La
testimonianza di laicità delle comunità di base
L'incontro delle comunità di base, che vivono sempre al minimo,
costantemente fra essere e non essere, ha ogni volta il sapore
dell'inatteso, si potrebbe dire del miracolo. Ho provato tale
sensazione anche nell’incontro di Frascati ed è su ciò che vorrei
tentare di riflettere in queste pochi righi.
Che il succo del messaggio di cui sono
portatrici le cdb sia proprio “l’inatteso”, il miracolo che si
rinnova nel vivere l'oggi riducendo al minimo obiettivi (alienanti
?) come il durare, il riprodursi, il possedere, il proiettarsi verso
l'eternità e l'onnipotenza?
Che la credibilità delle cdb nei confronti della
laicità stia proprio lì, nel loro stesso essere, prima ancora che
nei messaggi espliciti, nelle parole pronunciate, nei documenti?
Gli psicanalisti ci dicono che il bisogno di vincere l’angoscia
della morte ha davanti a sé due strade: una è la strada della
accettazione gioiosa e tragica insieme della finitezza insita
nell’esistenza; l’altra è la strada dell’ansiosa ricerca di
sconfiggere la morte-nemica fino all’acquisire immortalità.
Il primo percorso è quello che porta ad accettare la provvisorietà e
re-latività di tutto, a vivere con intensità il presente, a non
accumulare, ad accogliere il fluire della storia, a lasciare spazio
a tutto ciò che nasce, a scrutare i segni dei tempi, a costruire
cose piccole, eventi senza pretese, a non attaccarsi agli assoluti.
Possiamo chiamarlo percorso di laicità?
Il secondo percorso è all’opposto quello che porta a costruire
piramidi eterne, a innalzare torri e cupole, a realizzare
istituzioni indefettibili e potenti, a dogmatizzare le proprie
verità come assoluti rivelati da un Dio immaginato onnipotente a
misura dei propri deliri, ad accumulare ricchezze, a vivere con
l’ossessione della sicurezza, ad accogliere la prole non per se
stessa, non come fluire della vita, ma come continuazione del
proprio Io, cioè come immortalità genetica. Potremmo chiamarlo il
percorso della sacralità.
La strada della accettazione della finitezza dell’io porta a
riconoscere l’altro, a fagli spazio, ad accoglierlo, a considerare
la vita un dono di amore verso chi viene (“Nessuno ha amore più
grande di chi dà la vita…”, Giovanni 15). La strada della ricerca di
eternità del proprio io inclina invece di suo ad escludere l’altro,
a considerarlo un rivale se non un nemico, a strumentalizzarlo e
sfruttarlo fino all’ossessione della “mors tua vita mea” che ha la
guerra come corollario inevitabile.
Tutto questo fra parte della storia da sempre. Ora però la
globalizzazione ha esasperato la situazione. Ha reso evidente in
modo sconcertante e angoscioso la limitatezza e la finitezza del
mondo e della vita e al tempo stesso ha estremizzato il bisogno di
onnipotenza e di eternità.
Una tale situazione è insieme sia estremamente pericolosa sia carica
di futuro. Per questo è importante il discernimento delle radici di
violenza insite nelle culture e nelle religioni a cominciare dalle
nostre e insieme la scelta dei segni di nonviolenza che emergono dai
tentativi di percorrere “alterità” di cultura e di fede.
Si può dire, senza presunzioni, che le comunità
di base nel loro stesso essere continuano ad essere realtà
premonitrici?
Enzo
Mazzi
CdB dell'Isolotto - Firenze
13 dicembre 2006
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NOTA:
Ricordiamo che questi interventi rappresentano “punti di vista” non
necessariamente della comunità di appartenenza di chi scrive, tanto
meno del movimento delle CdB, ma punti di vista personali
su argomenti di attualità che ciascuna/o
ritenga di dover proporre in primo piano come oggetto di
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