Corporazioni e
libero mercato: la posta in gioco
Il decreto Bersani ha fatto scoppiare un conflitto sociale che sta
dando un inatteso spazio politico alla CdL che stava entrando in
fibrillazione. Ma, sarebbe un errore valutare questo conflitto
all’interno della contrapposizione destra/sinistra, quanto
banalizzarlo e criminalizzarlo come qualche giornale
liberldemocratico sta facendo in questi giorni. Al di là della
contingenza, lo scontro in atto ha una valenza politica di prima
grandezza, ci invita a confrontarci su una grande questione: il
rapporto tra libero mercato e sistema corporativo. I sostenitori
del cosiddetto “libero mercato” accusano le categorie che si sono
ribellate – a partire dai tassisti e dagli avvocati - di voler
mantenere isole di privilegio, rendite parassitarie che danneggiano
il consumatore. Le categorie colpite parlano di “mercato selvaggio”
che porterebbe un danno maggiore dei vantaggi che va sbandierando il
governo. Chi ha ragione? E sono veramente questi i termini della
questione? Per tentare di rispondere dobbiamo fare un passo indietro
per storicizzare la questione e capire verso quale modello di
società vuole andare l’attuale governo di centro-sinistra.
Le corporazioni, infatti, hanno una lunga storia in occidente, e
non solo. Le prime associazioni tra produttori le troviamo già a
cavallo del XII° secolo . Nel 1099 nasce la corporazione dei
tessitori di Magonza, nel 1106 è la volta dei pescivendoli di Worms,
nel 1128 i calzolai di Wurtzburg, nel 1149 i fabbricanti di trapunte
di Colonia, ecc. In Inghilterra sotto il regno di Enrico I°
(1110-1135) nascono diverse craftgilds , che coprono diversi
campi di attività, come del resto qualche anno dopo avviene anche
nell’Italia centro settentrionale (Toscana in primis). Le
corporazioni devono la loro origine – come ci ha insegnato Henri
Perenne nel suo saggio fondamentale “Storia economia e sociale del
Medioevo” – a due fattori: le leggi promulgate dai comuni e
l’associazione volontaria. Le leggi comunali rispondevano
all’interesse dei cittadini-consumatori, l’associazione volontaria
che assunse diversi nomi in Europa (gilde, anse, ecc.) aveva come
obiettivo principale la difesa dei produttori-artigiani. Per un
lungo periodo le due esigenze entrarono in conflitto, ma poi
prevalse una sorta di compromesso che diede alle corporazioni alcune
forme di autonomia, mentre riservava alle autorità municipali la
regolazione generale dei mercati delle città. Scopo fondamentale
delle corporazioni in tutta Europa fu quello di proteggere
l’artigiano non solo dalla concorrenza esterna ma anche da quella
dei suoi colleghi. Fino al secolo XIX in molte città europee la
concorrenza sul prezzo era proibita, era illegale e chi la
praticava subiva delle dure sanzioni. La competizione avveniva sulla
qualità dei prodotti e sulle relazioni sociali, mentre i prezzi
delle merci, i salari ed i profitti, erano soggetti ad una attenta
regolazione e negoziazione da parte delle autorità municipali. Nella
sua monumentale opera sul “Capitalismo moderno”, W. Sombart ha
prodotto una ampia documentazione su queste forme di economia
regolata precapitalistica.
Questo modello sociale saltò con la rivoluzione industriale e
l’ascesa della borghesia mercantile che, come è noto, fu possibile
solo nei paesi ,come l’Inghilterra, che avevano fatto a pezzi queste
norme e regolamenti. La stessa scienza economica nasce con A. Smith
con un obiettivo politico preciso: convincere le classi dirigenti
che il sistema corporativo andava abrogato a vantaggio del libero
mercato. Ma è questo il punto: il free trade è davvero il
migliore sistema di difesa del consumatore e di crescita sociale e
civile? La storia di questi ultimi due secoli ci ha mostrato come il
cosiddetto “libero mercato” è un utile esercizio per gli studenti di
economia, ma nella realtà quello che ha sostituito il sistema delle
corporazioni è un mercato oligopolitisco che ha prodotto un gap
crescente d’informazione tra consumatore e produttore e creato nuove
forme di rendita capitalistica. Anche la concorrenza al ribasso sui
prezzi se ha presentato dei vantaggi per i consumatori non di rado
ha portato ad un abbassamento degli standard qualitativi di beni e
servizi. Il nodo è che, come insegna una vasta letteratura, esiste
un’asimmetria nell’informazione e quindi nei rapporti di potere tra
produttori e consumatori e tra i singoli operatori economici.
Se, per venire alle questioni all’ordine del giorno, avvocati o
tassisti possono farsi liberamente la concorrenza sui prezzi dei
loro servizi, il “libero mercato” non è garantito in quanto non
tutti partono con la stessa dote di capitale umano e finanziario.
Anzi. Chi ha un grande capitale da investire potrà trasformare in
aziende capitalistiche tanto il servizio taxi quanto quello di
assistenza legale (vedi la nascita dei grandi studi associati). Il
consumatore potrà godere di qualche vantaggio sul prezzo del
servizio, mentre sarà difficile che gli vengano garantiti gli stessi
standard qualitativi. Tassisti sottopagati, stressati e con scarse
conoscenze di una grande città, quanto improvvisati avvocati
azzeccagarbugli, sono tra i possibili “effetti collaterali” di un
sistema di “libero mercato” .
D’altra parte, le corporazioni rimaste o sopravvissute al
capitalismo, a partire dai vecchi ordini delle professioni, hanno
scarse possibilità di resistere ai mutamenti in atto. Quello che la
storia ci insegna è che le corporazioni hanno avuto un ruolo
importante e prodotto una buona parte della crescita qualitativa nel
Medioevo e nel Rinascimento grazie all’azione delle autorità
municipali che hanno esercitato un efficace controllo e regolazione.
E sono questi soggetti ancor prima del governo che dovrebbero
impegnarsi a fondo in questa direzione. Già abbiamo visto i guasti
di alcune forme di deregulation come quella sulle licenze
commerciali che ha azzerato i piani commerciali delle città con
effetti negativi tanto sulle forme della concorrenza quanto su un
equilibrato sviluppo urbanistico. Certo, nessuno trova giusto che ci
siano in Italia qualcosa come 5000 notai su quasi 60 milioni di
abitanti. Basterebbe raddoppiarne il numero e togliere a questa
categoria, come ha in parte già fatto il governo, il monopolio su
alcuni servizi. Ma, soprattutto, occorre immaginare e sperimentare
un altro modello sociale che superi la dicotomia corporazioni/libero
mercato e che metta in campo altri soggetti, a partire dalle
autorità municipali e dai comitati di cittadini, per trovare le
nuove forme della regolazione dei mercati che tengano in conto tanto
le esigenze qualitative che quantitative nella produzione di
servizi, a partire dalla dignità dei lavoratori che è la prima
garanzia di un benessere collettivo.
Tonino Perna
(*)
-
Reggio Calabria
(*) Tonino Perna, oltre
che essere un amico delle CdB, è professore di "Sociologia
economica" alla facoltà di Sociologia dell'Università di Messina.
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