ASSUMERSI LA RESPONSABILITÀ DI SBAGLIARE
Confesso la mia debolezza. Mi sono ancora indignato
quando in televisione ho visto in occasione della cerimonia d’apertura
dell’anno giudiziario seduto fra il Presidente della Repubblica e quello
della Camera un prelato, forse il cardinale vicario di Roma o il nunzio
in Italia, non m’intendo del cerimoniale delle apparizioni delle
autorità religiose, civili e militari.
Eppure dovrei essere vaccinato anche perché con il Concordato craxiano
le due autorità, entrambe, sovrane sono impegnate alla reciproca
collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese, e gli
esiti di questa collaborazione sono evidenti nella scuola, nella sanità,
nella gestione del territorio nel prevalere del privato sul pubblico
all’ombra della promozione degli interessi confessionali.
In verità non ho pensato a questo. Ho pensato alle cerimonie che il
prossimo anno dilagheranno nella penisola per celebrare il centocinquant’anni
della formazione di quel Regno nato “scomunicto” per essersi costituito
anche sulle ceneri dello Stato pontificio. Scomunicati furono i molti
cattolici che, non solo non si erano opposti, ma avevano approvato la
privazione del papa del suo stato. Oggi magari i loro nomi vengono
esaltati come precursori, ma allora ad Alessandro Manzoni, che aveva
votato per Roma capitale, fu negata la sepoltura canonica.
Sarebbe potuto succedere anche a De Gasperi che novant’anni dopo si
assunse la responsabilità di rischiare la consegna di Roma ancora una
volta nelle mani dei senza Dio - magari comunisti e non più liberal
massoni – quando si oppose all’alleanza dei democristiani con i
neo-fascisti nelle elezioni amministrative del 1952. Si salvò perché i
tempi erano diversi, ma per un laico cattolico opporsi apertamente al
volere del papa imponeva ancora una buona dose di coraggio per assumersi
la responsabilità di “sbagliare”.
Non sono certo mancati o mancano cattolici “adulti”, noti e meno noti,
ma bisogna riconoscere che oggi di quel senso di responsabilità non ce
n’è molto in giro.
Camuffata da disinteresse per le dinamiche istituzionali intra
ecclesiastiche o ammantata della virtù dell’obbedienza, la
deresponsabilizzazione dei battezzati nei confronti della gestione della
comunità ecclesiale è molto diffusa. Si preferisce lasciarla a quelli
che si considerano “funzionari del sacro” chiamati a gestire una
“tradizione” ridotta troppo spesso ad un’antiquata semplificazione
d’intuizioni profonde, minuziose definizioni, complicate elucubrazioni
del passato. Per la loro formazione culturale trovano difficoltà a
cogliere tempestivamente quanto di nuovo e in modo sempre più accelerato
si elabora o si produce nelle società e nelle culture, nelle quali
l’annuncio deve essere storicizzato, “incarnato”.
E’ necessario sollecitarli a superare tali difficoltà non considerandoli
irrecuperabili perché prigionieri di un’istituzione ormai impenetrabile,
come fa chi se ne sta a distanza, e non circondarli di timore
reverenziale come fa chi nasconde perfino il proprio disagio di fronte
ai loro errori.
Se il Vangelo ci fa liberi, come ricorda il documento di convocazione
del convegno Firenze 2, per essergli fedeli bisogna assumersi la
responsabilità di dire SÌ SÌ NO NO, perché il resto viene dal maligno
che ci vuole schiavi del peccato ... anche di quello di omissione.
Marcello
Vigli
Gruppo di controinformazione ecclesiale - Roma
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