Monsignor
Romero e la teologia della liberazione
Giulio Girardi
Da Adista n 22.2005 Per la Teologia della Liberazione, mons. Romero.
rap-presenta oggi una delle grandi sorgenti di ispirazione. Ma non tutti
conoscono la profonda evoluzione che segnò la sua vita e il suo impegno
pastorale: evoluzione che lo condusse a maturare scelte radicalmente
nuove. Più che di una evoluzione, si tratta di una repentina
illuminazione, che lo sconvolse, quando il suo amico, il padre Rutilio
Grande e due contadini con lui, morirono assassinati sulla via di
Aguilares, il 12 marzo del 1977. La via di Aguilares fu per lui come la
via di Damasco per San Paolo, una rottura radicale con il suo passato.
Essa segnò la sua conversione e divise in due parti la sua vita, due
periodi contrassegnati da due concezioni della vita, del sacerdozio, del
cristianesimo. Era stato nominato vescovo di San Salvador e preferito a
mons. Rivera y Damas, dietro pressioni della oligarchia, perché
conosciuto come conservatore e legato all'Opus Dei. Essi speravano che
la sua pastorale avrebbe segnato una rottura con quella del suo
predecessore, Luis Chávez y González. La sua nomina destò vive
preoccupazioni nei settori progressisti della diocesi. Egli dissentiva aggressivamente dalla Teologia della
Liberazione, accusandola di orizzontalismo, razionalismo, marxismo e
considerandola una deviazione "politica" della missione della
Chiesa. Per questo egli era ostile ai gesuiti, per esempio a Jon
Sobrino, criticava la loro cristologia, che, diceva, conduce alla
rivoluzione e all'odio di classe; era ostile ai sacerdoti che ispiravano
la loro pastorale alla Conferenza episcopale di Medellín . Dissentiva
per queste ragioni anche dalla pastorale del suo amico p. Rutilio
Grande, che pure stimava personal-mente, tanto che era per lui un
problema. Si adoperò, con gli altri vescovi, perché i gesuiti fossero
allontanati dalla direzione del seminario. Accettava le novità del
Concilio e di Medellín, ma le interpretava in chiave conservatrice,
ossia rifiutandole. Conservatore in teologia, lo era anche in politica. Avallò,
con gli altri vescovi, la militarizzazione dell'università, considerata
un luogo di sovversione, e la conseguente repressione Di passaggio a Cuernavaca, evitò di visitare mons. Méndez
Arceo, considerato un "vescovo rosso". L'assassinio del p. Rutilio e dei due contadini lo
sconvolse. Essa sciolse ai suoi occhi la "contraddizione" del
p. Rutilio, attestando la validità della sua pastorale e la coerenza
della sua vita. Egli vide in lui un martire. Così la scelta dei poveri, nucleo della pastorale di
Rutilio, divenne la sua.. Sono i poveri che lo evangelizzano, che lo
convertono. Sono essi che lo "manipolano", come dicono i suoi
detrattori. Il loro punto di vista diventa il suo. Egli è consapevole
del cambiamento che questo punto di vista opera in lui. Parlando di una
signora dell' Opus Dei, come anche del segretario della nunziatura, egli
commenta: "non capiscono come io non capivo". Del suo passato, egli chiede perdono a una comunità di
base, e anche al rettore del seminario. Ne è pentito. Questa nuova scelta cambia per lui il senso di tutte le
cose. I poveri sono il Cristo nella storia, il Cristo crocifisso. Per fedeltà ai poveri, egli deve affrontare l'ostilità e
l'incomprensione della oligarchia, del governo, dell'esercito, della
maggioranza dei vescovi (ad eccezione solo di Rivera y Damas), dei
dicasteri romani (in particolare del card. Baggio), della nunziatura.
Tra i vescovi, mons. Aparicio e il cardinale Casariego lo giudicano un
irresponsabile, che mette a rischio la Chiesa con la sua ostilità al
governo ed all'esercito La sua radio emittente viene distrutta, per
tacitare la sua parola. La scelta dei poveri cambia la sua concezione della Chiesa,
identificata appunto con i poveri e giustamente chiamata, egli
dice,"chiesa popolare". Essa relativizza il senso della istituzione e del diritto
canonico. Essa cambia il senso dell'identità cristiana, definita non
più dall'appartenenza all'istituzione ma dall'identificazione con i
poveri. Essa cambia il senso della missione sacerdotale ed
episcopale che diventa quella di "andare raccogliendo i cadaveri e
tutto ciò che produce la persecuzione della Chiesa"; diventa
quella di restituire la speranza ai poveri. Essa cambia la sua esperienza di Dio, che diventa il Dio
dei poveri; il senso della gloria di Dio diventa la vita del povero
(gloria Dei vivens pauper). Essa cambia le sue scelte politiche, individuando nel
popolo il criterio di valutazione dei partiti politici. Essa cambia il suo rapporto con la curia romana e la
nunziatura, che diventa più libero ed autonomo. Essa cambia il senso dell'autorità che diventa
testimo-nianza di coerenza; e che ispira una continua consultazione del
popolo e quindi la fedeltà al punto di vista del popolo. Essa cambia il senso della messa, che, celebrata con i
poveri, cessa di essere un dovere giuridico e diventa la presenza di
Cristo crocifisso e sanguinante e il sacramento della comunione con i
poveri. Essa rinnova il senso dell'amore, scoprendo la sua
dimensione politica e con essa una nuova concezione del martirio. Essa rinnova infine il senso della risurrezione, che cessa
di essere una prospettiva individuale e diventa la forma definitiva di
identificazione con il popolo: "se mi uccidono risorgerò nel
popolo". Così la Teologia della Liberazione cessa di essere una
nuova dottrina e diventa una nuova e sconvolgente esperienza di vita.
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