Da
Il manifesto 1), Tempi di fraternità, 2) Confronti 3)
1)
Se l’eucarestia è partecipazione
Intesa come rispetto del volere di Dio l’eucarestia, così come
la democrazia, si presta però anche ad una nuova lettura che partendo dal basso
porti ad una riassunzione del potere sia in termini ecclesiastici che politici
A chi può mai venire in mente di avvicinare democrazia ed
eucaristia? La democrazia è il governo del “demos”, il popolo, l’eucaristia è
sottomissione al governo di Dio. Sono agli antipodi. Questo è il sentire assai
comune nell’epoca della secolarizzazione. La democrazia si occupa della
salvezza e dannazione dei corpi, l’eucaristia della salvezza e dannazione delle
anime. Ognuna delle due deve stare rigorosamente al suo posto. Ma è proprio
vero che la democrazia è il governo del popolo e l’eucaristia il governo di
Dio? Forse siamo tutti vittime di un grande storico imbroglio.
Guardatela questa democrazia. E’ malata. La guerra in
corso in Iraq sembra averle dato il colpo finale. Sono state rispettate tutte
le regole formali della democrazia, così ci dicono perfino alcuni politici di
sinistra per i quali questa guerra è “sbagliata ma non illegittima”. E’
visibilmente cresciuta però la divaricazione fra governanti e governati. E’
diventata una voragine. Ci dicono quello che vogliono e fanno quel che gli
pare. “Il popolo inglese crede di essere libero; si inganna, non lo è che
durante l’elezione dei membri del Parlamento, non appena questi sono stati
eletti, esso diventa schiavo, non è più nulla”: lo diceva Rousseau e ce lo
ricorda oggi Stefano Rodotà che parla della necessità di fermare il degrado che
sta trasformando la democrazia in “uno sport per spettatori”. Con l’intermezzo
di Trilussa che nel ’22 scriveva il famoso e contestato sonetto su L’elezzione
der Presidente, in cui mette in bocca al somaro travestito da leone, e con
questo imbroglio eletto presidente da tutti gli animali, la sentenza di morte
della democrazia: “Ho piato possesso e nu’ la pianto nemmeno se morite
d’accidente. Peggio pe’ voi che me ciavete messo! Silenzio e rispettate er
Presidente!”.
La democrazia d’investitura è dunque problema antico; ma
ora il processo di decisione ha strumenti talmente sofisticati da escludere
anche il barlume della partecipazione e del controllo popolare e chi tiene le
leve del governo, sia pure per investitura democratica, ha un tale potere da
incenerire il mondo, mandare all’inferno della disperazione per indigenza
miliardi di persone, ferire in maniera irreversibile il pianeta, condizionare
l’informazione in modo da imporre la “libera” scelta della competizione
generalizzata e il culto del danaro. E siamo all’emergenza democratica, in
Italia e nel mondo.
E l’eucaristia? La sua malattia è ormai cronica. Ridotta
già da molto tempo a una manifestazione quasi magica del potere sacro del
ministro ordinato. Macché governo di Dio! L’eucaristia è l’espressione
emblematica del governo assolutista della casta del clero. E non è malato solo
il rito per eccellenza della Chiesa cattolica. Tutte le religioni muoiono per
l’invadenza del clero, comunque si chiami o si vesta, e per l’assenza di
partecipazione. Sopravvivono come agenzie di assicurazione sulla vita eterna e
come centrali di fanatismo integralista. E con le religioni muore una
dimensione non secondaria della esistenza umana. Anche su questo versante siamo
all’emergenza.
Ma siamo anche al bisogno di tante persone di incurvarsi
tutti insieme in un grande sforzo per salvare la democrazia e per salvare la
eucaristia. E’ la riappropriazione della democrazia e la riappropriazione della
eucaristia dal basso.
Il popolo del “nuovo mondo possibile” conosce bene un tale
grandioso processo storico. Ma non sempre si ha la consapevolezza piena della
sua articolazione. Tutti gli ambiti del convivere infatti ne sono investiti. Ed
è importante che siano investiti proprio tutti, nessuno escluso, perché il
cancro che viene sradicato da una parte o anche da molte parti importanti
dell’organismo sociale non rientri attraverso qualche metastasi periferica.
Prendiamo ad esempio l’ambito della religione, qualunque
essa sia, delle simbologie religiose e delle chiese. Che ha a che fare tutto
ciò con la riappropriazione dal basso della democrazia? Il problema delle
religioni e delle chiese non scalda il cuore del Movimento. Intendiamoci, non
voglio essere frainteso. Non ritengo affatto che tutti debbano impegnarsi in
ambito religioso. Saremmo all’integralismo. Sarebbe un disastro. Dico invece
che l’ambito religioso, per chi ci vive e opera, deve essere anch’esso
investito al suo interno dal processo di riappropriazione della democraticità
dal basso. E tale processo deve trovare sostegno e stimolo nell’intero
Movimento. E’ proprio questo che stenta a farsi strada. Le comunità cristiane
di base sentono e vivono da sempre un tale problema. Nella esperienza delle
comunità di base è fondamentale la riappropriazione della eucarestia come segno
di condivisione aperta, senza gerarchie e senza confini. Come lo era per Gesù e
per le comunità da cui sono nati i Vangeli. Quando eucaristia voleva dire
coinvolgere nella convivialità e nella spartizione simbolica del pane e del
vino tutta la esistenza umana: anima, relazioni, memoria e progetti di nuova società,
corpo e sangue, rapporto col divino dentro la vita. Nel profondo della storia,
non illuminato dagli annali, questo senso e valore sacro perché umano e sociale
dell’eucarestia è stato sempre mantenuto vivo e non è una invenzione dell’oggi.
Sono poco visibili le comunità di base, per scelta e
perché i vari poteri non le amano. Può essere anche un segno di autenticità e
forse di efficacia sotterranea, che è temuta perché penetra e contagia
silenziosamente. Nei giorni 6-8 dicembre esse hanno svolto a Montesilvano-Pescara
un Incontro-convegno sul tema: “Memoria e progetto, condivisione eucaristica e
partecipazione politica fuori dai recinti". In sostanza coniugare la
partecipazione dal basso, con riassunzione di potere, sia nella dimensione
ecclesiale sia in quella politica. La caratteristica dell'incontro è che si è
trattato di un "cantiere aperto". Le comunità di base continuano
nella quotidianità il confronto di esperienze, interrogativi, frustrazioni e
speranze, idee, competenze, progetti, proteso verso chiunque abbia a cuore “un
nuovo mondo possibile”.
Il 20 luglio 2002, nel primo anniversario degli eventi
legati al g8, il festoso corteo composto da oltre centomila persone, si chiuse
in piazza Matteotti ( la scelta non era casuale ) con l’offerta a ciascun/a
partecipante di un bicchiere di vino rosso.
Il comitato piazza Carlo Giuliani, composto da credenti e
non credenti, aveva scelto di compiere di comune accordo questo gesto per la
sua pregnanza simbolica, per la sua dimensione universalistica: il vino come
segno da una parte della potenza brutale, disumana fino all’assassinio che
aveva violentato il corpo di Carlo e quello di molte ragazze e di molti giovani
come di molte altre persone adulte ma dall’altra della disponibilità attuale di
tanti e di tante a mettere in gioco i propri corpi per aprire spazi di
cambiamenti, per disegnare orizzonti di
altri mondi possibili.
La storia delle cdb è
la storia di un cammino teso a rendere attuale per gli uomini e le donne
del nostro tempo il messaggio di Gesù in segni, in gesti, in azioni, in
linguaggi che lo rendano visibile e credibile; segni e linguaggi sottratti alla
clericalizzazione, alla sclerotizzazione, alla patriarcalizzazione, alla mancanza di senso.
Nelle cdb il segno eucaristico è stato quello più
studiato, più dibattuto e più vissuto:
basta riandare al seminario nazionale svoltosi a Catanzaro il 6-7 dicembre del 1981
dal titolo “Eucaristia : liberazione o alienazione” al libro realizzato da
Martino Moranti nel 1988 dal titolo “Eucaristia raccontata- prassi e
riflessioni delle cdb italiane”.
Le domande non
finiscono : le ha riproposto della
Comunità del Cassano di Napoli :
- Nei processi di interazione fra gli uomini, prodotti
anche da una forte mobilità, è possibile ritrovare, pur nel rispetto delle
diversità, segni e linguaggi che consentano di sognare un mondo nuovo di
fratellanza e di giustizia? Pur non rinunciando alle proprie identità è
possibile aprire dialoghi nuovi, parlare linguaggi nuovi, inventare segni nuovi
attingendo al senso profondo dei messaggi?
Interrogativi, questi ed altri, che sono stati al centro del XXVIII incontro
svoltosi dal 6 all’8 dicembre a Montesilvano
di Pescara un forte momento di consapevolezza come era annunciato nel
titolo “MEMORIA E PROGETTO : condivisione eucaristica e partecipazione fuori
dei recinti”.
Oltre duecento persone, provenienti da regioni e città
diverse, singoli/e che per la prima volta si accostavano all’esperienza delle
cdb, membri di gruppi e di comunità che da anni vivono tale esperienza, tutti/e insieme o articolati/e in quattro
laboratori si sono messi/e in gioco condividendo riflessioni e pratiche
relative all’eucaristia.
Abbiamo messo in luce che l’eucaristia, intesa come
condivisione di cibo e rendimento di grazie, è un gesto universale
indipendentemente dagli elementi che vengono utilizzati e che devono essere
legati al contesto socio-economico e culturale della comunità ( pane, riso,
mais, banane o altro ) e che perciò prima di essere il cuore delle chiese
cristiane o delle istituzioni religiose, è il cuore dell’umanità, il cuore del
mondo, di un’umanità che invoca giustizia e pace, di un mondo che esige rispetto
e cura; l’eucaristia può realmente essere vissuta soltanto in un impegno di
liberazione degli uomini e delle donne da ogni forma di oppressione, di
violenza, di ingiustizia, in un impegno a salvare la natura dal processo di
devastazione in atto da troppo tempo. L’eucaristia non è solo metafora e simbolo ma costruzione
anticipatrice di una terra ospitale dove non sia possibile costruire recinti e
dove le differenze ideologiche, confessionali, etniche e di genere non siano
utilizzate per alzare muri, per inoculare paure, per diffondere terrorismo
psicologico e culturale.
In quest’ottica la spiritualità femminista che scopre la
vita stessa come luogo di manifestazione non può non concepire l’eucaristia che
come donazione materna della vita, come spazio e tempo per la creazione che
viene riscoperta nelle relazioni delle donne e degli uomini con gli altri
esseri viventi, in una dimensione sociale e politica tesa al riconoscimento
delle condizioni paritarie .
Nella nostra prassi eucaristica, ha scritto la comunità
Oregina di Genova, il banchetto eucaristico, la frazione del pane, la cena del
Signore è sempre stata aperta a tutti e a tutte: non abbiamo mai chiesto un
pass di natura ideologica, confessionale o di conformità ritualistica; abbiamo
sempre richiesto, con san Paolo, che l’eucaristia fosse un reale segno di
condivisione delle gioie, dei dolori, delle fatiche, della fame di pane , della sete di giustizia . La
comunità “La Porta” di Verona ha scritto che l’assenza di condivisione, di
solidarietà e di giustizia è un’offesa e affronto al Dio della Vita, della
Provvidenza, perché deturpa la persona nella sua dignità umana; come è
possibile ritenere che si celebri l’eucaristia nei campi di guerra attrezzati
ad uccidere, in quelle chiese dove si pratica e si predica il razzismo nei
confronti dei migranti, il servilismo
nei confronti dei potenti ?
“Chiunque mangerà il pane e berrà il calice del Signore
indegnamente, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore” : su
questo aspetto ha richiamato l’attenzione Giovanni Franzoni invitando a vivere
certo l’eucaristia come un banchetto festoso dove si benedice Dio a motivo dei
doni ma anche come giudizio di Dio che ci chiama a spezzare la nostra vita per
la dignità degli uomini e delle donne e per la cura della natura, ridotta a
merce per accumulare profitti.
Ci siamo chiesti se fra eucaristia e democrazia
partecipata ci sia una relazione ed abbiamo risposto di sì. La comunità di
Olbia ha scritto : nella realtà vitale del “questo pane è il mio corpo, questo
vino è il mio sangue, fate questo in memoria di me”( 1C. 11, 20-26 ) ci viene
proposta una vita calata totalmente in mezzo alla gente, in mezzo ad una
umanità che chiede pane e parola, pane e conoscenza, pane e relazioni amorose;
tra “non andate a comprare il pane per tutta questa gente, date voi il pane da
mangiare” ( Mc. 6,30-44 ) e la democrazia delle decisioni fondate non sul
dominio ma sulle relazioni tra pari c’è una relazione inscindibile e alla gerarchia ecclesiastica cattolica
che afferma che la chiesa non è una
democrazia, noi rispondiamo che essa è una comunità che deve pienamente
inverarne la sostanza profonda oltre che le procedure formali, perché essere
battezzati/e, sedere alla mensa del Signore significa esercitare una piena condivisione dei
ministeri, dei carismi e dei beni senza
discriminazione, senza delega alcuna.
Per questo nella chiesa cattolica, nelle chiese cristiane,
nelle religioni nascono nuove esperienze di vita ecclesiale e di vita religiosa
, in collegamento con i nuovi movimenti
di partecipazione democratica. Così,
scrive la Comunità dell’Isolotto di Firenze, si arricchisce il dibattito
sul senso della democrazia, sui suoi valori e limiti, sulla necessità continua
di adeguare le forme ella democrazia agli impulsi profondi che animano i
mutamenti della società e della vita, mutamenti messi in luce anche da alcune
figure esterne al movimento delle cdb nei confonti a più voci tenutisi sabato
pomeriggio e lunedì mattina.
E’ stata sottolineata la necessità che il movimento dei movimenti,
liberandosi da ogni forma di vetero
secolarismo, riconosca la presenza delle religioni e faccia propria la forza positiva proveniente
da quanti vivono nella fede l’impegno a costruire altri mondi possibili.
E’ stato avanzato
il rischio che nel movimento dei movimenti possano ripetersi i vizi delle
organizzazioni sindacali e politiche, quelli del professionismo e della mancata
partecipazione di tutti e di tutte alle decisioni, rischio presente in ogni
comunità anche nelle comunità di base,
in ogni movimento che non sia vigile sulle dinamiche relazionali al
proprio interno e all’esterno.
Tutti d’accordo però che occorre valorizzare, per dirla
con Marco Revelli, la mobilitazione dei comportamenti quotidiani ( le proprie
preferenze di consumo, le opzioni di acquisto delle merci, la selezione dei
luoghi da frequentare e quelli interdetti,ecc…) perché anche dallo stile di vita quotidiano dipendono le
minacce globali come l’effetto serra, il buco nell’ozono, la diffusione del
nucleare civile, ecc…
Non poteva mancare, con la partecipazione della Rete
Nonviolenta dell’Abruzzo, la festa animata da esperti di chitarra, liuto,
tiorba e dalla scuola di percussionisti accompagnati dalla danza , in memoria
della profetessa Maria , sorella di Aronne che cantò e danzò per benedire il
Dio della liberazione che Gesù ci ha rivelato nello spezzare del pane.
3)
Tra eucaristia e politica
Gianni Novelli
Nel dicembre scorso si è tenuto a Montesilvano, vicino
Pescara, il XXVIII incontro nazionale delle Comunità cristiane di base. Al
centro del dibattito il nesso che lega la costruzione di un diverso modo di
essere chiesa e la partecipazione alla lotta per «un altro mondo possibile
Eppur si muove! La
gracile, poco visibile, ma coraggiosa carovana delle comunità di base (Cdb)
italiane, nonostante il silenzio ufficiale della stampa religiosa e laica, ha
dimostrato di essere ancora in cammino, organizzando con successo un suo
appuntamento di riflessione e celebrazione a Montesilvano (Pescara), dal 6
all’8 dicembre 2003. Tema di questo ventottesimo incontro nazionale delle Cdb
era: «Memoria e progetto - Condivisione eucaristica e partecipazione politica
fuori dai recinti».
Sono passati
trentadue anni da quando alcune centinaia di membri delle esperienze di base
cristiane spuntate alla fine degli anni Sessanta si riunirono per la prima
volta a Roma, nell’ottobre 1971, nella Facoltà di Magistero, per discutere su
«Strutture clericali: il Concordato come strumento di potere contro la
liberazione del popolo di Dio, contro l’unità delle masse operaie e contadine,
contro la giustizia nel mondo». Da allora il percorso è stato lungo e ha visto
intrecciarsi i temi della ricerca di un’autenticità religiosa con quelli delle
lotte sociali, pur nel cambiamento di linguaggi e nell’andare-venire dei
partecipanti. Nel 1982 a Catanzaro già si era tenuto un incontro (allora
qualificato come «seminario») su «Eucaristia: ricerca e prassi nelle comunità
di base». La presenza e l’incoraggiamento del vescovo locale, mons. Cantisani,
era stato un fatto particolarmente significativo.
In questo 28°
incontro, per la prima volta le Cdb si sono riunite dopo la morte, avvenuta
nella primavera scorsa, di Ciro Castaldo, il sacerdote napoletano che per più
di venti anni aveva dedicato tutte le sue energie e le sue ricchezze spirituali
e morali alla segreteria tecnica nazionale del movimento. A lui era succeduta
nel servizio di segreteria la sua comunità del Cassano di Napoli. Senza
risorse, senza una sede e senza nessuna persona retribuita, sia in questa che
in altre comunità, sembrava impossibile realizzare ancora incontri nazionali.
La tenacia e la dedizione degli amici abruzzesi, il gran lavoro della
segreteria napoletana e la passione dei componenti delle comunità è riuscita a
costruire un incontro fraterno, riflessivo e festoso. All’appuntamento
abruzzese hanno partecipato oltre trecento donne, uomini e giovani (molti!)
provenienti da ventotto comunità di tutta Italia (una quindicina di
partecipanti venivano da Olbia, qualcuno dalla Svizzera e dalla Francia: tutti
a proprie spese).
Anche questa volta la
sede dell’incontro è stata «fuori dai recinti sacri»: in un albergo. Tema
centrale affrontato durante i tre giorni di lavoro è stato il nesso che lega la
costruzione di un diverso modo di essere chiesa e la partecipazione allo sforzo
di quanti lottano per un altro mondo possibile, ben consapevoli, come ha
evidenziato Giovanni Franzoni nella sua relazione, di non essere soli. La
consapevolezza comune è che ci si trova all’interno di una ricerca vasta sia
nella chiesa cattolica che nel movimento ecumenico. Ai recenti documenti del
magistero ufficiale cattolico che si oppongono a questo cammino, sembra si
risponda sempre più con una disobbedienza di massa.
L’interrogativo di
fondo dell’incontro era se la riscoperta della partecipazione comunitaria ha
fatto riscoprire non solo la sostanza dell’eucaristia, ma pure la possibilità
di portare da questa esperienza un messaggio all’interno del movimento di cui
le comunità si sentono parte sul piano sociale e politico. Il cammino della
comunità di San Paolo a Roma è legato alla difficoltà di rapporti con la
gerarchia del suo presbitero Giovanni Franzoni. La sua riduzione allo stato
laicale l’ha messa in condizione di crescere come comunità celebrando l’eucaristia
come momento centrale: «Ci siamo sempre più allontanati dalla prassi corrente
per necessità e non per scelta polemica. La riflessione sull’eucaristia è
frequente perché si cercano nuovi segni per renderla più partecipata. Si
sottolinea il momento della condivisione e la necessità che il simbolo
dell’eucaristia sia rappresentativo di una realtà vissuta, come lo era nella
vita di Gesù e in particolare nella cena di addio. In questo contesto si
sottolinea il sacerdozio universale di tutti i credenti che si riuniscono e che
insieme recitano anche le parole sul pane e nel vino. La nostra ricerca è
basata sulla Scrittura. Su tale fondamento critichiamo la ricostituzione della
casta sacerdotale e il valore sacrificale della morte di Gesù».
Le donne della
comunità di San Paolo hanno raccontato la loro esperienza (e poi sul tema donne
ed eucaristia si è parlato molto nei gruppi di lavoro) di passaggio dal
silenzio nella celebrazione eucaristica, al silenzio critico e poi alla parola,
soprattutto a partire dal convegno di Brescia del 1988 su «Le scomode figlie di
Eva». Spiega Gabriella Natta: «Da lì è nata l’esigenza di riappropriarsi della
liturgia. Abbiamo cominciato a preparare la celebrazione eucaristica
arricchendola della lettura di genere. Cercando parole e silenzi di donne ma
pure gesti che costruiscano e significhino lotte contro la discriminazione
nella chiesa e nella società. I momenti più belli i convegni nazionali delle
donne, dove non sentiamo la presenza minacciosa di Dio al maschile; spezziamo
il pane ma cerchiamo pure altri segni come l’acqua, l’olio, il profumo. Adesso
si sentono sempre più voci di donne e si parla sempre più di Dio al femminile».
Infine un racconto a
molte voci è stato quello della comunità di Pinerolo: «Eucaristia: memoria
lieta e “pericolosa”». L’istanza comunitaria è fondamentale nella celebrazione
eucaristica: il ritrovarsi insieme, la bellezza delle varie voci, volti e
percorsi (significativa è la presenza anche nelle celebrazioni degli
omosessuali). Anche Franco Barbero, il loro presbitero ridotto alla stato
laicale pochi mesi fa per il suo ministero con gli omosessuali, ha scritto (tra
l’altro): «Come partecipo all’eucaristia della comunità: ne sono avido,
famelico… Per me l’eucaristia è l’esperienza che mi scatena gioia, lode,
dolore, emozione, lacrime. Il mio cuore non può farne a meno. Ho voglia di
portare là la vita “laica”, quotidiana, di tutta la settimana e rituffarmi
nell’amore di Dio, nell’abbraccio caldo delle sorelle e dei fratelli, di
concentrarmi da innamorato nella memoria di Gesù, il nazareno. Lo devo proprio
dire: ho sete, fame, desiderio di questa esperienza che non sfiora mai per me
il precetto, l’abitudine, la ritualità». Don Franco scrive questo mentre
obbedisce, soffrendo immensamente, all’ordine che, nella sinfonia eucaristica
comunitaria, zittisce la sua voce presbiterale.
Da tutti questi
percorsi è apparso evidente che la riscoperta della partecipazione comunitaria
all’eucaristia ha fatto riscoprire la possibilità di portare, anche da questa
esperienza, un messaggio all’interno dell’ampio movimento globale di
costruzione della democrazia di cui le comunità si sentono parte sul piano
sociale e politico, a livello locale e planetario.
Un appello alle
comunità perché modifichino i loro linguaggi eucaristici, rendendoli meno
barocchi e più essenziali, è venuto da Giovanni Franzoni che ha richiesto che
in un’epoca così dura e difficile si trovino parole più pertinenti ed
appropriate. Propone un nuovo lessico eucaristico fatto di parole nuove e
scarne per cercare di identificare l’inedito. Franzoni ha pure sottolineato la
diversità dell’eucaristia da gesti, azioni e parole quotidiane. «Davanti al
pane spezzato, che è segno visibile ed efficace della presenza di un Gesù che
ha dato la sua vita per noi, dobbiamo assumere la determinazione di essere
coerenti con questo segno, se no, come dice Paolo, non è “cena del Signore”.
Finita questa “cena” comunitaria e questo gesto di condivisione, me ne vado
spoglio e nudo di qualsiasi aggiuntiva certezza insieme ai compagni di strada,
che possono essere credenti di un’altra fede religiosa o non credenti, e con
loro faccio le mie scelte. Il giorno che l’azione politica si facesse azione di
potere e si calpestassero i poveri, quel giorno quella cena del Signore diventa
per me condanna».
La sera del 6
dicembre si è svolto un ricco confronto a più voci intitolato «Tempo d’intrecci
e contaminazioni: confronto per una convivialità delle differenze». Enzo Mazzi,
in rappresentanza delle Cdb, Maurizio Acerbo del «movimento dei movimenti»,
Lisa Clark dei «Beati i costruttori di pace» ed Edwige Ricci del movimento
ecologista, coordinati da Roberto Natale, segretario dell’Usigrai (sindacato
dei giornalisti della Rai), hanno intrecciato esperienze ed idee a partire dai rispettivi
percorsi di costruzione di una società più giusta e solidale. Per Mazzi, la
riscoperta della soggettività e partecipazione dal basso è in qualche modo il
messaggio che le Cdb portano all’interno del movimento (o dei movimenti), come
sollecitazione a uscire dai settarismi, dai personalismi, dalle chiusure
ideologiche e dai burocratismi: «L’eucarestia è malata… Il lupo e l’agnello
vanno insieme all’altare a cibarsi della stessa ostia sacra. Ma non è
condivisione. Il lupo non condivide il proprio corpo, il proprio sangue, la
propria vita. Anzi, usa l’eucaristia per candeggiare la propria anima macchiata
dal sangue dell’agnello. E l’agnello non trova nell’eucaristia una spinta per
tendere al proprio riscatto storico. Trova solo uno strumento di sublimazione
del proprio sacrificio con la consolazione del riscatto nella vita eterna…
Tutte le religioni muoiono per l’invadenza del clero, comunque si chiami o si
vesta, e per l’assenza di condivisione, di partecipazione circolare.
Sopravvivono come agenzie di assicurazione sulla vita eterna, tanto per il lupo
quanto per l’agnello, o come centrali di fanatismo integralista. E con le
religioni muore una dimensione non secondaria della esistenza umana».
La seconda giornata
ha visto un fecondo lavoro di gruppo dove particolarmente dibattuto è stato il
tema «Segni e linguaggi religiosi in un mondo globalizzato», seguendo una
traccia preparata dalla comunità del Cassano di Napoli.
L’incontro si è
concluso con un’assemblea generale presieduta da don Barbero a cui hanno
partecipato il pastore valdese Franco Giampiccoli (su «Credenti nel tempo della
globalizzazione»), il professor Paul Abela in rappresentanza delle comunità di
base francesi e Giovanni De Maria (su «Le Cdb nel collegamento europeo»).
Dopo i tre giorni di
sosta, le carovaniere e i carovanieri delle Cdb si sono rimessi in cammino. C’è
in loro molta preoccupazione perché, come diceva Mazzi, l’eucaristia è malata e
anche la democrazia è malata. È però evidente che da queste malattie intendono
far di tutto per uscire. E non da soli.