentare un volto molto tradizionale su più livelli. Mentre riconosce l’u-guaglianza essenziale fra uomo e donna, mantiene la donna in situazione di subordinazione e di inferiorità. Si parla molto della dignità femminile nei documenti pontifici, ma la divisione effettiva dei compiti nella Chiesa fra uomini e donne fa sì che la parola ufficiale del mondo cattolico resti maschile. E chiaramente il sistema patriarcale nel quale affondano le radici le strutture ecclesiastiche dà luogo ad un lettura della tradizione e del magistero in contraddizione con le Scritture e i segni dei tempi. La mancanza di integrazione dell’approccio di genere nella Chiesa e nelle società, in Africa e altrove, è lampante. E se la donna è, per così dire, assente dagli ambiti in cui si prendono le decisioni concernenti la vita ai vari livelli, come può offrire il suo contributo specifico?
Eppure, gli atteggiamenti di Gesù rispetto alle donne hanno avuto e continuano ad avere un potere di trasformazione inesauribile. Così, essi mettono in luce il carattere, diciamo, antievangelico della ripartizione dei compiti nella Chiesa, ripartizione che affida agli uomini le strutture e alle donne le infrastrutture. Per fortuna, si levano voci profetiche: vescovi, preti e laici operano attivamente nello spirito del Vaticano II perché la Chiesa, popolo di Dio, divenga sempre più comunità di fratelli e di sorelle, discepoli uguali in dignità davanti a Dio, rendendo credibile la Buona Novella della salvezza per tutti.
Rovesciare le barriere
Torniamo di nuovo alla scena del Vangelo che ci serve da filo rosso. Gesù, fra lo stupore dei partecipanti, fa alzare la ragazza, che inizia a camminare. Dice anche di darle da mangiare. Toccherà al padre e alla madre vigilare perché sia fatto, ciascuno al suo posto.
Attraverso questo episodio, Gesù evidenzia la novità del Vangelo. La missione di nutrire il bambino è affidata tanto alla madre quanto al padre. Missione profetica, che accompagna l’affermazione biblica in Gn 1,27 secondo la quale siamo creati ad immagine di Dio, uomo e donna. E che dire del messaggio di Paolo ai Galati? “Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”. Non è la conferma di quello che dicevamo? E cosa se ne è fatto nella Chiesa? In quale misura essa si appropria di questa novità?
Parlando di Gesù nella sua lettera agli Efesini 2, 16, Paolo dice che ha distrutto “in se stesso l’inimicizia”. È Gesù, infatti, che è venuto ad abbattere i muri che noi esseri umani erigiamo senza sosta fra di noi, per le nostre voglie, le nostre gelosie, i nostri risentimenti… È evidente che egli vuol rovesciare le barriere fra l’uomo e la donna. È in questo senso che bisogna comprendere la frase di Paolo: “…non c’è né uomo né donna, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”.
Non si tratta, certamente, di misconoscere la singolarità di ognuno, che esiste e di cui Gesù stesso tiene conto. Se la Chiesa d’Africa deve mettersi al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace andando alla ricerca delle radici degli odii, delle ingiustizie e delle guerre che minano la vita del Continente, non ha molte strade. Deve assolutamente promuovere una vera collaborazione, non solo con i laici e i credenti delle altre religioni, ma anche fra uomini e donne al suo stesso interno.
Gli esempi di una tale collaborazione non mancano né nella Chiesa né in Africa. One man can campaign è l’iniziativa di una rete chiamata Sonk gender justice, che lavora con uomini, donne, giovani e bambini dell’Africa del Sud, dell’Africa dell’Est e dell’Africa Centrale, soprattutto nel campo della violenza alle donne e della riduzione della pandemia dell’Aids.
La campagna sostiene l’idea che ognuno di noi abbia un ruolo da giocare e possa contribuire a creare un mondo migliore, più giusto ed equo. Allo stesso tempo, essa incoraggia uomini e donne a collaborare in vista di azioni volte a migliorare il nostro mondo. Ed esorta le organizzazioni religiose a prendere posizione per sostenere gli sforzi che mirano a mettere fine alla violenza sulle donne. Inoltre ha enumerato una serie di azioni che i leader religiosi possono intraprendere per mettere fine al flagello.
“L’Africa per i diritti delle donne” è un’altra campagna avviata l’8 marzo 2009. È stata lanciata dalle organizzazioni regionali e internazionali di difesa dei diritti dell’uomo e dei diritti delle donne presenti in tutta l’Africa. Il suo scopo è far sì che vengano ratificati gli strumenti africani e internazionali di protezione dei diritti delle donne e che siano rispettati sia sul piano giuridico che su quello pratico. Eminenti personalità maschili hanno già espresso il desiderio di collaborare per sostenere questa campagna.
Africa, alzati!
È a questo ruolo profetico che è chiamata la Chiesa. È così che essa può vedere con gli occhi di Dio, ascoltare con le orecchie di Dio, sentire con il suo cuore e parlare con la sua bocca. “‘Talità kum’… ‘Ragazza, io ti dico alzati!’, dice Gesù. Subito la fanciulla si alza e cammina; aveva 12 anni. E furono presi da grande stupore” (Mc 5,41-42). Africa, io ti dico alzati!
Se l’Africa attuale deve mettersi in piedi e camminare, la donna ha il suo ruolo da giocare in questa missione, in quanto partner dell’uomo.
“L’avvenire del pianeta dipende dalla capacità e dalla competenza delle donne, non solo per proteggere la vita ma anche per promuovere la totalità e l’integrità di tutta la creazione”, ci dice Rose Fernando in un suo articolo apparso su Spiritus (n. 137, 1984).
“‘Talità kum’… ‘Ragazza, io ti dico alzati!’… e ordinò di darle da mangiare” (Mc 5,43). Il Dio di Gesù Cristo, un Dio della vita. Ora, nella situazione concreta dell’Afr
ica, i problemi relativi alla giustizia, alla pace e alla riconciliazione a livello sociale, politico, culturale, economico e religioso vanno contro la sua volontà.
Nella vita della Chiesa, la donna è doppiamente toccata dalla sfida posta da questa situazione, prima di tutto in quanto donna, e poi in quanto cristiana impegnata con altri nella costruzione della società in generale. È da lei, dalla donna, che scaturisce la vita. Su di lei incombe la missione di trasmettere i semi che niente può distruggere, come afferma il nostro fondatore. La donna ha dunque la sfida di “nutrire” il figlio con i valori del Regno.