Povertà e giustizia.
Ormai siamo costretti a
vivere consumando.
Magari equamente e
sobriamente, e comunque convinti che il nostro modello di vita sia
giusto.
Ma soprattutto che non possa
essere messo in discussione; trascurando troppo spesso che
“il nostro stato
di benessere dipende direttamente dallo stato di povertà del mondo”
(U. Galimberti)
Il tutto mentre è in atto un
silenzioso omicidio di massa che poco ha da invidiare a genocidi di
infausta memoria.
La povertà di molti, di
troppi bambini, donne e uomini è ormai soprattutto ed esclusivamente
un problema di giustizia.
Giustizia che non può essere
attenuata o peggio contrabbandata con iniziative che stanno
diventando poco più che pannicelli caldi, o peggio ancora con una
solidarietà ormai ridotta al ruolo di sterile testimonianza
d’immagine.
Immagine di un mondo in cui
“una parte guarda alla tv l’altra che muore di fame”
(J.D. Wolfensohn).
La solidarietà deve divenire
condivisione: ciò divisione dei nostri averi iniziando a rinunciare
non solo a ciò che noi riteniamo “superfluo”, e che troppo spesso si
traduce in invasione dei nostri “scarti” nei paesi poveri, col
perverso, ma ben noto, effetto di penalizzare se non addirittura
distruggere le produzioni locali come è stato con le carcasse di
pollo europeo che hanno invaso l’Africa.
Cessando innanzitutto di
appropriarci dei beni di coloro che stiamo affamando, con
imposizioni travestite da accordi bilaterali (la pesca del pesce
sulle coste dell’atlantico in africa occidentale).
Ma soprattutto ripensando
radicalmente il nostro “modello di vita”
Giustizia e Povertà sono le
due facce della stessa medaglia.
Meno giustizia verso i
deboli genera per questi più povertà.
L’equità è stata sopraffatta
dalla solidarietà e i risultati sono sotto gli occhi dei poveri,
raramente sotto i nostri.
Forse – come recita un
recente rapporto Caritas-Zancan – ci stiamo ”rassegnando alla
povertà”.
Non solo a quella fuori
dalla porta che comunque è parte del nostro modello di vita.
Ma sopratutto della povertà
di coloro che il nostro modello e stile di vita – magari sobrio –
non lo condividono affatto, ma anzi lo subiscono.
Un modello di vita – il
nostro - fatto di tante follie come l’abitudine indiscriminata
all’usa e getta che ormai permea tutte le nostre quotidiane attività
dalla più banale in poi, in nome di una maggiore libertà individuale
e di un affrancamento dai ritmi di vita che noi stessi ci imponiamo,
avendo ormai cancellato dalle nostre vite sani e antichi concetti
come autoproduzione /automanutenzione e non solo.
Salvo poi trovarci sommersi
dalle immondizie, che però “i più virtuosi” riescono sempre a
scaricare a casa del povero più vicino.
Modello e stile di vita
fatto di virtualità e di mobilità ai limiti del parossismo, in una
overdose continua di connessioni, informazioni, migrazioni di massa
verso Rimini o Sharm-el-sheik.
La povertà e
prima tra tutte le sua più terribile conseguenza: la fame, non è più
generata dalla scarsità di risorse alimentari, ma da un accaparramento (non solo a
scopi alimentari) da parte di non pochi che possono permettersi
anche il lusso di gettare nei rifiuti fino al 20% di alimenti ancora
consumabili.
Senza trascurare come ormai
il trasporto del cibo – troppo spesso "voluttuario" – che viaggia in
lungo e in largo per il mondo, al solo scopo di consentirci di avere
sulle nostre tavole prodotti “esotici” o di gustare in ogni angolo
della terra prodotti DOC magari equo/solidali; senza vedere che non
è pagando il prezzo giusto per ciò che noi desideriamo, a risolvere
i problemi di produttori dell’altra parte del globo. Di coloro che
si fanno in quattro per noi, ma ai quali in cambio imponiamo modelli
consumistici incompatibili con “i loro modelli e stili di vita”.
Stili di vita – i loro - per
noi inconcepibili: legati ancora (per quanto?) a ritmi naturali,
meno o per nulla forzati da esigenze indotte, ma basati su modelli
di relazioni, scambi e condivisione a volte a noi sconosciuti.
“Abbiamo consentito che
la povertà divenisse “smisurata” perché di fronte allo smisurato la nostra sensibilità si
inceppa. Il troppo grande ci lascia indifferenti, non freddi perché
la freddezza è già un sentimento … il nostro meccanismo di reazione
si arresta quando il fenomeno supera una certa grandezza … ma anche
in questo caso possiamo sempre chiudere gli occhi e mettere a tacere
quel che resta del nostro senso morale”
(U. Galimberti)
A questo punto pensiamo
ancora di essere diversi dal giovane ricco cui Gesù disse:
“Vai,
vendi
ciò che hai dallo ai poveri, poi vieni
e seguimi”
(Lc 18, 22) ?
Massimiliano
Tosato
del gruppo "Ardizzone" di
Bologna
Bologna, 10 maggio
2008
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NOTA:
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