Le resistenze alla
parzialità maschile a mostrarsi:
Lettura del libro “Sensibilità maschili; punti
di vista sul femminismo e sulla parzialità di genere”
(Il segno dei Gabrielli Editore)
Finita la lettura del libro composto
da 12 interviste fatte da Maria Caterina Cifatte (della CdB Oregina/Genova)
ad altrettante figure maschili italiane, l’ultimo intervistato si
chiede: “…la cultura maschilista regna sovrana anche nelle donne che
conquistano posti di potere: come mai?”. Poi termina il suo discorso
augurando “che la buona novella ci porti al superamento di ogni
forma di patriarcato e alla parità reale tra uomo e donna, in
politica, nella società, nella Chiesa”.
A questo punto, per inquadrare il problema e
dare una possibile risposta alla domanda, mi è venuta in mente una
lezione dedicata al pensiero della differenza sessuale, su cos’è un
pensiero sessuato, tenuta a Roma nel 1987 da Luisa Muraro. Essa
diceva:
“Da questa incapacità del pensiero umano di
conoscersi nella dualità di uomo/donna, viene che la differenza si
vive piuttosto nella forma di una passione…passione anche nel senso
religioso, come quella di Gesù Cristo, e nel senso filosofico per
cui c’è passione quando al corpo capita qualcosa che tocca l’anima e
questa è toccata passivamente. Allora passione della differenza
sessuale vuol dire che a ciascuno di noi capita di essere donna o
uomo a seconda del corpo che ha, per caso, dalla nascita. Di fatto
la passione della differenza sessuale è una passione femminile a
causa del dominio storico del mondo sulle donne per cui l’uomo
può non rendere conto della parzialità sessuata. Invece la
donna non può….Anche la donna emancipata non trova nessun senso
di sé nella società. La società le concede o lei si è conquistata il
diritto di operare liberamente, quindi di non avere un destino
sociale ricalcato sulla sua anatomia. E nient’altro, per cui il suo
essere una donna perde ogni senso. Sarebbe meglio che fosse un uomo.
Sottraendosi al suo destino anatomico, lei entra in una situazione
dove il suo essere donna piuttosto che uomo è irrilevante. Per cui
la sua è una finta libertà. Nella passione della differenza
sessuale, è la cosa per me più straziante: il non senso di essere
nata donna. La disgrazia iniziale si trasforma in una disgrazia
maggiore, la superfluità”.
Per una donna uscire dalla superfluità significa
guadagnare “consapevolezza di sé e della necessità di parlare nella
fedeltà alla propria esperienza, guadagnarla in una forma politica,
in una forma pubblica, in una forma già sociale come era il gruppo
dell’autocoscienza nella storia della politica delle donne: questa è
la via per arrivare alla competenza simbolica, che è un saper stare
al mondo con la capacità di dirne il senso”.
Nella domanda sopradetta e in molte risposte
degli altri intervistati emerge uno sforzo per capirsi e capire la
propria attuale condizione post-patriarcale, ma solo alcuni danno
conto del loro incontro con il pensiero della differenza sessuale e
della costruzione sociale della libertà femminile. Per la
comprensione del problema al fine di una risposta, va precisato che
la costruzione sociale della libertà femminile data con la politica
della differenza, non è quella delle donne che cercano o conquistano
potere attraverso la parità con l’uomo, parità di diritti e di
opportunità, bensì “la generazione di un senso libero di quello che
una donna è e può diventare per se stessa, in relazione con altre e
altri, indipendentemente dalle costruzioni sociali della sua
identità”.
Purtroppo dal libro emerge una visione alquanto
diversificata sulle donne e sul femminismo: c’è chi auspica
l’emancipazione e la liberazione femminile, la parità e le pari
opportunità fra uomo e donna, il matriarcato al posto del
patriarcato e così via, fino alle “donne coraggio”. Tutti questi
auspici nella realtà rimangono solo tali o degli slogan se non ci si
cala nella storia del mondo partendo da sé, con una visione in cui
la propria parzialità entri in relazione consapevole e non più
strumentale con l’altra da sé. Solo alcuni dei 12 intervistati sono
consapevoli dell’esistenza di un pensiero sessuato che li ha portati
a rompere il discorso neutro maschile. La maggioranza fa prevalere
la parità sulla differenza; addirittura c’è chi pensa che in ogni
uomo ci sarebbe anche un po’ di femminile e in ogni donna un po’ di
maschile: “accomodante veduta… con un bel mescolamento dentro e
varie combinazioni fuori e in questo modo la differenza sarebbe
attiva nella società, essendo il femminile fuori dalle definizioni
di vero e giusto, come una riserva fluttuante, il famoso scarto che
serve al pensiero maschile quando deve mettersi in discussione,
quando deve spezzare i suoi stessi schemi”.
Una mia amica, esperta del pensiero Weiliano,
scrive: “Se le donne hanno dunque portato alla luce nel loro
percorso di pratiche e pensieri quello che era sotto gli occhi di
tutti - la struttura patriarcale, il carattere androcentrico di un
modo di pensare, di credere, di vivere e più in generale
dell’universo religioso - in realtà l’evento davvero dirompente è
un senso libero della differenza femminile che ha messo fine
all’unilateralità maschile nel mondo. Si tratta di un evento che ha
eroso il patriarcato, anche se continuiamo a vedere e, chi lo sa per
quanto tempo ancora, gli effetti negativi e devastanti del crollo.
Capisco la difficoltà maschile di guardarsi e
guardare dentro l’erosione e il crollo sociale della cultura
patriarcale: si tratta di attraversare se stessi con lo sguardo che
mette in discussione il pensiero di una cultura androcentrica e di
rompere con una visione paritaria uomo-donna, non realizzabile dato
l’irriducibilità dell’essere femminile. Più difficile ancora per
coloro che hanno ricevuto una formazione clericale. Nel libro, un
intervistato che ha ricevuto tale formazione, riferisce di essere
riuscito a spogliarsi della misoginia e senso di superiorità insiti
nell’educazione clericale che ha ricevuto in seminario. Egli
riferisce che dopo aver lasciato il seminario, successivamente
passato alla militanza sindacale, le donne erano e sono parte
dell’elenco dei problemi da affrontare, insieme ai giovani, ai
disoccupati, ai meridionali.. Infine precisa che “questa pratica del
potere, di origine pressoché divina perché esercitato a tutela degli
ultimi, degli sfruttati, dei ceti più deboli ecc., nel gioco della
mediazione con il potere delle diverse controparti, ci ha sempre
resi ciechi di fronte al fatto che il problema più grosso eravamo e
siamo noi uomini, per noi e per l’insieme del mondo”.
Forse a questo punto è bene sapere che
l’esperienza dell’amico suddetto, da alcuni anni è stata rotta dalla
militanza sindacale di molte donne che portano avanti la politica
del pensiero della differenza sessuale sul lavoro.
In alcune risposte date da preti o ex preti, c’è
la richiesta di “un riconoscimento paritario di diritti e di compiti
entro la Chiesa” perché ( specifica uno) “Non c’è maschio né
femmina, perché tutti voi siete una cosa sola in Cristo Gesù” (Gal.3,28).
Personalmente mi auguro che in questa
prospettiva non si mettano in gioco spazi di potere clericale o la
parità/uguaglianza maschio femmina, come sogno di un grande neutro
che coinvolga entrambi. Nel collegamento delle donne CdB, le
comunità cristiane di base, di cui faccio parte, insieme a diversi
altri gruppi di donne, cerchiamo di esprimere una relazione col
divino che parta da noi stesse. I nostri incontri nazionali sono una
ricerca di linguaggio e rituali per poter esprimere il nostro
desiderio di trascendenza, attraverso la lettura della Bibbia e
altri testi, spesso suggeriti da donne, teologhe cattoliche o
protestanti, filosofe, politiche ecc. Questa nostra pratica si è
resa necessaria per rompere con la cultura clericale, ufficiale o di
protesta, di cui ancora si subisce il dominio. Non vogliamo
realizzare un neo separatismo, ma fare un lavoro per sgombrare la
mente dalla soggezione al simbolico neutro maschile dell’UNO, dove
le espressioni rivolte al divino, cioè Dio, stanno al posto del DUE,
il maschile e il femminile.
Tuttavia molte di noi riconoscono l’importanza
che ebbe il movimento femminista separatista degli anni ’70 il quale
fece uno spostamento necessario di distacco dalla cultura e dal
linguaggio neutro maschile, sancendo con quel gesto coraggioso la
fine del patriarcato come principio, liberando la potenza
simbolica della figura materna.
Mostrando la forza simbolica della figura
materna anche il principio di laicità può assumere i connotati di un
nuovo paradigma culturale. Da quel momento nella Chiesa e nella
società non si può più parlare di “contributo delle donne” ad una
visione etica maschile delle cose, dove in gioco sono la conquista
di spazi di potere o l’uguaglianza uomo donna. Si tratta invece di
sottrarsi ad una politica di parità che la maggioranza femminile non
sente propria perché schiaccia la libertà femminile del partire da
sé; guardare all’esperienza della differenza femminile come politica
pubblica che trae ispirazione dalla parzialità di genere per
realizzare un reale confronto fra uomini e donne, capace di disfare
l’attuale assetto dei poteri. Disfare potere non per sostituirlo con
il matriarcato o altri piccoli poteri suddivisi fra uomini e donne,
ma per ripensare i “concetti basilari di comunità” e costruire una
nuova civiltà.
Casimira Furlani (detta Mira),
Isolotto
Firenze, giugno 2008
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NOTA:
Ricordiamo che questi interventi rappresentano “punti di vista” non
necessariamente della comunità di appartenenza di chi scrive, tanto
meno del movimento delle CdB, ma punti di vista personali
dall’interno delle comunità su argomenti di attualità che ciascuna/o
ritenga di dover proporre in primo piano come oggetto di
riflessione.
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