Terrorista a bordo

di Stella Spinelli
da www.peacereporter.net

“Il volo Air France numero 438 proveniente da Parigi deve atterrare a Città del Messico alle 18 di sabato 18 aprile. Mancano ormai 5 ore all’arrivo, quando la voce del capitano annuncia che le autorità statunitensi hanno appena tolto l’autorizzazione a volare nel loro spazio aereo. Il motivo? Tra i passeggeri dell’aereo strapieno viaggia una persona non gradita negli Usa per motivi di sicurezza nazionale”.

A raccontare questa storia è Hernando Calvo Ospina, giornalista e scrittore colombiano, da anni residente in Francia e autore di libri e articoli in particolare sul conflitto interno in Colombia e sulle implicazioni e i grandi interessi nazionali e internazionali che nasconde. Primo fra tutti il ruolo degli Stati Uniti e i legami tra il presidente Uribe, i paramilitari e il narcotraffico. Contro Alvaro Uribe, Ospina ha presentato prove che lo incolpano di terrorismo di Stato.Quella che ha denunciato dalle pagine di Rebelion è una vicenda realmente accaduta e che lo vede protagonista indiscusso.

“Pochi minuti dopo – continua lo scrittore – la stessa voce ci annuncia che dobbiamo atterrare a Fort de France, Martinica, perché il giro alternativo che è costretto a fare l’aereo per arrivare in Messico è molto lungo e il carburante non basta. La stanchezza diventa uno dei temi tra noi passeggeri. Ma il principale diventa, a voce bassa, ‘chi sarà mai questo terrorista, perché se gli americani lo dicono significa che lo è’. Guardando tutte la facce di coloro che siedono con me nell’ultima sezione dell’aereo, due passeggeri commentano ‘qui tra noi non c’è nessun terrorista perché nessuno ha la faccia da musulmano'”.

“Di nuovo in volo, mentre ci prepariamo per altre quattro ore di viaggio, vedo venirmi incontro uno dell’equipaggio che si qualifica come co-pilota. Cercando di essere discreto mi chiede se sono il ‘señor Calvo Ospina’. Gli dico di sì e lui ribatte: ‘Il capitano vuole dormire, per questo sono venuto io”. E mi invita a seguirlo nella parte posteriore del velivolo. Guardandomi dritto negli occhi mi dice che sono io il ‘responsabile’ di questa deviazione. Rimango inebetito. ‘Crede che sia un terrorista?’ Gli chiedo come prima reazione. ‘No – mi risponde – per questo la sto avvisando’. Poi aggiunge che è la prima volta che si viene a creare una situazione simile in un aereo dell’Air France e mi chiede di non dire niente a nessuno. Torno al mio posto”.

L’aereo arriva a Città del Messico. Ospina viene invitato a presentarsi a un membro dell’equipaggio che gli augura buona fortuna e lo lascia scendere. In un attimo scrive il numero di telefono di casa in due pezzi di giornali e li passa a due persone con le quali si era confidato e che gli assicurano che avvertiranno la sua famiglia. Non lo fanno.

Fuori dal tunnel di uscita dal velivolo alcuni agenti in borghese chiedono i documenti. “Inizio a sentire la gola secca. Il nervosismo sale. Presento il mio passaporto e mi lasciano passare. Mi metto in fila allo sportello di controllo passaporti e vedo degli uomini cercare qualcuno. La fila è lentissima. Mi identificano. Guardano lo schermo di un pc e poi guardano me”. Quando arriva il suo turno, lo accompagnano con una scusa in una saletta interna. Lo tranquilizzano dicendo che è un semplice controllo. “Chiedetemi quel che volete, non ho nulla da nascondere”, gli risponde.

Quindi, l’agente arriva al dunque: “Lei è qui per richiesta delle autorità Usa. Sa che dopo l’11 settembre gli Stati Uniti hanno incrementato molto il lavoro di collaborazione”. Dietro al giornalista c’è un uomo, in piedi, che nel bel mezzo delle varie e scontate domande che gli pone l’agente, ne fa una, a brucia pelo: “E’ cattolico?”. Ospina gli risponde di no, e aggiunge “ma nemmeno musulmano, sapendo – spiega – che questo credo per certe parti politiche si è ormai convertito in elemento molto pericoloso”.

Poi continua: “Alla domanda se so usare armi gli rispondo che l’unica volta che ne ho usata una era un fucile da caccia quando ero giovane. La mia unica arma è lo scrivere, specialmente per denunciare al governo coloro che per me sono terroristi, gli dico. Si guardano e l’uomo che è seduto di fronte a me mi dice: ‘questa arma a volte è peggiore di bombe e fucili’. Ma io già lo so. Mi chiedono spiegazioni del perché avrei proseguito per il Nicaragua il giorno dopo e ribatto che devo realizzare un reportage per le Monde Diplomatique”.

Gli fanno qualche domanda sulla sua famiglia e l’interrogatorio della polizia messicana si chiude lì. “E’ quasi una chiacchierata. Le annotazioni sul mio conto non riempiono una pagina”, precisa. Oltre a coloro che lo interrogano, prende appunti anche un altro uomo “che mi sembra lavori per una sezione d’intelligence più specializzata. Tutti sono comunque molto gentili e corretti. Mi rendono i documenti che hanno prima fotocopiato e ci salutiamo dandoci la mano. Sono le due di notte di domenica 19 aprile. Alle 10.30, senza problemi, mi imbarco per Managua”.

Tutto è finito bene, ma il giornalista colombiano è ancora incredulo: “Mi sembra un sogno con sprazzi da incubo: io colpevole del dirottamento di un 747 dell’Air France per la paura delle autorità Usa. Ma quanto è costato tutto ciò? Solo Air France può saperlo dato che ha dovuto pagare vitto e alloggio alla metà dei passeggeri perché hanno perso la coincidenza. E poi tutta quella gente stanca, i bambini in particolare. E la paura di sapere che tra loro c’era un terrorista. C’è chi ha persino vomitato per il timore”.

Ospina, però, si consola nel ricordare la tranquillità dimostrata dall’equipaggio nei suoi confronti: “Nessuno mi ha considerato colpevole di un delitto”. E quindi si chiede: “Fino a dove arriverà la paranoia delle autorità statunitensi? E perché Air France e le autorità francesi continuano a mantenere il silenzio sull’accaduto?”. La compagnia di bandiera francese si è limitata a confermare il fatto, precisando che l’ordine è arrivato dalla Transportation Security Administration (TSA) Usa.

“Quanto è accaduto – ha commentato Ospina a Telesur – è una violazione della mia professione, del mio diritto alla libertà di espressione, al mio essere giornalista onesto e obiettivo. La stessa lista delle persone pericolose stilata dagli Stati Uniti è una violazione dei diritti umani”.