L'oggi di Dio nella
storia dell'umanità
La comunità cristiana di base di Gorizia ha riflettuto sui Vangeli
delle domeniche di settembre cercando di vivere le modalità
dell'incarnazione di Dio nella storia dell'uomo di oggi.
Siamo stati educati a cercare il cielo, il Regno di Dio, oltre la
terra, in un dopo, in un fuori dal mondo. Da qui è stata usata la
Parola di Dio come consolazione per chi soffre ingiustizie in questo
mondo; la felicità, la beatitudine l'avrebbe vissuta dopo la morte,
in cielo.
Quale volto di Dio incontra l'uomo d'oggi? Quale immagine del
fratello viene vissuta e sperimentata? Con la separazione tra terra
e cielo si è creata una coscienza, nel nostro vivere sociale, dove
tutto deve funzionare a nostro interesse come se Dio non si
occupasse delle cose umane; da qui le ingiustizie, le povertà, le
guerre, ecc. Chi rompe l'equilibrio dell'interesse e della sicurezza
personale deve pagare. Ed in questi giorni il Dipartimento per
l'Amministrazione Penitenziaria comunica: "le carceri sono di nuovo
piene dopo l'indulto"; sul nostro territorio gli amministratori
politici chiedono la costruzione di un nuovo carcere; e a Gradisca
d'Isonzo (GO) il CPT si riempie di immigrati in un clima di
violenza.
Ma se ci convinciamo che il disagio, la povertà, l'emigrazione, sono
il risultato di uno sviluppo sociale segnato dall'ingiustizia, dallo
svantaggio nell'accesso alle risorse sociali e culturali, la via
della giustizia, della propria sicurezza e del risarcimento non
passa necessariamente per le porte del carcere dove non ci si
preoccupa della "rieducazione ed reinserimento" come dice l'art. 27
c. 3 della Costituzione italiana ma diventa un lavoro di rete sul
territorio che non può che avere noi tutti, nella diversità dei
ruoli, delle competenze e delle esperienze, come protagonisti.
"Avevo fame e tu ......, ero in carcere e tu ......" (Mt. 25)
La fedeltà al Vangelo chiede a ciascuno di noi di stare dalla parte
dell'uomo, di ogni Lazzaro e, di conseguenza, dalla parte della
giustizia. Finché la Parola di Dio non esce dai luoghi di culto e
non si incarna sugli "assetati di giustizia", finché non trasforma
la vita e la coscienza delle persone nei luoghi della quotidianità e
sofferenza, la Chiesa non fa paura. Deve avere il coraggio di uscire
e di scendere in strada e di non stare alla finestra. Una Chiesa che
non vive la precarietà, la povertà, è una Chiesa che tradisce il suo
stesso mandato: "Beati i poveri ..... beati i perseguitati a causa
della giustizia ........" (Mc 5, 10)
Questo ci hanno insegnato i monaci buddisti della Birmania che in
questi giorni, uscendo dalle pagode e scendendo in strada con la
ciotola vuota in mano, e facendosi microfono di una intera
popolazione martoriata, chiedono al mondo democrazia, dialogo e
giustizia in nome dell'amore che è alla base della visione buddista
della vita sociale.
"Da questo abbiamo conosciuto l'amore di Dio: Egli ha dato la sua
vita per noi e anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli" (1 Gv.
1,16)
L'atteggiamento dei monaci della Birmania di scendere in strada -
quella strada che Gesù ha fatto sua - e fare opposizione utilizzando
gli strumenti della non violenza e del dialogo, è un "segno dei
tempi" da imitare per perseguire quella giustizia e quella legalità
che tutti, a parole, desideriamo.
Per la comunità cristiana di base di Gorizia
don Alberto De Nadai
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NOTA:
Ricordiamo che questi interventi rappresentano “punti di vista” non
necessariamente della comunità di appartenenza di chi scrive, tanto
meno del movimento delle CdB, ma punti di vista personali
dall’interno delle comunità su argomenti di attualità che ciascuna/o
ritenga di dover proporre in primo piano come oggetto di
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