Possibile
senso del “Scioglietelo e lasciatelo andare”
Più volte
in questi ultimi tempi siamo stati sollecitati ad approfondire il senso
della vita e quello della morte di fronte alla condizione, così fragile
ed esposta, delle persone più deboli: le donne oggetto di morte e
violenza sessuale, i bambini e le bambine uccisi/e nella striscia di
Gaza, i/le malati/te terminali, i soldati delle numerose guerre sul
pianeta, ecc...ecc…In ogni caso ci si domanda il perché della condizione
di sofferenza, di dolore ed angoscia e ci si interroga sul nostro
destino, non trovando facili spiegazioni.
La visione
di un divino alternativo a quello imposto da millenni di cultura
religiosa patriarcale, un divino che abbia affinità con l’umano (di
uomini e di donne), e con il creato (dei mondi vegetale minerale e
animale), un divino che stia dalla parte dell’universo dagli incerti
confini, un divino che sciolga i lacci e lacciuoli, che ammetta e
contempli nel suo esistere le molteplici forme di vita e forme
di morte, che abbia anche i suoi limiti, le sue ombre e le sue luci,
ebbene, questo divino forse ci può aiutare a vivere meglio.
In questo modello l’affinità tra Dio/Dea
e il suo mondo può essere una chiave di lettura utile; il mondo intero,
compresi noi umani, siamo il corpo di Dio/Dea. In questo senso non
viviamo e non moriamo invano: possiamo sconfiggere la logica della
dominanza per far prevalere la condivisione della gioia e del dolore,
possiamo recuperare il rapporto con i nostri corpi e far prevalere il
piacere superando la sofferenza e la morte sacrificale, possiamo dare
valore alle diverse espressioni umane, sostenendo, da un lato, con
solidarietà le donne e la loro condizione di maternità e di fragilità,
ed appoggiando, dall’altro lato, con com-passione gli uomini nella loro
corporeità troppo spesso usata solo come forza brutale.
In poche
parole inserire le nostre vite nel processo continuo e positivo della
creazione per concepire noi ed il mondo come frutto di un rapporto
d’amore: ed anche quando ci raggiunge una disgrazia o la morte,
considerarle in un disegno di circolarità più ampia dei nostri confini e
motivarle come strettamente connesse e dipendenti dalla stessa vita
dell’intero creato. Attenzione ciò non significa essere passivi di
fronte alle diversità delle morti: il divino genitoriale e materno a cui
mi riferisco è anche e soprattutto un divino che opera nella giustizia.
Infatti un conto è procurare la morte violenta dei miei simili, non ci
sono giustificazioni a riguardo, vale la giustizia ed anche la scelta
della nonviolenza; un conto è accettare la morte di un malato
terminale irrimediabilmente destinato a morte certa, ed accompagnarlo
verso la minor sofferenza possibile, questa è anch’essa scelta di vita
e di nonviolenza.
Purtroppo
atteggiamenti fondamentalisti delle gerarchie ecclesiastiche cattoliche,
non ci aiutano in questo percorso positivo ed attivo. Ma come mai le
gerarchie maschili richiamano l’attenzione verso i corpi malati e in
fase terminale mentre non si sono mai curate e non si curano
abitualmente del valore del corpo ed in particolare del corpo femminile?
Perché continuano a richiederci sacrifici e
dolore e non sono capaci di scoprire le loro complicità con la cultura
della violenza e della morte, e denunciare che proprio gli insegnamenti
ecclesiastici nei secoli sono stati la negazione delle diverse forme di
vitalità e l’esaltazione miope e strumentale delle forme di repressione
e castigazione dei corpi?
Perché essi vogliono ancora una volta il
sacrificio in luogo della libertà di morire come e quando si vuole,
libertà strettamente connessa alla gioia di vivere pienamente il proprio
corpo?
Penso che
sia molto utile per tutte e tutti, esercitando una analisi critica della
parola nella rilettura comunitaria e/o di gruppo, andare a ri-scoprire
l’importanza della resurrezione come nuovo modello di liberazione dei
corpi, e di sintonia con il mondo e con il creato. Marta di Betania
disse: “Signore se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe
morto, ma anche ora io so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la
concederà” e Gesù di Nazareth disse: “Tuo fratello risorgerà” (…)
“Lazzaro vieni fuori” (…) “Scioglietelo e lasciatelo andare”
Ecco mi piace soffermarmi su questo passo
evangelico, come rinnovo dell’atto “battesimale” inteso non come
appartenenza ad una setta ma come scelta consapevole di sintonia con
il mondo: prima l’immersione nel dolore e poi l’emersione alla vita
come atto di risurrezione e di speranza.
Catti Cifatte
Comunità di Oregina - Genova
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NOTA:
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dall’interno delle comunità su argomenti di attualità che ciascuna/o
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