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XXXII INCONTRO NAZIONALE DELLE COMUNITÀ CRISTIANE DI BASE

IN UN TEMPO DI SOPRAFFAZIONE E DI PRECARIETÀ "DATE RAGIONE DELLA SPERANZA CHE È IN VOI"

30/31 ottobre - 1° novembre 2010

Borgaro Torinese (TO)


Le comunità cristiane di base dialogano su:

"Giovani in un tempo di crisi dei valori e di dissesto sociale ed economico"

Intervento di Simona Borello 
 

(del gruppo di credenti "Chicco di senape" di Torino)

Grazie di questo invito, che mi ha dato l'occasione di incontrare più da vicino la vostra esperienza. Uno dei motivi che mi ha portato a essere qui è la centralità che avete dato alla "speranza", aspetto tutt'altro che scontato in questi tempi.

Prima di iniziare vorrei dire due cose personali, perché inevitabilmente influiranno sull'approccio del mio discorso: mi occupo di comunicazione per vivere e studio teologia per passatempo... o forse per dovere.

 

Mi avete accolto con una domanda sulla nostra esperienza di "chiccodisenape", esperimento ecclesiale della diocesi di Torino che da tre anni mette insieme quattordici gruppi dalle diverse provenienze, e sulla nostra opinione sul modo di intervenire della gerarchia.

"chiccodisenape" è nato dalla nostra comune passione per la Chiesa, per riappropriarci profondamente del significato di questa parola, troppo spesso diventata semplice sinonimo di "gerarchia" o "istituzione". Il nostro desiderio è di esercitare il sacerdozio comune del battesimo, accogliendo la diversità e la ricchezza dei ministeri, con uno stile di correzione fraterna, di condivisione delle competenze, di sostegno della fatica del Vangelo, dell'esprimere "a voce alta" le proprie opinione. Pensiamo che la gerarchia abbia occupato uno spazio che noi laici abbiamo lasciato vuoto, ripiegandoci nel privato, e che debba essere sostenuta offrendole chiavi di interpretazione del mondo e conoscenze legate alla nostra esperienza laicale e professionale. Soprattutto pensiamo che si debba andare oltre una rappresentazione mediatica della Chiesa, che concentra il cristianesimo nelle opinioni del Papa o al massimo della Conferenza Episcopale Italiana e non racconta le piccole grandi esperienze che vivono nelle chiese locali.

Quest'osservazione mi permette di partire con qualche riflessione che, come anticipavo, è legata alla mia esperienza personale: la rappresentazione del mondo data dai mezzi di comunicazione, che tocca la Chiesa, ma più profondamente la società.

 

Un "vecchio saggio", Marshall McLuhan , disse: "le società sono sempre state plasmate più dalla natura dei mezzi attraverso i quali gli uomini comunicano che non dal contenuto della comunicazione" e, ancora, "è impossibile capire i mutamenti sociali e culturali senza una conoscenza del funzionamento dei media". Questo non vuol dire che i contenuti non sono importanti, ma che è altrettanto importante il mezzo attraverso cui essi sono veicolati.

Per raccontare il nostro tempo, non si può non parlare della televisione ma con un approccio forse diverso da chi preferisce commentare i prodotti televisivi. Dagli anni Ottanta sino all'altro ieri siamo vissuti nell'epoca dell'incontrastato regno della tv commerciale, pervasivo al punto da diventare lo stile di comunicazione anche della televisione pubblica e, spesso, delle prime pagine dei quotidiani di carta stampata. È dunque opportuno interrogarsi sulla "natura" del mezzo di comunicazione "tv commerciale". Come tutti i tipi di televisione, porta a un'interazione coinvolgente e personale (come testimoniano la familiarità che si ha nei confronti dei conduttori o nella risposta data al "buongiorno" dell'annunciatore del giornalista del tg) ma ha una caratteristica particolare: il suo obiettivo è squisitamente economico. A pagarla è la pubblicità ed essa deve trionfare (e c'è chi arriva a dire che i programmi televisivi siano solamente dei semplici intermezzi in un unico grande flusso pubblicitario).

Questo è il motivo per cui c'è così tanta cronaca neri e tanti telefilm thriller: la bella notizia è la pubblicità. Questo è il motivo per cui è aumentata la commistione tra informazione e intrattenimento. Questo è il motivo per cui si propongono determinati esempi di uomini e donne, diventati così eroi della nostra epoca, appassionati dell'effimero, del precario, del superficiale. Perché tutto questo vende.

Il cambiamento della rappresentazione dell'uomo –e dei giovani soprattutto- non è senza conseguenze: provoca, o forse ha già provocato, un cambiamento antropologico che tanto spesso può portare allo scoraggiamento o allo "si stava meglio quando si stava peggio".

Eppure oggi viviamo altri giorni, nei quali un processo di cambiamento comunicativo sta avvenendo. La tv commerciale e generalista è minata dal diffondersi –specie tra i più giovani, suo tradizionale target d'elezione- dell'uso di alta tecnologia, che può essere l'alba di un nuovo cambiamento. Internet e in particolare i social network sono caratterizzati da una grande necessità di interazione, di compiere delle scelte (si può addirittura scegliere il tipo di pubblicità da ricevere), di condividere interessi e materiali. Si arriva a costruire delle comunità che spesso si liquidano con l'aggettivo "virtuale" dimenticando quanto reali possano essere nella vita delle persone e quanto possano essere efficaci per farle uscire dallo stallo della solitudine e dell'apatia. Qui si crea una nuova rappresentazione antropologica: in rete esiste chi è attivo, chi partecipa, chi interagisce. E i pensieri sono importanti quanto le immagini e, in taluni contesti, anche di più. Per questo motivo è decisivo abitare questi nuovi media, conoscerli a fondo e fare anche di essi un luogo di testimonianza.

Si tratta di una strada che permette anche di affrontare il rischio che in rete siano presenti solamente messaggi molto polarizzati, visto il rafforzamento delle poche certezze generato dalla crisi che stiamo vivendo. Il crollo dei punti di riferimento economici, politici, ecclesiali, riempie i nostri giorni. Si può pensare di vederli anche come un'occasione feconda per sperimentare nuovi tipi di linguaggio, proposte, stile per toccare la vita vera delle persone.

Se, pure a malincuore, dobbiamo dare un riconoscimento alla Lega –come avete osservato nel vostro documento- è per come è stata in grado di incunearsi nella crisi, puntando sui nodi che accendevano l'interesse delle persone, la vita di tutti i giorni, le paure più profonde. Non voglio certo dire che dobbiamo imitarli ma che dobbiamo interrogarci sul perché quel tipo di messaggio grezzo, violento, esasperato, funzioni.

Cogliamo dunque questo tempo di crisi come un tempo propizio per ascoltare le fragilità di chi abbiamo intorno, i desideri, le attese. È vero, c'è sempre chi dirà che "non ha voglia di parlare di cose serie", come avete scritto nel vostro documento. Ma tanto più sapremo aspettare e ascoltare, tanto più incontreremo i bisogni delle persone. E, forse, da quell'interesse particolare si potrà far nascere la passione e l'impegno.

Dopo questa frettolosa e ancora provvisoria analisi non sono certo in grado di proporre soluzioni, ma vorrei lanciare tre spunti:

1.         bandiamo la nostalgia dei tempi dell'oro ecclesiale e politico: quegli anni non torneranno e sono questi quelli in cui dobbiamo testimoniare con tutta la fatica che faremo a trovare uno stile adatto ai tempi;

2.         mettiamoci in rete: a partire dall'auto-organizzazione che avete suggerito ma più ancora per mettere in condivisione idee, conoscenze, proposte;

3.         celebriamo che il Signore è vivo e che abitiamo già il Regno: che sia la gioia dello stare insieme a legarci prima ancora che l'etica del dovere. Poi l'una alimenterà l'altra.

Duemila anni fa bastò una manciata di persone per portare un rivoluzionario e commovente annuncio in giro per il mondo. Forse, è vero, siamo in pochi. Ma non siamo soli. E possiamo sperare ancora.