Ricerca teologica femminista e lavoro sul corpo al XIII
Convegno Nazionale delle donne
appartenenti alle Comunità Cristiane di Base tenutosi
recentemente a Frascati
da L'Unità 31/10/2002
Madre nostra che sei nei cieli. È possibile svelare il
femminile di Dio, o meglio, dire Dio con parole di donna, parole libere e
autorevoli? Le iscritte al XIII Convegno Nazionale delle donne appartenenti
alle Comunità Cristiane di Base - tenutosi recentemente a Frascati e intitolato
«Il divino. Come liberarlo, come dirlo, come condividerlo in un corpo sessuato»
- scommettono di sì. Sulla scia dei lavori del convegno del 2001, dedicato alla
possibilità di andare oltre la figura di Dio padre, fondamento dell'ordine
simbolico e sociale patriarcale,- le partecipanti hanno sondato quel continuum
di corpo, mente ed emozioni dove il divino affonda le radici e può essere
narrato «a partire da sé». A partire dalla libertà è dall'integrità di una
persona sessuata. Da tempo la teologia femminista lavora per scardinare
dall'immaginario un Dio Trino ed Unico, tutto declinato al maschile. Perché «Se
Dio è maschio, il maschio è Dio», come sintetizza efficacemente Mary Daly. Le
studiose hanno passato al setaccio le Scritture - ben coscienti che anche i
libri biblici nascono da una elaborazione maschile - e, svolgendo un'indagine
mito-archeologica, si sono messe sulle tracce del femminile sepolto nel
patrimonio simbolico giudaico e cristiano, man non del tutto rimosso. Il
secondo passo è stato prendere in mano gli scritti che le donne hanno lasciato
nel corso della storia, in primis le mistiche, come Giuliana di Norwich,
Matilde di Magdeburgo e Ildegarde di Bingen, che con forza straordinaria hanno
espresso la contiguità del divino con l'umano, partendo da un corpo connotato
secondo la differenza sessuale. L'ultimo scatto della teologia femminista è
proprio agganciare l'esperienza di Dio al vissuto delle donne: la gravidanza,
il parto, la sessualità, la relazione, la parola, il riconoscersi in una
corporeità gioiosa e consapevole. Lo stesso senso di integrità tra corpo, mente
e emozioni che si respirava nel convegno di Frascati sin dalle relazioni del
mattino, di Giancarla Codrignani e di Elisabeth Green, teologa battista.
Entrambe le relatrici hanno disegnato una liberazione interiore che non può
essere separata dalle conquiste politiche e passa proprio attraverso i diritti:
«recuperare uno sguardo femminile su Dio non è abbastanza - ha detto Giancarla
Codrignani - Non abbiamo ancora liberato la carne di Dio. La Fede resterà un
divorzio del credere dal pensare e dal sentire finché ci saranno ancora donne
violentate - anche nel santo matrimonio -, mutilate, oppresse. Finché si
continuerà a decidere sulla pelle delle donne, a considerare il loro corpo come
un organo su cui lavorare». Anche Elisabeth Green si è soffermata nel suo
intervento su aspetti politici, sottolineando come la marginalità che nel
sistema dominante tocca alle donne, coincida spesso con lo spazio occupato
dalle categorie sociali più deboli. Ma qual è allora il posto di Dio? Il divino
che le donne cercano di nominare è un dio periferico. «Il discorso di colui che
pretendeva di parlare in nome di tutti e di tutte a prescindere da genere, età,
appartenenza etnica, orientamento sessuale, posizione socioeconomica e così via
si è rivelato non solo parziale, ma addirittura di parte. - ha affermato
Elisabeth Green - Non solo l'essere umano sessuato al maschile non può più
pretendere l'esclusiva su Dio, ma anche lo stesso Dio è costretto a dare le
dimissioni dal ruolo centrale sull'altare». Come a dire: il dio intuito dalle
donne è un dio nomade, in perenne sconfinamento. Un dio che ci abita e vuole
lasciarsi scoprire. E raccontare. All'espressione del divino sono stati
dedicati i lavori pomeridiani. Le convegniste si sono divise in quattro
laboratori di espressione, diversamente articolati: un gruppo di parola, volto
a indagare il divino nella relazione verbale delle une con le altre, un gruppo
di elaborazione pittorica, per lasciare che l'emozione si trasformasse in
esplosioni di colore, e due gruppi che prevedevano un totale coinvolgimento
corporeo attraverso la bio-danza e lo yoga. Una contaminazione di approcci e
culture diverse che radica la scoperta di sé e l'intuizione del divino nel
vissuto esperienziale, unico e allo stesso tempo universale, evocativo ad ogni
latitudine geografica e di pensiero.
Giovanna
Romualdi
Per proseguire il percorso su “il divino: come liberarlo, come dirlo,
come condividerlo”, “al di là del dio patriarcale”, i gruppi donne delle comunità cristiane di
base hanno individuato come luogo del divino il “corpo sessuato”.
Fatta, con un incontro dello scorso anno, una
prima breccia nel confine segnato dal "padre nostro", nell’incontro
di quest’anno (Frascati, settembre 2002) si è voluto sottolineare che la
possibilità di rifondare il divino sulla libertà femminile non può non scegliere
il corpo delle donne come luogo di ricerca. Detta così può sembrare una
ovvietà, ma se pensiamo al rapporto che le religioni hanno avuto con il corpo
delle donne e la sessualità, dire che si vuole “liberare il divino in un corpo
sessuato” significa autorizzarsi come donne a “squarciare veli” , a ripensare
il rapporto con il divino a partire da sé, affermando “il diritto delle donne alla rivelazione” e
capovolgendo gerarchie simboliche e reali (come messo in evidenza dalla relazione
di Giancarla Codrignani).
Si tratta di una operazione che
una volta avviata non può non cambiare le immagini, le metafore, le parole, i
luoghi del divino, sovvertendo l’ordine socio-simbolico in cui è stato
inserito. La teologa femminista Elizabeth Green ha parlato giustamente di una ricerca
aperta in cui non si possono dare risposte definite all’interrogativo “che cosa
sta in gioco quando parliamo del divino in un corpo sessuato?”; ha piuttosto
cercato di individuare il campo in cui si gioca questa ricerca e i paradigmi
con cui portarla avanti. Si è così collocata all’interno di un pensiero
femminista che ha “svelato” la maschilità del soggetto neutro universale e
l’identificazione di questo con Dio. “Immaginiamo un cerchio al cui centro vi è
Dio padre ossia un dio declinato esclusivamente al maschile.... Dio padre, non
è solo maschio ma è anche bianco, cristiano e rigorosamente eterosessuale”. Non
si tratta però di sostituire al centro un divino al femminile o, per i soggetti
marginali di avvicinarsi al centro per appropriarsene o omologarsi: alcune
teologhe femministe propongono piuttosto di de-centrare il divino (“il dio
marginale”) andando a cercare “proprio ai margini” “luoghi non autorizzati
della divinità” ed “ai margini troviamo quel corpo sessuato a partire dal quale
vogliamo liberare, dire e condividere il divino ‘senza dogmatismi religiosi’”
Elizabeth Green si chiede anche se questa operazione sia possibile restando nel campo
dell’esperienza cristiana, risponde affermativamente: un “Dio che sconfina” può
essere letto nell’antico testamento, “un Dio che voltò le spalle al centro”
viene svelato dalla morte di Gesù.
Ma “che cosa sta in gioco quando
parliamo del divino in un corpo sessuato? Cercando una risposta a questa
domanda a partire da dove sono arrivata nel mio percorso, nella mia storia di
vita, si sono presentati due criteri i quali per me stanno diventando
fondamentali. Il primo è l’autorità, l’energia o la potenza che mi appartengono
in quanto donna. Detto in modo negativo, non posso accettare un divino,
qualsiasi divino che mi disautorizzi, che attenti alla mia forza, che non
riconosca la mia dignità sovrana. Il secondo criterio ha a che fare con
l'ubicazione del divino: a prescindere da qualsiasi altro luogo in cui esso si
trova, il divino è anche dentro di me. Questo significa che non accetto un dio
che è soprattutto extra nos, fuori di noi e senza di noi. E’ evidente che
questi criteri si presentano in opposizione a ciò che per secoli sono state le
conseguenze del messaggio cristiano per molte donne. In mille modi quel messaggio
ci ha indebolite e disautorizzate facendoci dipendere da un Dio al di fuori di
noi declinato al maschile. [...] Nel mio tentativo di dire il divino o di
creare un paradigma a partire dal quale
dire il divino emergono tre parole chiave in relazione tra loro: la prima è di
nuovo forza, energia, potenza autorità dunamis, eros [...] La seconda parola è
corpo, l’irriducibile corporeità della mia esistenza. Corpo che è anche cifra
del limite, della finitezza, della cura e della ri-produzione invece della produzione,
nonché il mondo della natura. La terza parola è sessualità, desiderio corporeo,
la quale è legata al mio corpo di donna senza perciò entrare ... nelle
definizioni patriarcali né della sessuazione al femminile né della sessualità
vissuta. Potrebbe essere anche sensualità o piacere. Dire il divino in un corpo
sessuato vuol dire quindi dirlo a partire dal potere erotico, dal corpo, dalla
sessualità. [...] Sebbene io le abbia dette al femminile, e sebbene spesso
siano state declinate al femminile dall’ordine simbolico maschile queste parole
sono prive di una determinazione di genere. Così cerco di non assolutizzare un
femminile né di escludere una loro eventuale declinazione da parte di un
maschile periferico”.
Elizabeth Green sottolinea la complessità
del problema della ricerca di immagini e simboli per esprimere il divino, come
talvolta le immagini di genere siano servite per veicolare una dipendenza da
una gerarchia maschile; fra le varie citazioni, riporto quella di Luisa Accati
(da Il mostro e la bella): “Il
problema per le donne non è costruire una dea o un dio femminile o una madre
simbolica anche lei onnipotente uguale e parallela a Dio, ma restituire limiti
e dignità morale, valore e pensiero alla corporeità: a partire dalla capacità del
corpo materno di distinguere il concepimento basato sulla violenza dal
concepimento basato sull’amore... lungi dall’essere un difetto, non aver mai
avuto un dio ginecomorfo è il punto di forza, la lezione storica delle donne:
la capacità di rispettare la propria istanza morale senza bisogno di proiezioni
onnipotenti di sé”.
Concludendo la sua relazione,
che ha intrecciato piani teorici con piani esperienziali, riferimenti
filosofici e teologici ed interrogativi, Elizabeth Green apre alla necessità di
altri linguaggi: “Per dire questo dio sono sempre più dell’idea che il
linguaggio filosofico concettuale sia inadeguato. Il nostro teologare richiede
il linguaggio del racconto, della parabola, della pittura, della danza, della
poesia da cui nasceranno i simboli”. Di ciò, c’era già stata consapevolezza
nella organizzazione dell’incontro che ha visto laboratori impostati su
modalità espressive diverse (corporea, musicale, grafico-pittorica, verbale) ma
l’indicazione resta valida per il proseguimento della ricerca che avrà ancora
bisogno di momenti di confronto anche con altre donne. In tutte c’è la
consapevolezza di essere ancora agli interrogativi, ma in fondo nessuna vuole
più risposte certe: è il piacere degli sconfinamenti.
Per parlare del divino a partire dal corpo femminile,
represso in ogni cultura, a partire da quella cattolica, il linguaggio
filosofico concettuale è inadeguato: il 'teologare femminile' richiede il
racconto, la parabola, la pittura, la danza, la poesia. È a partire da questo
presupposto che si è articolato il XIII incontro nazionale delle donne delle
Comunità di base, svoltosi a Frascati (Roma) il 28 e 29 settembre, intitolato,
appunto, "Il divino: come liberarlo, come dirlo, come condividerlo in un
corpo sessuato".
Di impianto politico la relazione di Giancarla Codrignani,
che ha svolto una riflessione sul potere, positivo nella misura in cui è
disposto a mettersi in discussione. Oggi, la gabbia più opprimente per le donne
è data dall'ambiente: l'attentato ai diritti riproduttivi delle donne ne è un
segno, ma occorre tenere presente anche l'influsso negativo delle religioni e
del patriarcato nel Nord del mondo, laddove invece si ritrovano germogli di
emancipazione in realtà dove non ci si aspetterebbe di trovarli: in Marocco, ad
esempio, il 10% dei parlamentari deve essere costituito da donne, mentre è
stata bloccata dal governo italiano una richiesta della Valle d'Aosta che
proponeva la presenza di donne per legge nelle liste dei candidati.
Ciò indica che vi è ancora una forte resistenza del mondo
maschile alla presenza, ma prima ancora al pensiero delle donne. Di qui, la
tentazione del silenzio, dell'invisibilità. Ma oggi, ha detto la Codrignani,
"è arrivato il tempo di misurarci con altre e altri: non possiamo fare
come se i maschi non ci fossero". Questo implica che le donne riescano ad
abbandonare l'atavico senso di colpa inculcato nell'educazione che hanno
ricevuto come una molecola di Dna: "ma colpa di che?".
Svelare il Divino nel corpo femminile abbraccia anche un
ripensamento della Rivelazione: le donne devono togliere i veli messi dalla
lettura clericale che nei secoli ha imprigionato Dio, ma che costituisce una gabbia
anche per gli uomini. Basta pensare alla gabbia del celibato, in cui si trovano
rinchiusi i preti e le donne che li amano. Basta pensare all'immagine del Dio
della rinuncia a sé, al piacere, alla limitazione del corpo visto unicamente
come strumento della riproduzione. Quale diritto naturale, dunque, tanto
sbandierato dal cattolicesimo, se si nega al corpo la sua naturalità?
Da questo punto di vista, la violenza del patriarcato che
si esprime nelle religioni ha messo alle donne - ma anche a Dio - un burka
mentale. E questo burka va tolto: il silenzio delle donne, conclude la
Codrignani, non può essere infatti afasia. Le donne devono ripren-dere la
parola per esprimere sé e per esprimere il divino che è in loro.
Di taglio filosofico l'intervento di Elizabeth Green, che
parte dall'immagine di un Dio sconfinato, non più limitato alla sua dimensione
maschile. Perché se Dio è maschio, il maschio è Dio e sta al centro di un
cerchio in cui ciò che è femminile è periferico. Ma così come il centro non è
solo maschile (ma è anche bianco, cristiano, eterosessuale), la periferia non è
solo femminile. È periferia chiunque vive ai margini: omosessuali, neri, ebrei…
Ma la periferia non deve avvicinarsi al centro per omologarsi. Bisogna trovare
un Dio periferico.
Tutto ciò, afferma la Green, porta al cuore del problema:
per restare all'interno della metafora, poiché non si può giocare senza tener
conto del campo in cui si gioca, con il suo centro e le sue periferie, occorre
"spostare le linee del campo da gioco per migliorare il gioco
stesso". Come ha fatto Gesù, che ha voltato le spalle al centro
"dislocandosi".
Come è possibile allora liberare, dire e condividere il
divino in un corpo sessuato? Due sono i criteri da cui non si può prescindere,
sottolinea la Green, l'autorità e l'ubicazione del divino. "In quanto
donna non posso accettare qualsiasi forma di divino che attenti alla mia
energia e non riconosca la mia dignità sovrana, mi 'desautorizzi'. Dobbiamo
riconoscere il valore del nostro essere donne e della nostra potenza".
Quanto all'ubicazione, "il divino è anche dentro di me, non posso
accettare un Dio estraneo e spesso contro". Dire il divino in un corpo
sessuato significa allora dirlo anche attraverso il potere del corpo, superare
la mortificazione in cui la donna è stata costretta dalla cultura e dalla
religiosità patriarcali. Il problema delle donne con il divino non è quindi
quello di creare una dea o un dio al fem-minile simile al dio del maschio che
sta al centro del cerchio. La donna non ha bisogno di creare proiezioni
onnipotenti di sé ma restituire dignità morale, parola e pensiero alla propria
corporeità. Allora incontrerà il divino, un dio delle differenze, un dio che,
come Cristo, si 'disloca'. Il cristianesimo, ha concluso, è molto più ricco di
quello che ci è stato insegnato.
Comunicato / resoconto di prossima pubblicazione su Tempi
di fraternità nella rubrica
TEMPI DI SORORITA’
Efficacemente
e simpaticamente organizzato dai gruppi delle donne di Roma ( donne cdb S.Paolo
e Donne in Cerchio) si è tenuto a Frascati nei giorni 28-29 settembre u.s. il XIII Incontro
Nazionale delle Donne delle Comunità cristiane di Base
che ha visto la partecipazione di circa 110 partecipanti
provenienti da varie regioni italiane, per condividere nei due giorni la seconda tappa di un percorso di
riflessione su:
“Il Divino: come
liberarlo, come dirlo e come condividerlo – In
un corpo sessuato”
( la prima tappa “Al di la di
padre nostro” si svolse a
Monteortone -PV- nel dicembre 2001).
Le donne delle cdb hanno insieme
ascoltato due ricchissime relazioni:
v
di Giancarla Codrignani che ha dato notevoli spunti di riflessione
sul significato della ricerca che le donne stanno facendo nella riappropriazione
di un divino letto e coniugato al femminile, in particolare la necessità di un
confronto col più ampio movimento delle donne e delle comunità di base, facendo
emergere l’esigenza sia di un momento di approfondimento che del trasferimento
anche all’esterno delle esperienze maturate: “un volare in alto ma senza
distaccarci dalla realtà che ci circonda, eliminando i sensi di colpa che ci
accompagnano nelle nostre scelte di
donne”;.
v
di Elisabeth Green che ha reso
partecipi l’intero gruppo di un percorso teologico molto profondo ed intrigante
sul Dio sconfinato da ricercarsi ai margini di un cerchio vorticoso al
centro del quale si situa il Dio maschile. Una riflessione per un
ritrovare Dio dentro di noi, cercando di creare un nuovo paradigma a partire
dalla forza, energia, potere, autorità
ed eros delle donne in una sfida che le donne rivolgo al patriarcato e al
monoteismo restituendo dignità morale, pensiero e valore alla corporeità. Per
Elisabeth il Cristianesimo suggerisce un pensiero di Dio in perenne
sconfinamento.
I gruppi di donne che si sono
formati hanno inoltre condiviso momenti di “espressione del divino” con la
parola, la biodanza, i segni, i colori e
la musica e si sono ritrovati insieme durante il momento di condivisione
collettiva, curato dalle donne della Comunità di Pinerolo ed ispirato al “riso di Sara” dopo l’annuncio
della sua inattesa ed inusuale maternità nella vecchiaia: “I corpi delle
donne non possono essere solo i contenitori di una discendenza anche se tanto
desiderata, quei corpi hanno dei desideri! Nelle parole del Dio
patriarcale di Abramo questa sapienza si è persa: sì, Egli parla di parto, ma
ormai è solo più una questione di discendenza. Il riso di Sara ironizza
sull’assurdo, forse però l’assurdo non è il parto di una donna vecchia, ma una
vita senza copro.”
I momenti vissuti ridanno la
carica per affrontare il quotidiano, le lotte femminili di ogni giorno sapendo
che il percorso ci accomuna a tante donne……Il prossimo impegno per tutte:
portare la testimonianza del cammino intrapreso al Sinodo Europeo delle donne
che si terrà a Barcellona nell’agosto 2003.