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IN PRIMO PIANO I morti di Torino Angelo, Antonio, Bruno, Giuseppe, Roberto, Rocco, Rosario.
Sono morti per un tragico evento alla Thyssen Krupp mentre lavoravano. La tragicità del fatto non deve farci perdere di vista la gravità del problema delle morti sul lavoro, “… La piaga degli incidenti sul lavoro in Italia ha causato più morti della seconda Guerra del Golfo. Lo studio dell'Eurispes «Infortuni sul lavoro: peggio di una guerra»,, ha calcolato che dall'aprile 2003 all'aprile 2007 i militari della coalizione che hanno perso la vita sono stati 3.520, mentre, dal 2003 al 2006, nel nostro Paese i morti sul lavoro sono stati ben 5.252. Un incidente ogni 15 lavoratori, un morto ogni 8.100 addetti : queste le cifre del fenomeno”. né le cause di queste stragi. Cause a cui non possiamo sentirci estranei. Le colpe dei padroni sono certamente gravissime e determinanti, ma ci sono cause sotterranee forse non meno determinanti alla quali tutti abbiamo dato il nostro contributo. Tra queste c’è anche la monetizzazione di tutto, e in questo caso particolare la monetizzazione dei rischi (inaccettabile pratica purtroppo talvolta agevolata da accordi scellerati) che è la conseguenza della priorità data la “guadagno” a discapito del rispetto della vita e della sua dignità sotto tutti gli aspetti. E chi ne paga le conseguenze sono le fasce lavoratrici più deboli – quasi sempre le meno “acculturate” e perciò meno forti professionalmente – costrette a fare le attività più rischiose. Le loro rivendicazioni non hanno influenza sul nostro regime di vita, per cui a loro non dedichiamo un minuto del nostro tempo o un minimo di solidarietà reale. Non la solidarietà delle firme in calce agli appelli, ma quella che dovrebbe portare tutti i lavoratori a mobilitarsi attivamente per “pretendere” la sicurezza nei luoghi di lavoro. Ma soprattutto per pretendere il rispetto per la vita di ogni lavoratore, per un lavoro dignitoso a cui corrisponda un salario “adegauto”. Senza costringere molti a fare gli straordinari o ad accettare turni “schiavisti” quale unica possibilità per avere di che vivere in modo dignitoso. La nostra solidarietà di lavoratori e di cittadini dovrebbe portarci a porre in atto anche strumenti economici che consentano a tutti coloro che “campano” del lavoro di avere comunque un salario “equo”. E per raggiungere questo obiettivo, oltre alla ovvia pretesa della “massima sicurezza possibile”, tutti dovremmo anche economicamente contribuire a garantire ciò. Utopia? Forse. Ma dobbiamo essere consci che quando le cose vanno per il verso sbagliato è perché ci abbiamo messo anche del nostro. Più di 20 anni fa qualcuno aveva proposto un fondo di solidarietà finanziato e gestito dagli stessi lavoratori “per destinarne le somme accantonate a progetti di investimento in grado di favorire la ripresa”. Purtroppo non se ne fece nulla (anche perché parte degli stessi lavoratori e del sindacato lo osteggiarono). Non voglio però entrare nel merito di quella proposta, ma coglierne il senso profondo. Senza una reale e fattiva solidarietà, le nostre lacrime per questi eventi luttuosi, rischiano di diventare come quelle del coccodrillo. Soprattutto per chi cristiano come noi vuole realmente praticare l’equità e la sobrietà della vita. Voglio chiudere questa faticosa e dolorosa riflessione proponendovi la lettura del testo di una canzone di molti anni fa, che racconta un evento simile a quello di Torino e di tutte la morti sul lavoro. Massimiliano Tosato – Gruppo Ardizzone - Bologna
Una
miniera Le case, le pietre
ed il carbone dipingeva di nero il mondo ma un'alba più nera, mentre il paese si risveglia,
un sordo fragore ferma il respiro di chi è
fuori io non ritornavo, e tu piangevi, e non poteva il mio sorriso togliere il pianto dal tuo bel viso
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