“In
questo tutti riconosceranno che siete miei discepoli, se avrete
amore gli uni verso gli altri”.
Nei testi di credenti “non integrati nel
sistema” non è raro imbattersi in violente invettive contro il
Vaticano o la gerarchia o anche contro altri “credenti non
integrati” colpevoli forse di non condividere in tutto le medesime
opzioni o scelte. E’ acrimonia comprensibile in quanto scaturisce
spesso da sofferenze e ferite non rimarginate e tuttora sanguinanti.
Ciò non toglie che suoni poco coerente con il messaggio e la Persona
nella quale ci riconosciamo tutti, al di là delle (legittime e
doverose) differenze.
L’abitudine a identificare e attaccare nemici, a
ritenerci “noi contro loro”, a non concedere a “quegli infami”
neppure l’attenuante del dubbio, della buona fede, mi pare un
marchio forse comprensibile per i movimenti “antagonisti” ma
stranamente tipico anche di tanto nostro cristianesimo
contemporaneo. Questo si legge spesso nei documenti e pronunciamenti
vaticani (tra le righe, mai nelle affermazioni esplicite) e però
anche negli scambi tra di noi “Chiesa pura” (e qui spesso non solo
tra le righe).
E’ giusto farmi notare che Gesù non ha
sicuramente avuto parole tenere o accondiscendenti nei confronti dei
farisei e dottori della legge, né è stato cortese verso i venditori
del tempio. E però qualcosa continua a non tornarmi.
Ho sempre ritenuto illuminante di un
atteggiamento cristiano i racconti di Padre Brown, di Chesterton.
Non perché il detective fosse un prete, né perché il suo fine fosse
in ultimo la confessione del malvivente. Ma perché, un po’ prima e
molto più in profondità, il Padre Brown di Chesterton cercava di
comprendere non chi fosse l’autore di delitti o come fare a
incastrarlo o a convincerlo del male fatto, bensì il motivo per cui
lo aveva fatto. Mi pare un atteggiamento profondamente umano e,
quindi, cristiano (o, se preferite, profondamente cristiano e,
quindi, umano).
“Uomini d’Israele, badate bene a ciò che state
per fare a questi uomini. Poiché un po’ di tempo fa sorse Teuda, che
diceva di essere qualcuno; accanto a lui si raccolsero circa
quattrocento uomini; ma egli fu ucciso, e tutti coloro che l’avevano
seguito furono dispersi. Dopo di lui, al tempo del censimento, sorse
Giuda il Galileo che trascinò dietro a sé molta gente; anch’egli
perì, e tutti coloro che lo seguirono furono dispersi. Ora dunque io
vi dico state alla larga da questi uomini e lasciateli stare, perché
se questo progetto o quest’opera è dagli uomini sarà distrutta, ma
se è da Dio, voi non la potete distruggere, perché vi trovereste a
combattere contro Dio stesso!” (At 5,35-39).
Io non so distinguere quali opere vengano con
certezza da Dio e quali solo dagli uomini, ma mi pare che un segno
della presenza di Dio sia quello dell’amore autentico verso tutti
gli uomini. Un amore che indubbiamente si fa più tenero, attento e
anche capace di posizioni dure quando si fa accanto a emarginati,
indifesi, esclusi. Ma che non si ferma per principio di fronte a
nessuno.
Almeno a parole, Levada si dice comunque
fratello in Cristo di Sobrino. Io fatico di più a dirmi fratello in
Cristo di Ratzinger. Almeno a parole, Levada è più in sintonia con
Cristo di me.
In fondo, nei vangeli non si propone mai alcun
criterio di “appartenenza formale” al movimento di Gesù, se non in
Gv 13,35:
“In questo tutti riconosceranno che siete miei
discepoli, se avrete amore gli uni verso gli altri”.
Angelo Fracchia
di "Noi Siamo Chiesa"
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NOTA:
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necessariamente della comunità di appartenenza di chi scrive, tanto
meno del movimento delle CdB, ma punti di vista personali
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