Da

Il manifesto 1), Tempi di fraternità, 2) Confronti 3)

 

1)

Se l’eucarestia è partecipazione

Enzo Mazzi

Da il manifesto 14.12.2003

Intesa come rispetto del volere di Dio l’eucarestia, così come la democrazia, si presta però anche ad una nuova lettura che partendo dal basso porti ad una riassunzione del potere sia in termini ecclesiastici che politici

 

A chi può mai venire in mente di avvicinare democrazia ed eucaristia? La democrazia è il governo del “demos”, il popolo, l’eucaristia è sottomissione al governo di Dio. Sono agli antipodi. Questo è il sentire assai comune nell’epoca della secolarizzazione. La democrazia si occupa della salvezza e dannazione dei corpi, l’eucaristia della salvezza e dannazione delle anime. Ognuna delle due deve stare rigorosamente al suo posto. Ma è proprio vero che la democrazia è il governo del popolo e l’eucaristia il governo di Dio? Forse siamo tutti vittime di un grande storico imbroglio.

Guardatela questa democrazia. E’ malata. La guerra in corso in Iraq sembra averle dato il colpo finale. Sono state rispettate tutte le regole formali della democrazia, così ci dicono perfino alcuni politici di sinistra per i quali questa guerra è “sbagliata ma non illegittima”. E’ visibilmente cresciuta però la divaricazione fra governanti e governati. E’ diventata una voragine. Ci dicono quello che vogliono e fanno quel che gli pare. “Il popolo inglese crede di essere libero; si inganna, non lo è che durante l’elezione dei membri del Parlamento, non appena questi sono stati eletti, esso diventa schiavo, non è più nulla”: lo diceva Rousseau e ce lo ricorda oggi Stefano Rodotà che parla della necessità di fermare il degrado che sta trasformando la democrazia in “uno sport per spettatori”. Con l’intermezzo di Trilussa che nel ’22 scriveva il famoso e contestato sonetto su L’elezzione der Presidente, in cui mette in bocca al somaro travestito da leone, e con questo imbroglio eletto presidente da tutti gli animali, la sentenza di morte della democrazia: “Ho piato possesso e nu’ la pianto nemmeno se morite d’accidente. Peggio pe’ voi che me ciavete messo! Silenzio e rispettate er Presidente!”.

La democrazia d’investitura è dunque problema antico; ma ora il processo di decisione ha strumenti talmente sofisticati da escludere anche il barlume della partecipazione e del controllo popolare e chi tiene le leve del governo, sia pure per investitura democratica, ha un tale potere da incenerire il mondo, mandare all’inferno della disperazione per indigenza miliardi di persone, ferire in maniera irreversibile il pianeta, condizionare l’informazione in modo da imporre la “libera” scelta della competizione generalizzata e il culto del danaro. E siamo all’emergenza democratica, in Italia e nel mondo.

E l’eucaristia? La sua malattia è ormai cronica. Ridotta già da molto tempo a una manifestazione quasi magica del potere sacro del ministro ordinato. Macché governo di Dio! L’eucaristia è l’espressione emblematica del governo assolutista della casta del clero. E non è malato solo il rito per eccellenza della Chiesa cattolica. Tutte le religioni muoiono per l’invadenza del clero, comunque si chiami o si vesta, e per l’assenza di partecipazione. Sopravvivono come agenzie di assicurazione sulla vita eterna e come centrali di fanatismo integralista. E con le religioni muore una dimensione non secondaria della esistenza umana. Anche su questo versante siamo all’emergenza.

Ma siamo anche al bisogno di tante persone di incurvarsi tutti insieme in un grande sforzo per salvare la democrazia e per salvare la eucaristia. E’ la riappropriazione della democrazia e la riappropriazione della eucaristia dal basso.

Il popolo del “nuovo mondo possibile” conosce bene un tale grandioso processo storico. Ma non sempre si ha la consapevolezza piena della sua articolazione. Tutti gli ambiti del convivere infatti ne sono investiti. Ed è importante che siano investiti proprio tutti, nessuno escluso, perché il cancro che viene sradicato da una parte o anche da molte parti importanti dell’organismo sociale non rientri attraverso qualche metastasi periferica.

Prendiamo ad esempio l’ambito della religione, qualunque essa sia, delle simbologie religiose e delle chiese. Che ha a che fare tutto ciò con la riappropriazione dal basso della democrazia? Il problema delle religioni e delle chiese non scalda il cuore del Movimento. Intendiamoci, non voglio essere frainteso. Non ritengo affatto che tutti debbano impegnarsi in ambito religioso. Saremmo all’integralismo. Sarebbe un disastro. Dico invece che l’ambito religioso, per chi ci vive e opera, deve essere anch’esso investito al suo interno dal processo di riappropriazione della democraticità dal basso. E tale processo deve trovare sostegno e stimolo nell’intero Movimento. E’ proprio questo che stenta a farsi strada. Le comunità cristiane di base sentono e vivono da sempre un tale problema. Nella esperienza delle comunità di base è fondamentale la riappropriazione della eucarestia come segno di condivisione aperta, senza gerarchie e senza confini. Come lo era per Gesù e per le comunità da cui sono nati i Vangeli. Quando eucaristia voleva dire coinvolgere nella convivialità e nella spartizione simbolica del pane e del vino tutta la esistenza umana: anima, relazioni, memoria e progetti di nuova società, corpo e sangue, rapporto col divino dentro la vita. Nel profondo della storia, non illuminato dagli annali, questo senso e valore sacro perché umano e sociale dell’eucarestia è stato sempre mantenuto vivo e non è una invenzione dell’oggi.

Sono poco visibili le comunità di base, per scelta e perché i vari poteri non le amano. Può essere anche un segno di autenticità e forse di efficacia sotterranea, che è temuta perché penetra e contagia silenziosamente. Nei giorni 6-8 dicembre esse hanno svolto a Montesilvano-Pescara un Incontro-convegno sul tema: “Memoria e progetto, condivisione eucaristica e partecipazione politica fuori dai recinti". In sostanza coniugare la partecipazione dal basso, con riassunzione di potere, sia nella dimensione ecclesiale sia in quella politica. La caratteristica dell'incontro è che si è trattato di un "cantiere aperto". Le comunità di base continuano nella quotidianità il confronto di esperienze, interrogativi, frustrazioni e speranze, idee, competenze, progetti, proteso verso chiunque abbia a cuore “un nuovo mondo possibile”.

 

 

 

 

2)

Eucaristia per la costruzione di altri mondi possibili

Peppino Coscione

Da Tempi di fraternità n. 1.2004

 

Il 20 luglio 2002, nel primo anniversario degli eventi legati al g8, il festoso corteo composto da oltre centomila persone, si chiuse in piazza Matteotti ( la scelta non era casuale ) con l’offerta a ciascun/a partecipante di un bicchiere di vino rosso.

Il comitato piazza Carlo Giuliani, composto da credenti e non credenti, aveva scelto di compiere di comune accordo questo gesto per la sua pregnanza simbolica, per la sua dimensione universalistica: il vino come segno da una parte della potenza brutale, disumana fino all’assassinio che aveva violentato il corpo di Carlo e quello di molte ragazze e di molti giovani come di molte altre persone adulte ma dall’altra della disponibilità attuale di tanti e di tante a mettere in gioco i propri corpi per aprire spazi di cambiamenti, per disegnare orizzonti di  altri mondi possibili.

La storia delle cdb è  la storia di un cammino teso a rendere attuale per gli uomini e le donne del nostro tempo il messaggio di Gesù in segni, in gesti, in azioni, in linguaggi che lo rendano visibile e credibile; segni e linguaggi sottratti alla clericalizzazione, alla sclerotizzazione, alla patriarcalizzazione,  alla mancanza di senso.

Nelle cdb il segno eucaristico è stato quello più studiato, più  dibattuto e più vissuto: basta riandare al seminario nazionale svoltosi a Catanzaro il 6-7 dicembre del 1981 dal titolo “Eucaristia : liberazione o alienazione” al libro realizzato da Martino Moranti nel 1988 dal titolo “Eucaristia raccontata- prassi e riflessioni delle cdb italiane”.

 Le domande non finiscono :  le ha riproposto della Comunità del Cassano di Napoli :

- Nei processi di interazione fra gli uomini, prodotti anche da una forte mobilità, è possibile ritrovare, pur nel rispetto delle diversità, segni e linguaggi che consentano di sognare un mondo nuovo di fratellanza e di giustizia? Pur non rinunciando alle proprie identità è possibile aprire dialoghi nuovi, parlare linguaggi nuovi, inventare segni nuovi attingendo al senso profondo dei messaggi?

Interrogativi, questi ed altri,  che sono stati al centro del XXVIII incontro svoltosi dal 6 all’8 dicembre a Montesilvano  di Pescara un forte momento di consapevolezza come era annunciato nel titolo “MEMORIA E PROGETTO : condivisione eucaristica e partecipazione fuori dei recinti”.

Oltre duecento persone, provenienti da regioni e città diverse, singoli/e che per la prima volta si accostavano all’esperienza delle cdb, membri di gruppi e di comunità che da anni vivono tale esperienza,  tutti/e insieme o articolati/e in quattro laboratori si sono messi/e in gioco condividendo riflessioni e pratiche relative all’eucaristia.

Abbiamo messo in luce che l’eucaristia, intesa come condivisione di cibo e rendimento di grazie, è un gesto universale indipendentemente dagli elementi che vengono utilizzati e che devono essere legati al contesto socio-economico e culturale della comunità ( pane, riso, mais, banane o altro ) e che perciò prima di essere il cuore delle chiese cristiane o delle istituzioni religiose, è il cuore dell’umanità, il cuore del mondo, di un’umanità che invoca giustizia e pace, di un mondo che esige rispetto e cura; l’eucaristia può realmente essere vissuta soltanto in un impegno di liberazione degli uomini e delle donne da ogni forma di oppressione, di violenza, di ingiustizia, in un impegno a salvare la natura dal processo di devastazione in atto da troppo tempo. L’eucaristia non  è solo metafora e simbolo ma costruzione anticipatrice di una terra ospitale dove non sia possibile costruire recinti e dove le differenze ideologiche, confessionali, etniche e di genere non siano utilizzate per alzare muri, per inoculare paure, per diffondere terrorismo psicologico e culturale.

In quest’ottica la spiritualità femminista che scopre la vita stessa come luogo di manifestazione non può non concepire l’eucaristia che come donazione materna della vita, come spazio e tempo per la creazione che viene riscoperta nelle relazioni delle donne e degli uomini con gli altri esseri viventi, in una dimensione sociale e politica tesa al riconoscimento delle condizioni paritarie .

Nella nostra prassi eucaristica, ha scritto la comunità Oregina di Genova, il banchetto eucaristico, la frazione del pane, la cena del Signore è sempre stata aperta a tutti e a tutte: non abbiamo mai chiesto un pass di natura ideologica, confessionale o di conformità ritualistica; abbiamo sempre richiesto, con san Paolo, che l’eucaristia fosse un reale segno di condivisione delle gioie, dei dolori, delle fatiche, della fame  di pane , della sete di giustizia . La comunità “La Porta” di Verona ha scritto che l’assenza di condivisione, di solidarietà e di giustizia è un’offesa e affronto al Dio della Vita, della Provvidenza, perché deturpa la persona nella sua dignità umana; come è possibile ritenere che si celebri l’eucaristia nei campi di guerra attrezzati ad uccidere, in quelle chiese dove si pratica e si predica il razzismo nei confronti dei migranti,  il servilismo nei confronti dei potenti ?

“Chiunque mangerà il pane e berrà il calice del Signore indegnamente, sarà colpevole verso il corpo e il sangue del Signore” : su questo aspetto ha richiamato l’attenzione Giovanni Franzoni invitando a vivere certo l’eucaristia come un banchetto festoso dove si benedice Dio a motivo dei doni ma anche come giudizio di Dio che ci chiama a spezzare la nostra vita per la dignità degli uomini e delle donne e per la cura della natura, ridotta a merce per accumulare profitti.

Ci siamo chiesti se fra eucaristia e democrazia partecipata ci sia una relazione ed abbiamo risposto di sì. La comunità di Olbia ha scritto : nella realtà vitale del “questo pane è il mio corpo, questo vino è il mio sangue, fate questo in memoria di me”( 1C. 11, 20-26 ) ci viene proposta una vita calata totalmente in mezzo alla gente, in mezzo ad una umanità che chiede pane e parola, pane e conoscenza, pane e relazioni amorose; tra “non andate a comprare il pane per tutta questa gente, date voi il pane da mangiare” ( Mc. 6,30-44 ) e la democrazia delle decisioni fondate non sul dominio ma sulle relazioni tra pari c’è una relazione inscindibile e  alla gerarchia ecclesiastica cattolica che  afferma che la chiesa non è una democrazia, noi rispondiamo che essa è una comunità che deve pienamente inverarne la sostanza profonda oltre che le procedure formali, perché essere battezzati/e, sedere alla mensa del Signore significa  esercitare una piena condivisione dei ministeri, dei carismi e  dei beni senza discriminazione, senza delega alcuna.

Per questo nella chiesa cattolica, nelle chiese cristiane, nelle religioni nascono nuove esperienze di vita ecclesiale e di vita religiosa ,  in collegamento con i nuovi movimenti di partecipazione democratica. Così,  scrive la Comunità dell’Isolotto di Firenze, si arricchisce il dibattito sul senso della democrazia, sui suoi valori e limiti, sulla necessità continua di adeguare le forme ella democrazia agli impulsi profondi che animano i mutamenti della società e della vita, mutamenti messi in luce anche da alcune figure esterne al movimento delle cdb nei confonti a più voci tenutisi sabato pomeriggio e lunedì mattina.

E’ stata sottolineata la necessità che il movimento dei movimenti, liberandosi da ogni forma di  vetero secolarismo, riconosca la presenza delle religioni e  faccia propria la forza positiva proveniente da quanti vivono nella fede l’impegno a costruire altri mondi possibili.

E’ stato  avanzato il rischio che nel movimento dei movimenti possano ripetersi i vizi delle organizzazioni sindacali e politiche, quelli del professionismo e della mancata partecipazione di tutti e di tutte alle decisioni, rischio presente in ogni comunità anche nelle comunità di base,  in ogni movimento che non sia vigile sulle dinamiche relazionali al proprio interno e all’esterno.

Tutti d’accordo però che occorre valorizzare, per dirla con Marco Revelli, la mobilitazione dei comportamenti quotidiani ( le proprie preferenze di consumo, le opzioni di acquisto delle merci, la selezione dei luoghi da frequentare e quelli interdetti,ecc…) perché anche  dallo stile di vita quotidiano dipendono le minacce globali come l’effetto serra, il buco nell’ozono, la diffusione del nucleare civile, ecc…

Non poteva mancare, con la partecipazione della Rete Nonviolenta dell’Abruzzo, la festa animata da esperti di chitarra, liuto, tiorba e dalla scuola di percussionisti accompagnati dalla danza , in memoria della profetessa Maria , sorella di Aronne che cantò e danzò per benedire il Dio della  liberazione che Gesù ci  ha rivelato nello spezzare del pane.

 

3)

Tra eucaristia e politica

Gianni Novelli

Da Confronti n. 1.2004

 

Nel dicembre scorso si è tenuto a Montesilvano, vicino Pescara, il XXVIII incontro nazionale delle Comunità cristiane di base. Al centro del dibattito il nesso che lega la costruzione di un diverso modo di essere chiesa e la partecipazione alla lotta per «un altro mondo possibile

 

Eppur si muove! La gracile, poco visibile, ma coraggiosa carovana delle comunità di base (Cdb) italiane, nonostante il silenzio ufficiale della stampa religiosa e laica, ha dimostrato di essere ancora in cammino, organizzando con successo un suo appuntamento di riflessione e celebrazione a Montesilvano (Pescara), dal 6 all’8 dicembre 2003. Tema di questo ventottesimo incontro nazionale delle Cdb era: «Memoria e progetto - Condivisione eucaristica e partecipazione politica fuori dai recinti».

Sono passati trentadue anni da quando alcune centinaia di membri delle esperienze di base cristiane spuntate alla fine degli anni Sessanta si riunirono per la prima volta a Roma, nell’ottobre 1971, nella Facoltà di Magistero, per discutere su «Strutture clericali: il Concordato come strumento di potere contro la liberazione del popolo di Dio, contro l’unità delle masse operaie e contadine, contro la giustizia nel mondo». Da allora il percorso è stato lungo e ha visto intrecciarsi i temi della ricerca di un’autenticità religiosa con quelli delle lotte sociali, pur nel cambiamento di linguaggi e nell’andare-venire dei partecipanti. Nel 1982 a Catanzaro già si era tenuto un incontro (allora qualificato come «seminario») su «Eucaristia: ricerca e prassi nelle comunità di base». La presenza e l’incoraggiamento del vescovo locale, mons. Cantisani, era stato un fatto particolarmente significativo.

In questo 28° incontro, per la prima volta le Cdb si sono riunite dopo la morte, avvenuta nella primavera scorsa, di Ciro Castaldo, il sacerdote napoletano che per più di venti anni aveva dedicato tutte le sue energie e le sue ricchezze spirituali e morali alla segreteria tecnica nazionale del movimento. A lui era succeduta nel servizio di segreteria la sua comunità del Cassano di Napoli. Senza risorse, senza una sede e senza nessuna persona retribuita, sia in questa che in altre comunità, sembrava impossibile realizzare ancora incontri nazionali. La tenacia e la dedizione degli amici abruzzesi, il gran lavoro della segreteria napoletana e la passione dei componenti delle comunità è riuscita a costruire un incontro fraterno, riflessivo e festoso. All’appuntamento abruzzese hanno partecipato oltre trecento donne, uomini e giovani (molti!) provenienti da ventotto comunità di tutta Italia (una quindicina di partecipanti venivano da Olbia, qualcuno dalla Svizzera e dalla Francia: tutti a proprie spese).

Anche questa volta la sede dell’incontro è stata «fuori dai recinti sacri»: in un albergo. Tema centrale affrontato durante i tre giorni di lavoro è stato il nesso che lega la costruzione di un diverso modo di essere chiesa e la partecipazione allo sforzo di quanti lottano per un altro mondo possibile, ben consapevoli, come ha evidenziato Giovanni Franzoni nella sua relazione, di non essere soli. La consapevolezza comune è che ci si trova all’interno di una ricerca vasta sia nella chiesa cattolica che nel movimento ecumenico. Ai recenti documenti del magistero ufficiale cattolico che si oppongono a questo cammino, sembra si risponda sempre più con una disobbedienza di massa.

L’interrogativo di fondo dell’incontro era se la riscoperta della partecipazione comunitaria ha fatto riscoprire non solo la sostanza dell’eucaristia, ma pure la possibilità di portare da questa esperienza un messaggio all’interno del movimento di cui le comunità si sentono parte sul piano sociale e politico. Il cammino della comunità di San Paolo a Roma è legato alla difficoltà di rapporti con la gerarchia del suo presbitero Giovanni Franzoni. La sua riduzione allo stato laicale l’ha messa in condizione di crescere come comunità celebrando l’eucaristia come momento centrale: «Ci siamo sempre più allontanati dalla prassi corrente per necessità e non per scelta polemica. La riflessione sull’eucaristia è frequente perché si cercano nuovi segni per renderla più partecipata. Si sottolinea il momento della condivisione e la necessità che il simbolo dell’eucaristia sia rappresentativo di una realtà vissuta, come lo era nella vita di Gesù e in particolare nella cena di addio. In questo contesto si sottolinea il sacerdozio universale di tutti i credenti che si riuniscono e che insieme recitano anche le parole sul pane e nel vino. La nostra ricerca è basata sulla Scrittura. Su tale fondamento critichiamo la ricostituzione della casta sacerdotale e il valore sacrificale della morte di Gesù».

Le donne della comunità di San Paolo hanno raccontato la loro esperienza (e poi sul tema donne ed eucaristia si è parlato molto nei gruppi di lavoro) di passaggio dal silenzio nella celebrazione eucaristica, al silenzio critico e poi alla parola, soprattutto a partire dal convegno di Brescia del 1988 su «Le scomode figlie di Eva». Spiega Gabriella Natta: «Da lì è nata l’esigenza di riappropriarsi della liturgia. Abbiamo cominciato a preparare la celebrazione eucaristica arricchendola della lettura di genere. Cercando parole e silenzi di donne ma pure gesti che costruiscano e significhino lotte contro la discriminazione nella chiesa e nella società. I momenti più belli i convegni nazionali delle donne, dove non sentiamo la presenza minacciosa di Dio al maschile; spezziamo il pane ma cerchiamo pure altri segni come l’acqua, l’olio, il profumo. Adesso si sentono sempre più voci di donne e si parla sempre più di Dio al femminile».

Infine un racconto a molte voci è stato quello della comunità di Pinerolo: «Eucaristia: memoria lieta e “pericolosa”». L’istanza comunitaria è fondamentale nella celebrazione eucaristica: il ritrovarsi insieme, la bellezza delle varie voci, volti e percorsi (significativa è la presenza anche nelle celebrazioni degli omosessuali). Anche Franco Barbero, il loro presbitero ridotto alla stato laicale pochi mesi fa per il suo ministero con gli omosessuali, ha scritto (tra l’altro): «Come partecipo all’eucaristia della comunità: ne sono avido, famelico… Per me l’eucaristia è l’esperienza che mi scatena gioia, lode, dolore, emozione, lacrime. Il mio cuore non può farne a meno. Ho voglia di portare là la vita “laica”, quotidiana, di tutta la settimana e rituffarmi nell’amore di Dio, nell’abbraccio caldo delle sorelle e dei fratelli, di concentrarmi da innamorato nella memoria di Gesù, il nazareno. Lo devo proprio dire: ho sete, fame, desiderio di questa esperienza che non sfiora mai per me il precetto, l’abitudine, la ritualità». Don Franco scrive questo mentre obbedisce, soffrendo immensamente, all’ordine che, nella sinfonia eucaristica comunitaria, zittisce la sua voce presbiterale.

Da tutti questi percorsi è apparso evidente che la riscoperta della partecipazione comunitaria all’eucaristia ha fatto riscoprire la possibilità di portare, anche da questa esperienza, un messaggio all’interno dell’ampio movimento globale di costruzione della democrazia di cui le comunità si sentono parte sul piano sociale e politico, a livello locale e planetario.

Un appello alle comunità perché modifichino i loro linguaggi eucaristici, rendendoli meno barocchi e più essenziali, è venuto da Giovanni Franzoni che ha richiesto che in un’epoca così dura e difficile si trovino parole più pertinenti ed appropriate. Propone un nuovo lessico eucaristico fatto di parole nuove e scarne per cercare di identificare l’inedito. Franzoni ha pure sottolineato la diversità dell’eucaristia da gesti, azioni e parole quotidiane. «Davanti al pane spezzato, che è segno visibile ed efficace della presenza di un Gesù che ha dato la sua vita per noi, dobbiamo assumere la determinazione di essere coerenti con questo segno, se no, come dice Paolo, non è “cena del Signore”. Finita questa “cena” comunitaria e questo gesto di condivisione, me ne vado spoglio e nudo di qualsiasi aggiuntiva certezza insieme ai compagni di strada, che possono essere credenti di un’altra fede religiosa o non credenti, e con loro faccio le mie scelte. Il giorno che l’azione politica si facesse azione di potere e si calpestassero i poveri, quel giorno quella cena del Signore diventa per me condanna».

La sera del 6 dicembre si è svolto un ricco confronto a più voci intitolato «Tempo d’intrecci e contaminazioni: confronto per una convivialità delle differenze». Enzo Mazzi, in rappresentanza delle Cdb, Maurizio Acerbo del «movimento dei movimenti», Lisa Clark dei «Beati i costruttori di pace» ed Edwige Ricci del movimento ecologista, coordinati da Roberto Natale, segretario dell’Usigrai (sindacato dei giornalisti della Rai), hanno intrecciato esperienze ed idee a partire dai rispettivi percorsi di costruzione di una società più giusta e solidale. Per Mazzi, la riscoperta della soggettività e partecipazione dal basso è in qualche modo il messaggio che le Cdb portano all’interno del movimento (o dei movimenti), come sollecitazione a uscire dai settarismi, dai personalismi, dalle chiusure ideologiche e dai burocratismi: «L’eucarestia è malata… Il lupo e l’agnello vanno insieme all’altare a cibarsi della stessa ostia sacra. Ma non è condivisione. Il lupo non condivide il proprio corpo, il proprio sangue, la propria vita. Anzi, usa l’eucaristia per candeggiare la propria anima macchiata dal sangue dell’agnello. E l’agnello non trova nell’eucaristia una spinta per tendere al proprio riscatto storico. Trova solo uno strumento di sublimazione del proprio sacrificio con la consolazione del riscatto nella vita eterna… Tutte le religioni muoiono per l’invadenza del clero, comunque si chiami o si vesta, e per l’assenza di condivisione, di partecipazione circolare. Sopravvivono come agenzie di assicurazione sulla vita eterna, tanto per il lupo quanto per l’agnello, o come centrali di fanatismo integralista. E con le religioni muore una dimensione non secondaria della esistenza umana».

La seconda giornata ha visto un fecondo lavoro di gruppo dove particolarmente dibattuto è stato il tema «Segni e linguaggi religiosi in un mondo globalizzato», seguendo una traccia preparata dalla comunità del Cassano di Napoli.

L’incontro si è concluso con un’assemblea generale presieduta da don Barbero a cui hanno partecipato il pastore valdese Franco Giampiccoli (su «Credenti nel tempo della globalizzazione»), il professor Paul Abela in rappresentanza delle comunità di base francesi e Giovanni De Maria (su «Le Cdb nel collegamento europeo»).

Dopo i tre giorni di sosta, le carovaniere e i carovanieri delle Cdb si sono rimessi in cammino. C’è in loro molta preoccupazione perché, come diceva Mazzi, l’eucaristia è malata e anche la democrazia è malata. È però evidente che da queste malattie intendono far di tutto per uscire. E non da soli.