Speciale
Tempi
di Sororità a cura di Catti Cifatte CONFRONTO
APERTO SUL DIVINO Il Santuario della Madonna delle Laste è su una ridente collina sopra Trento coltivata a orti e vigneti, ed è gestito da Carmelitani che offrono ospitalità nel convento: qui Paola Morini di Trento e le amiche della Comunità “La Porta” di Verona hanno organizzato, per il 9-10 ottobre scorsi, il XIV Incontro Nazionale dei gruppi donne delle comunità di base che quest’anno ha avuto una “un’edizione speciale”. Abbiamo partecipato in centoventi da diversi gruppi donne delle cdb di Pinerolo, Alba, Genova, Firenze, Verona, Padova, Milano, Roma, Bologna e di altre realtà: Gruppo Promozione Donna di Milano, Coordinamento Teologhe Italiane, Il Cerchio della Luna Piena di Padova, le Donne in Cerchio di Roma, il Graal di Milano, il Gruppo di Ricerca Teologica al Femminile - Thea - di Trento, Gruppo Identità e differenza di Spinea Mestre (Ve), la Redazione di Femmis di Verona, il gruppo Agar di Rovereto, La libera Università delle donne di Milano nonché donne di chiese evangeliche, singole in ricerca teologica, suore e missionarie, con le quali è iniziato un cammino di condivisione.
Partendo dal Vangelo “ In quei medesimi giorni Maria si mise in viaggio, in tutta fretta, per la montagna, verso una città di Giudea; ed entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Or appena Elisabetta udì il saluto di Maria, il fanciullo le balzò di giubilo nel grembo, mentre Elisabetta fu ripiena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce:“Benedetta tu fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno!”(Luca 1,39-42)
Quante volte abbiamo letto questo passo del Vangelo cercando di
immaginarci l’incontro di due madri inconsapevoli l’una della maternità
dell’altra ma sensibili a tal punto da intuirla al primo istante: il passo
è stato letto dalle Donne in cerchio
di Roma nella celebrazione finale, quando stringendo tra noi un legame
eucaristico di condivisione, bevendo insieme latte e mangiando dolci al miele
e alla vaniglia, ci interrogavamo sul divino che rimane ancora “argomento
aperto”.
Quel brano per me rappresenta la
condizione più umana del divino: mi sembra cioè che il divino che
cerchiamo sia già nell’umano e non in un umano asessuato, ma che sprigioni
prima di tutto dalle donne proprio a causa della loro condizione sessuale: un
divino in un corpo materno.
Quel rapporto tra donne, quella discendenza svelata al femminile,
seppur inserita in un contesto storico patriarcale, va riscoperta, va
valorizzata per sé stessa ed anche per quello che lascia intravedere, che non
dice…. ma che può essere. Si può scoprire il divino nel rapporto tra madre
e figlia, tra donne di diversa generazione: si apre davanti a noi un
nuovo immaginario. Insomma quell’incontro tra Maria ed Elisabetta ha
oggi un significato in più per noi: il volerci annunciare, visitandoci
reciprocamente, la novità della nostra femminilità e maternità: e questa
novità ci è particolarmente cara e siamo liete di comunicarla tra donne.
Ecco
cosa può, anche, voler dire la frase
“quel divino tra noi leggero”che abbiamo scelto come titolo-tema
dell’incontro.
Sono le parole che ci portiamo dentro dopo aver sperimentato,
che vogliono dire qualcosa per tutte noi; vento
che soffia, brezza che ci rinfresca, riferimento che ci piace e non ci
angustia, realtà che ci intriga ma non ci condiziona rigidamente, desiderio
che ci dona libertà di pensiero e di viaggio. Ed anche: legame fra
sorelle, dimensione delle differenze, superamento delle estraneità,
partecipazione alla liberazione di tutte e tutti, considerazione ed amore per
i nostri corpi, uso di tutti i nostri sensi, cura e valorizzazione dei nostri
piedi (che ricordiamolo ci permettono di camminare anche in fretta come
Maria), attaccamento alla natura che ci circonda. Le tappe di un percorso
Ripenso al percorso di ricerca sul divino che abbiamo fatto, articolato
in tre tappe, “come liberarlo, come
dirlo e come condividerlo”: è
incominciato tre anni fa a Monteortone (PV) con un incontro dal titolo “Al
di là di Dio padre”. Ci siamo interrogate sul divino andando al di là
dell’imposizione patriarcale e monoteista della religione, alla ricerca dei
miti delle dee femminili, e alla riscoperta della trasgressività di donne
della Bibbia. Attraverso la riflessione nei gruppi di lavoro abbiamo tentato
un’opera di disvelamento per il recupero del rapporto con il sacro
femminile a partire da noi e dal nostro inconscio.
Nel successivo incontro a Frascati intitolato “In un corpo
sessuato” il divino è stato affrontato con i linguaggi
differenti delle singole donne. Immaginando il contesto nel quale,
metaforicamente, si sviluppa la ricerca femminile del divino abbiamo collocato
il nostro spazio ai margini di un cerchio il cui centro rappresenta la potenza
di un Dio esclusivo maschile: è questa esclusività accentratrice che non
vogliamo più subire e alla quale ci contrapponiamo con libertà di
espressione.
Dopo il Sinodo delle donne di Barcellona, che ha costituito una
sospensione dei nostri incontri ma anche momento di apertura e di ascolto, il
desiderio delle partecipanti italiane fu quello di poter consolidare il legame
instaurato e continuare il confronto in Italia. L’occasione è stata quindi
colta nell’Incontro di Trento come primo momento allargato ai diversi
gruppi. Quest’anno dunque è stata ripresa la strada con il momento della condivisione.
Sento che è necessario proseguire: un andare
oltre con forza, verso tutti gli altri e penso in primo luogo alle nostre
comunità e a quei movimenti che vogliono una trasformazione dei rapporti
donna-uomo nella comunità umana ed ecclesiale. Oltre allo scambio tra donne
è necessario anche un confronto con quei nostri compagni che sono disposti a
mettersi in discussione e che, mettendosi in gioco, provano cosa vuol dire un
indagare sulla radice del problema: “maschio e femmina li creò”.
A
mio giudizio occorre cioè determinare, prima o poi, un passaggio
verso la valorizzazione delle
differenze e di reciproca stima a tutti i livelli, a cominciare dal rapporto
di coppia.
Ripenso a ciò che abbiamo vissuto a Trento: nel convento c’era
un’ampia cappella dove abbiamo svolto i momenti assembleari, e dove abbiamo
dedicato ampio spazio alla presentazione delle partecipanti e alla
riflessione sulla ricerca che ci accomuna.
La cappella era luminosa con gli arredi in legno chiaro, le
panche a sedere disposte sui lati lunghi tra loro fronteggianti,
consentendoci di vederci tutte senza gerarchie. Era piena di simboli
della nostra storia religiosa: crocifissi, quadri della via crucis,
altare e tabernacolo del sacrificio… ma è stata reinventata e
riappropriata senza eccessive trasformazioni ma con accorgimenti
d’arredo, con un simbolo sull’altare che ci portiamo dietro da
diversi anni, il lenzuolo con il disegno coloratissimo della spirale.
Come ricorda Doranna Lupi di Pinerolo: “Ripensando agli inizi, attraverso l’immagine della spirale colorata
della creazione e del divenire (così come l’abbiamo disegnata
a Cavoretto ), ritrovo gli incontri con le donne delle comunità
di base europee, le amiche olandesi e le amiche di Parigi, i loro viaggi
e i nostri , la loro determinazione e autorevolezza, le loro affettuose
esortazioni. Con loro abbiamo assaporato ciò che Giovanna Romualdi (in
un suo articolo su “il paese delle donne”, riferito al nostro ultimo
convegno) definiva “Il piacere dello sconfinamento”
attraverso nuovi gesti simbolici e la loro forza evocativa.
E Carla Galetto di Pinerolo:
“Desiderio di libertà: spalancare porte e finestre su nuovi
orizzonti. Nei miei pensieri, nella mia esperienza di fede, nel cammino
comunitario spesso sento l’esigenza di allargare il campo di ricerca,
di aprirmi a sensibilità ed esperienze nuove. Ho ricevuto questi
stimoli in modo particolare dalle letture e dall’incontro con teologhe
femministe, soprattutto quelle più radicali. Ma desidererei aprirmi di
più anche ad altre esperienze diverse dalla mia, dalla nostra
spiritualità e fede, dialogare anche con altri percorsi che raccontano
e parlano del divino, del sacro, di Dio usando altre immagini e altre
metafore. Mi riferisco alla ricerca su volti e nomi per dire dio anche
al femminile, alla riscoperta di antiche pratiche cultuali spirituali
nel mondo denominato pagano, con il culto della Grande Madre. Ma mi
interpellano anche le parole di Luisa Accati, citate da Elisabeth Green
durante il nostro ultimo incontro nazionale: “Il problema per le donne non
è costruire una dea o un dio femminile o una madre simbolica anche lei
onnipotente uguale e parallela a Dio, ma restituire limiti e dignità
morali, valore e pensiero alla corporeità: a partire dalla capacità
del corpo materno di distinguere il concepimento basato sulla violenza
dal concepimento basato sul’amore… Lungi dall’essere un difetto,
non aver mai avuto un dio ginecomorfo è il punto di forza, la lezione
storica delle donne: la capacità di rispettare la propria istanza
morale senza bisogno di proiezioni onnipotenti di sé”
(“Il mostro e la bella”, pag. 234)
I laboratori La
collaborazione con donne di altri gruppi si è sviluppata anche nei
cinque laboratori che si
sono svolti con libera partecipazione e diverse modalità, e nei quali
abbiamo affrontato un tema comune così intitolato: “Sacro e divino
di fronte alle tradizioni: percorsi di libertà delle donne”.
Un primo laboratorio sul corpo coordinato da Elisa Barato
e Marina Marangon ed incentrato su un parte del corpo che normalmente
viene relegata a ruolo inferiore: i piedi, essi “sono
le nostre radici con cui avanzare nella vita, e dopo averli onorati e
riconosciuto in essi e tramite essi
il nostro cammino spirituale, ci uniremo in un gioco, una danza,
un percorso di colori per costruire assieme ai i nostri piedi,
un cammino di condivisione, di pace, di sorellanza……nell’assemblea
la parte bassa delle panche è stata tappezzata da grandi fogli di carta
con le impronte dei piedi dipinti durante il laboratorio, a significare,
anche visivamente, gli
intrecci delle donne e dei loro
piedi!
Un
secondo laboratorio su cinema e divino coordinato da Elisabetta
Brunella, Maria Vittoria Gatti e Grazia Villa alla riscoperta del
linguaggio cinematografico e della simbologia delle narrazioni con le
immagini. Un percorso che attraverso alcuni spezzoni di film ( “La
settima stanza” – “Dead man walking” – “Le onde del
destino”) ha fatto riflettere sulla relazione tra: -"divino"
e "femminile", - tradizioni - libertà e desiderio femminile -
donne e sacro.
Un
terzo laboratorio di danze
meditative è stato coordinato da Daniela Mazzoni e Luciana
Percovich. Il disporsi in un cerchio che si apre con la danza, per
imparare a sentire come è possibile rigenerare energia positiva e
partecipare al rinnovarsi della creazione permettendo a tutte le donne
di ritrovarsi in sintonia con le originarie forme dei riti alle Dee,
prima dell’avvento del patriarcato.
Un
quarto laboratorio della parola, che ho coordinato insieme
ad Anita Cappello, che ha sviluppato riflessioni sul rapporto con le
straniere: il divino delle donne straniere, le simbologie del divino, il
confronto con il nostro simbolico, con il divino nelle religioni
patriarcali e tutto ciò che le religioni hanno imposto alle donne.
Quale è il rapporto con le donne che vengono a lavorare in Italia, le
badanti ma anche le donne che vengono prostituite, spesso le più
giovani ed indifese.
Ma anche ciò che
non conosciamo di noi nel rapporto con Dio: la straniera che è in noi.,
e la straniera nella Bibbia, una fra tante la samaritana che
simboleggia, nell’andare al pozzo, la nostra volontà di
abbeverarci per soddisfare
la sete di pace, di giustizia, di gioia, di amore.
Nel quinto laboratorio della parola, coordinato da Mira
Furlani e Letizia Tomassone, si è parlato della differenza sessuale:
sappiamo bene che il sesso maschile nella storia si è nominato
“uomo” includendo anche il sesso delle donne, e che l’ “uomo”
si è messo al centro della realtà come cultura universale neutra
maschile e che “il
patriarcato ha separato l’umano dal divino, ma in più ha privato le donne delle loro
dee o divinità” (Luce Irigaray – Sessi e genealogie, pag.213)
Tanta storia di usurpazione maschile ha portato la donna a lottare per
avere identità umana, per ottenere l’emancipazione o le pari
opportunità. Ma tutto ciò non ha dato alle donne la possibilità di
esprimere i loro reali desideri di libertà e una loro identità.
Occorre fare agire la differenza nel mondo: nei rapporti di coppia,
nella famiglia, nei posti di lavoro, nella politica; in un parola
convincerci che non basta la rivendicazione di parità di diritti ma
occorre una diversa visione dei rapporti, del mondo e la sperimentazione
delle relazioni fra le identità di
donne e uomini.
L’Assemblea conclusiva
La domenica mattina, alla conclusione dei lavori si sono
succedute a prendere la parola donne che riconosciamo tra noi come
esperte: Giancarla Codrignani, Marinella Perroni, Luciana Percovich e
Letizia Tommasone.
Quale significato ha per noi questo aggettivo leggero che abbiamo
voluto attribuire al divino? Ciò che andiamo ricercando è uno spazio
di liberazione dice Giancarla. Partiamo dunque dal considerare la dura
realtà che viviamo: la violenza sulle donne, che nei paesi in guerra si
fa sempre maggiormente pesante, la discriminazione per motivo di genere
in tutte le chiese, la sottomissione nei ruoli femminili tradizionali,
anche mascherata da parole false ed ingannevoli come nella recente
lettera di Ratzinger.
Abbiamo sentito anche che il divino leggero su cui ci
confrontiamo significa la ricerca del nostro passato, della nostra
spiritualità perduta e riscoperta: “Si
tratta, come dice Luciana, di
abbandonare le esitazioni, di non spegnere le nostre energie nel dolore
per le sciagure e le sofferenze inevitabili in un momento di
trasformazione accelerata come quello presente, e di rilanciare con
chiarezza il nostro pro-getto, il nostro sogno”.
Consideriamo
indispensabile la nostra ricerca ed il nostro impegno teologico oggi,
dice Marinella, partendo dal nostro bagaglio storico, dalla linguistica
delle donne, dagli studi di genere, dalle tradizioni delle chiese con
chiarezza d’intenti.
La riflessione teologica si
è aperta a nuove considerazioni sul divino: per esempio il divino come mancanza
dice infine Letizia. Ci sono dei vuoti nel nostro corpo, come nei corpi
di tutte le donne: sono vuoti che vanno riempiti e che si svuotano
nuovamente. C’è un vuoto nella nostra ricerca del divino, c’è una
limitatezza nel nostro essere, c’è una dimensione da scoprire e da
costruire: questo è il momento in cui apprezziamo il divino nel vuoto
che si può riempire; quale metafora rende maggiormente questa
dimensione se non quella dell’utero femminile?
Le Donne in Cerchio di Roma hanno quindi preparato la
celebrazione finale arricchendo l’altare di ogni bene
naturale, fiori, frutta, profumi, minerali, oggetti, cibo
e tutte insieme con la nostra presenza, le simbologie, gli scambi
abbiamo alzato insieme le braccia nel canto del magnificat
e ci siamo impegnate a tessere la rete delle relazioni tra noi, perché
ci sembra sempre che il tempo a disposizione sia troppo poco, che ci sia
ancora un lungo cammino da fare, che ci sentiamo ancora “assetate”,
che ci sia ancora un inedito da scoprire.
Genova 1° novembre 2004
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