Abruzzo: modelli di virilità ed economia della ricostruzione

di http://femminismo-a-sud.noblogs.org

Il mio migliore amico è a disagio. Gli sembra assurdo che si continuino a esaltare modelli di virilità. Mi ricorda il nostro ultimo terremoto insieme. Fu bello forte. Lui preso dal panico. Io lucida e razionale. Voleva scapicollarsi dalle scale di un palazzo decisamente inaffidabile, io l’ho fermato e gli ho detto cosa fare, con il sangue freddo che mi viene sempre nei momenti più tragici. Poi tutto è finito, avevamo una via di fuga e sono crollata. Mi tremavano le gambe. La paura si è presa il posto suo. Lui mi ha sorretta. Mi ha aiutata e insieme, gatto incluso, siamo usciti fuori. Nessuna gara tra i sessi, abbiamo entrambi compreso le nostre reciproche fragilità e apprezzato e usato i nostri punti di forza: io funziono meglio nei momenti di kaos e lui gestisce perfettamente le situazioni che poggiano su qualche certezza.

Mi racconta del periodo in cui fece il volontario “obiettore di coscienza” (l’alternativa obbligatoria al militare fino a qualche anno fa) e si ritrovò intruppato con la protezione civile in umbria. Montavano le tende, scaricavano materiale, facevano turni di cucina. Non c’era differenza. Si facevano un culo così tutti quanti. Perciò non capisce perchè vengano incensati gli uomini e non si veda una sola donna a fare quello che sicuramente sta facendo.

A chiederselo è proprio lui che da una vita lotta per prendersi il diritto ad essere un uomo diverso dai modelli machisti che gli hanno imposto. Ha il timore di essere aggredito nuovamente da una cultura che esige da lui di rappresentare tutto quello che non vuole essere. “Rambo, i pompieri dell’11 settembre a new york, john wayne… ma come faccio. Di nuovo questi qui che mi dicono che io sono *sbagliato* e invece quelli che obbediscono agli ordini, stanno negli eserciti e ammazzano le persone nella guerra sarebbero temerari, impavidi, quelli *giusti*. No. Non mi interessa. Io da grande volevo fare il Massimo Troisi e pure quello mi sembra faticoso…”

Dell’umbria si ricorda che le donne erano tutto meno che vittime passive. Anzi spesso erano quelle che davano coraggio e forza ad anziani, mariti e figli. Si muovevano in quella situazione come se avessero sempre vissuto da terremotate. Tanta grinta e molto buon senso (come la dottoressa dell’ospedale che ieri ha messo in difficoltà schifani rovinandogli la passerella). “Un po’ come sei tu” – dice provando a lusingarmi. “Ma nessuno ti delega niente e io non mi sento minacciato, non ti preoccupare…” – sorride e previene una mia reazione.

Riassumendo: c’e’ chi si sta dando un gran da fare per riaffermare una cultura paternalista e autoritaria nel nostro paese. Tant’e’ che non si vuole riconoscere agli immigrati (di qualunque sesso) il ruolo di vittime del terremoto (semmai di sciacalli, quel ruolo gli calza sempre bene). E non si parla di immigrati che hanno scavato e salvato qualcuno. Le donne e gli immigrati non possono dunque essere eletti a modello positivo, soggetto attivo della società.

La ministra delle pari opportunità l’abbiamo vista curare occasionalmente l’animazione dei bambini e il premier è andato a recuperare l’immagine di uomo forte. Gli immigrati non trovano posto in nessun caso. Tirare fuori una storia (per esempio) di un pompiere nero, romeno o gay che salva qualcuno sarebbe stato dirompente. La Russa si sarebbe rotolato su se stesso per controllare che i microgrammi di testosterone che possiede fossero ancora tutti lì.

Durante la trasmissione Annozero abbiamo visto Giordano, direttore de Il Giornale si affaticava a difendere “gli angeli”. D’altro canto la stampa di centro destra ha fatto così tanta fatica per costruire la figura del volontario bello e impossibile e che non deve chiedere mai. Persone che “hanno rischiato la vita”. Siamo ai piani alti vicini a Dio. Nominarli invano è come bestemmiare.

La verità però è un’altra. E’ più comodo ricondurre la critica – rivolta alla cattiva organizzazione e all’assenza di coordinamento tra i vari pezzi della protezione civile – ai volontari che non alla testa del gruppo.

Perchè è questo che si è detto ad annozero e anche in molti altri spazi di discussione. E’ il coordinamento che manca. E’ il coordinamento che non funziona. E’ l’assenza di coordinamento che manda tutto nel pallone. E’ l’accentramento senza responsabilità periferiche che rende scoperte tante zone dove la gente continua a dormire all’aria aperta e a non sapere come fare. Rendersi inattaccabili, stimolare sensi di colpa, investire sull’immagine del volontario forte e coraggioso, l’eroe senza macchia e senza paura, significa relegare la critica, il diritto di controllo su come saranno spesi i soldi, nella nicchia delle “polemiche” sterili, delle “critiche ingiuste”, immeritate, quindi denigrabili nel momento stesso in cui vengono fatte. Non c’e’ modo migliore di censurare la critica a priori che quello di battere sul senso di colpa e sulla molla della rinoscenza verso i giovani eroi.

Perciò parliamo del fatto che si impedisce la critica alla protezione civile per inibire la critica alle modalità di ricostruzione e di utilizzo delle risorse economiche da ora in poi. Parliamo del modello autoritario a gestione monocratica. Parliamo di Bertolaso. Parliamo del fatto che la protezione civile avrà a che fare con il g8, che dunque si dedica all’organizzazione di happening culturali e circhi mediatici al servizio di berlusconi. A Bertolaso è stato dato potere su tutto. E’ lui che dovrebbe coordinare e gestire i primi 30 + 70 = 100 milioni di euro per soccorsi e ricostruzione.

I singoli comuni pare che non debbano gestire un euro. Già si parla di ricostruzione non partecipata ma imposta dall’alto. I sindaci di molti paesi si ribellano. A Onna, luogo decisamente trascurato da tutti, si è già costituito il primo comitato di cittadini che vuole partecipare alla ricostruzione. Non vorrebbero nessuna new town. Vorrebbero decidere cosa fare delle loro case e dunque delle loro vite.

L’accentramento già avviene a partire dal controllo sulla solidarietà, dal fatto che non viene ammesso nessun esempio di solidarietà autorganizzata. Tutto deve restare sotto il rigido e militaresco comando della protezione civile a gestione Bertolaso la quale non è in grado di coordinare neppure se stessa.

A chi offre aiuti si dice di convertirli in soldi da dare in gestione alla protezione civile. Tempo fa si diceva “niente soldi ma opere di bene”. Ora si dice “niente opere di bene ma soldi”. Dunque viene spontaneo chiedersi dove finiranno e come saranno spesi.

Innanzitutto la domanda è: come si certifica la solidarietà consegnata ad altri? Qualcuno rilascia una ricevuta? Qualcuno dirà come saranno spesi i soldi donati alla protezione civile per l’abruzzo? Potremo controllare il bilancio? Ci sarà un resoconto trasparente? Da chi saranno gestiti i soldi e come? Proviamo a fare una previsione utilizzando dei paradossi.

Diciamo che i soldi arriveranno tutti in un unico luogo gestiti da un’unica persona che deciderà come spenderli immaginando che i cittadini abruzzesi non sappiano decidere per se’. Anzi, il fatto che abbiano costruito male le proprie strutture, cosa che viene sorprendentemente fatta emergere con forza anche dai membri di questo forte e virilissimo Stato, toglie credibilità a tutti i riferimenti locali e accredita l’idea che dato che non sono in grado di fare bene da soli allora ci dovrà essere il padre, l’adulto, che dall’alto sistemerà tutto per loro.

Questa, che ci crediate o no, sarebbe l’antitesi della democrazia dove le risorse normalmente dovrebbero essere condivise, la gestione decentrata e suddivisa tra poteri diversi che esercitano un controllo reciproco e realizzano varie sovranità territoriali. Come dire: se i poteri abruzzesi hanno sbagliato, questo non da’ a berlusconi
il diritto di annettere l’Abruzzo ad Arcore. Le affermazioni del premier infatti non sono per nulla tranquillizzanti.

Lui ha parlato di ricostruzione divisa per province e del progetto “adotta un monumento” anche per gli stati stranieri. In questo modo L’aquila e dintorni non apparterrebbero più ai cittadini locali ma sarebbero zone in franchising. Si tratterebbe dunque di un progetto di privatizzazione dell’intera città e dei comuni vicini.

Pensate a quello che già accade per restauri di aree monumentali. Le fondazioni o società che “donano” le ristrutturazioni poi diventano responsabili della gestione delle “entrate” dei ticket d’ingresso per turisti in visita e dei punti infoshop con souvenir a prezzi di mercato. Pensate che gli stati uniti potrebbero appaltarsi il restauro di pezzi di centro storico de l’aquila. Chi esigerebbe poi gli introiti di ticket turistici?

Nella dimensione futura post federalista degli enti locali intesi come aziende come potrebbe chiamarsi l’intervento economico della provincia di brescia su quella de l’aquila? Annessione in modalità economica? Partecipazione con diritto agli utili? Scalata azionaria?

Insomma: Dare licenza al mondo di mettere le mani su una intera città per frammentarne le titolarità e i diritti economici non è come svenderla al miglior offerente? E’ questo il destino che ci spetta? Come per il Ponte dello stretto di messina, appalto assegnato a impregilo, franchising tra pubblico e privato e ticket di ingresso al privato che guadagnerà come la società “autostrade”.

Però: pagare pedaggio per attraversare una autostrada o un fantasmagorico ponte è una cosa. Pagare pedaggio per entrare e uscire dalla propria città o – peggio – da aree differenti della propria città (un po’ appartenente alla provincia di brescia, un po’ di lucca, un po’ di agrigento e un po’ del texas) è cosa ben diversa.

E poi: come è possibile dare ampi poteri ad un solo uomo esautorando i poteri locali? Gli aquilani avranno il diritto di decidere dove dovrà sorgere la loro città o no? Questa è la domandona da mille punti!

PS: se vi state chiedendo cosa c’entrano i modelli di virilità con l’economia della ricostruzione sappiate che sono cose connesse tra loro. L’autoritarismo si costruisce a partire dal controllo dei corpi, dalla riassegnazione di ruoli precisi, sessuati, dal recupero dei modelli sociali e culturali che giustificheranno l’attribuzione di incarichi ad un solo uomo. Il ventennio fascista non era poi tanto diverso dal periodo nel quale stiamo vivendo adesso. Con qualche particolarità: fare autarchia in tempo di mercati globali, grandi marchi e circuiti macroeconomici è un meccanismo che può disorientare ma non è poi così differente.

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Abruzzo: prove tecniche di occupazione

Non si erano mai visti tanti militari in città, ci dice una persona che conosciamo. L’aquila è militarizzata. La solidarietà è militarizzata. Il timore dello sciacallaggio a noi non era proprio venuto in mente. Quando dormi in macchina, al freddo e poi tra le tende si pensa a tutto meno che alle cose che non ti servono, coperte, scarpe comode, acqua, cibo, articoli sanitari, mutande. Le cose che chiamano “di valore” (valore perchè e per chi?) interessano a chi si sta facendo propaganda sulla nostra pelle. Abbiamo perso parenti, persone care e case. Qualcuno ci deve dire di chi è la responsabilità.

Invece di mandare militari e di fare a scarica barile devono spiegarci perchè a morire sono sempre e soprattutto i deboli, precari, anziani, immigrati, quelli che fanno fatica ad arrivare a fine mese o che non hanno neppure i soldi per pagarsi un appartamento mentre vanno all’università. Il terremoto mette in evidenza la realtà per quella che è: divisa tra ricchi e poveri.

Perciò non vogliono dirci quanti immigrati sono sepolti sotto le macerie. Non lo sanno e non lo vogliono sapere. Da che eravamo accerchiati da stranieri a che secondo i dati “ufficiali” abbiamo scoperto che l’aquila sarebbe l’unica città interamente colonizzata da italiani che rischia di essere aggredita da sciacalli che “vengono da fuori”. E’ ridicolo e assurdo.

Per quello che riguarda noi sopravvissuti ci hanno ridotto a bambini della 5^ elementare. Da mettere in fila per due, possibilmente con la divisa e il numeretto al braccio per essere identificabili (per il nostro bene, è ovvio). Come fossimo persone non raziocinanti. Ci inseguono, ci vietano, ci ordinano, ci sgridano se vogliamo vedere le nostre case. Ci trattano da “sciacalli” se non abbiamo con noi un documento e vogliamo prendere le nostre cose o dare un’occhiata al nostro quartiere. Loro sarebbero quelli responsabili e noi i cretini e le cretine.

Dopo che ci hanno lasciati morire. Dopo che hanno sminuito e ci hanno detto di non preoccuparci. Ora vogliono comandarci a bacchetta e trasformarci in un popolo piagnone, vittimista, dipendente da loro, sospettoso e delatore. Gli aquilani, gli abruzzesi, non sono così. Siamo gente tranquilla. Non ci verrebbe in mente di chiamare “sciacallo” qualcuno perchè è romeno.

Qui invece c’e’ piombata addosso tutta l’italia, non solo le nostre case. L’italia con le sue contraddizioni, le sue speculazioni politiche e tutte quelle cose orribili che si giocano sulla vita delle persone.

Da giorni insistiamo per dire che tanti immigrati invisibili sono sepolti nel centro storico e a onna. Che ci sono più morti e dispersi di quelli che dichiarano. Che l’idea delle cifre ritoccate serve a fare un lifting all’intera operazione per dire che è tutto un gran successo. Che non c’e’ organizzazione e coordinamento e che tutto funziona male. Nessuno ci sta a sentire. Loro ci hanno usati, continuano a passeggiare con le telecamere delle televisioni al seguito. Le più insopportabili sono le giornaliste che prima di ogni diretta si mettono in un angolo e si rifanno il trucco. Città demolita, tutto distrutto, morti, sangue e ferite e loro devono apparire in forma smagliante mentre intervistano la terremotata con i punti in testa e i capelli senza ritocchi dal parrucchiere. Dovremmo farli pagare per ogni ripresa, per ogni foto ricordo, per ogni operazione pubblicitaria dei politici. Sciacalli, tutti.

Certi giornalisti ci vogliono al naturale e disperati, con le cicatrici in vista. Ci spiano e ci vogliono mansueti. Dobbiamo parlare del dolore in maniera sommessa e ci ricattano perchè sanno che in questo momento non possiamo dire niente. Siamo riconoscenti per ogni bottiglia d’acqua, ogni piatto di pasta, ogni paio di scarpe. E loro sono lì a farti pesare la generosità degli altri perchè la controllano e vogliono essere gli unici a fartela arrivare (se c’e’ il monopolio della solidarietà è più facile dire che va tutto bene). Non c’e’ di peggio che aver bisogno di aiuto e riceverlo da chi ne approfitta per trasformare un diritto in un favore.

I non abruzzesi si sono messi a fare le ronde. Hanno reclutato qualcuno anche tra i disperati. I fanatici trovano sempre il modo di farsi inseguire nei loro deliri soprattutto da persone fragili e impaurite come siamo noi adesso. Questa è diventata una caserma militare. Una zona di esercitazioni. Qui stanno sperimentando frettolosamente la tecnica della paura per imprimere il controllo in un momento in cui tutto è permesso. Questo è quello che avverrà all’italia se il comando sarà dato ad un solo uomo o a più uomini che vogliono amministrare lo stato assieme ai generali e non con i cittadini.

Fino ad ora hanno preso qualcuno con dei soldi che poi si è dimostrato gli appartenevano. Una badante romena e suoi parenti o amici che andavano a recuperare le sue cose dalla casa in cui abitava e assisteva una signora che aveva autorizzato il recupero. Sbattuti in prima pagina, processati per direttissima, rilasciati con tante scuse e la notizia è sparita nel nulla. L’idea degli sciacalli deve comunqu
e continuare a circolare. Soprattutto lo “sciacallo” deve essere identificato in una figura precisa, diversa da politici, pseudo spioni di cronaca vera e commercianti e imprenditori che speculano sui prezzi, altrimenti non potrebbero applicare il reato che stanno inventando apposta per avere un motivo in più per perseguitare immigrati, poveri e non allineati.